Oms: “Il Burnout va visto come un fenomeno professionale”
di Domenico Della Porta
Questa precisazione, diramata recentemente, si è resa necessaria dopo che la stessa Organizzazione ha incluso il "burnout" nella nuova versione dell'undicesima International Classification of Diseases. Tre i sintomi: esaurimento fisico e mentale, distacco crescente dal proprio lavoro e una ridotta efficienza. Il burnout perciò va visto come un fenomeno professionale, una situazione di disagio, che può avere anche gravi conseguenze, in seguito a compromissioni generate fuori dall’ambito lavorativo
17 LUG - Il burnout è una condizione che si riferisce solo a un contesto lavorativo e non può essere estesa anche ad altre area della vita. L'Oms, ha specificato il portavoce dell’agenzia per la salute,
Christian Lindmeier, dice che il burnout è stato rubricato tra i “Fattori che influenzano la salute”.
Questa precisazione, diramata recentemente, si è resa necessaria dopo che la stessa Organizzazione ha incluso il "burnout" nella nuova versione dell'undicesima International Classification of Diseases. Tre i sintomi: esaurimento fisico e mentale, distacco crescente dal proprio lavoro e una ridotta efficienza. Il burnout perciò va visto come un fenomeno professionale, una situazione di disagio, che può avere anche gravi conseguenze, in seguito a compromissioni generate fuori dall’ambito lavorativo. Quindi si può dire che si tratta di una psicopatologia del lavoro, che influenza il lavoratore. Insomma occorre curare l’organizzazione prima del lavoratore, puntando al benessere organizzativo, secondo i più recenti orientamenti della Medicina del Lavoro e non al prestatore d’opera, come avveniva prima della promulgazione della legge 626/1994.
In Italia quale tutela si ha rispetto allo stress lavoro-correlato? Si può configurare il burn-out come malattia professionale? Questi quesiti consentono a
Ferdinando Pellegrino, Psichiatra e Psicoterapeuta, autore di numerosi testi e manuali dal 1987 proprio su questo delicato argomento, di chiarire cosa sia il burn-out. Si tratta di un un fenomeno che si sta rilevando di estremo interesse e preoccupazione, ha precisato il ricercatore, per le conseguenze negative che comporta sul piano personale e professionale: medici, infermieri, psicologi, terapisti della riabilitazione, assistenti sociali, poliziotti, sacerdoti, avvocati e insegnanti rientrano tra le categorie più particolarmente esposte a condizioni di distress lavorativo in ragione del carico emotivo dell’attività professionale.
Il termine burn-out – traducibile in italiano con bruciato, esaurito, scoppiato – esprime con un’efficace metafora il bruciarsi – logorio professionale – dell’operatore. In generale non esiste un’equazione puntuale tra stress lavorativo e ambiente lavorativo, sottolinea Pellegrino: lo stesso ambiente può essere stressate per un soggetto e motivo di crescita professionale per un altro. E’ dal rapporto soggettivo tra le caratteristiche individuali e il confronto con l’attività lavorativa che scaturisce o meno una condizione di distress lavorativo. A parità di condizioni organizzative, ogni operatore reagisce in maniera diversa; vi possono essere indubbiamente delle strutture organizzative altamente stressanti in cui è impossibile qualsiasi interazione, ma mediamente ogni ambiente presenta, in rapporto al periodo di osservazione, aspetti positivi e aspetti negativi. L’interazione del singolo soggetto con la specificità dell’ambiente determina quindi una risposta più o meno positiva in termini di adattamento.
Dal punto di vista clinico è fondamentale definire la natura della sofferenza, coglierne gli aspetti clinici più significativi, assimilarli a pattern diagnostici specifici e codificare una congrua strategia di trattamento. La sindrome del burn-out non insorge all’improvviso, aggiunge Pellegrino, molto spesso è subdola, insidiosa e difficile da identificare; i segni e i sintomi del burn-out sono molteplici, richiamano i disturbi dello spettro ansioso-depressivo con particolare tendenza alla somatizzazione e allo sviluppo di disturbi comportamentali. Ad oggi, si possono quindi far rientrare le manifestazioni sintomatologiche del burn-out, laddove assumono una valenza clinica, nell’ambito del disturbo dell’adattamento e del disturbo post-traumatico da stress e più in generale nell’area delle patologie da fattori psico-sociali associate a stress (stress lavoro-correlato). E’ questo l’ambito in cui ci si può muovere per la codifica del burn-out in termini di malattia professionale, sottolineando l’importanza eziologica dei fattori organizzativi. Dal punto di vista normativo in Italia negli ultimi anni si è assistito a una profonda rivoluzione culturale che ha consentito di recepire le principali linee di indirizzo europee in tema di tutela del lavoratore, riprese con forza nell’ultimo decreto in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (DL 81/2008) dove vi è chiaramente indicato – articolo 28 – come l’oggetto di valutazione dei rischi debba riguardare anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato.
Tale orientamento appare in linea con l’aggiornamento dell’elenco delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia (Decreto 10 giugno 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, GU 212/2014) dove sono stati inseriti tra “i nuovi agenti patogeni” le disfunzioni dell’organizzazione del lavoro (costrittività organizzative) e le malattie ad esse connesse.
Nel Gruppo 7 delle Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro le patologie identificate come malattie professionali sono il Disturbo dell’adattamento cronico (con ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta e/o dell’emotività, disturbi somatoformi) e il Disturbo post-traumatico cronico da stress.
L’approccio odierno tende a dare una definizione dello stress lavorativo in termini di distress derivante da un disequilibrio tra le richieste lavorative e le capacità di adattamento dell’individuo; molto spesso ciò che maggiormente risulta devastante per l’individuo sul piano psicologico è la penosa sensazione, a fronte di una situazione lavorativa stressante, di non poter esercitare alcun controllo su di essa, di essere impotente, di non poter prendere alcuna decisione risolutiva, di avere la consapevolezza di non possedere gli strumenti idonei per fronteggiare in modo adeguato lo sforzo richiesto, di non avere interlocutori credibili e competenti, di non ricevere nessun tipo di supporto.
Domenico Della Porta
Docente titolare di Medicina del Lavoro Uninettuno - Roma
17 luglio 2019
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