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L’epistemologia della complessità: serve un nuovo approccio negli studi di medicina

di Aldo Di Benedetto

In mancanza di un aggiornato approccio epistemologico sulla dimensione complessa dei sistemi viventi e della salute umana, coloro che si iscrivono al primo anno di medicina si proiettano immediatamente in una delle tante sotto-discipline con cui è stata frantumata la conoscenza, saltando, a piè pari, un’essenziale e robusta formazione trans-disciplinare e sistemica

23 MAR - Il dibattito in corso sugli Stati generali della medicina non può essere inquadrato esclusivamente nell’ambito di una crisi del ruolo del medico nel contesto della società post-moderna; come sottolineato negli interventi proposti dalla Fondazione Ars Medica dell’Omceo di Venezia, è necessario “reimpostare la formazione del medico del futuro non solo aggiungendo le conoscenze che mancano ma soprattutto riformando epistemologicamente le conoscenze disponibili”.
 
L’esigenza di un nuovo paradigma si pone come evoluzione necessaria della ricerca scientifica e delle implicazioni filosofiche e gnoseologiche che, nel corso del XX secolo, hanno messo in discussione il modello meccanicistico e materialistico su cui si è fondata per trecento anni la scienza classica di matrice cartesiana, che hanno dato origine al cosiddetto modello “biomedico”.
 
Questo modello è tuttora implicito nella formazione medica e assimila gli organismi viventi e il corpo umano a una macchina, la malattia a un suo guasto; spiegare il funzionamento di queste macchine chimiche e dei loro componenti è stata l’essenza dell’approccio scientifico. Per spiegare il malfunzionamento e la malattia si ricercano semplici cause che, si presume, producano effetti patogeni. Perciò, di tutta la grande rete dei fattori che influenzano la salute, l’approccio biomedico studia solo alcuni aspetti e l’attenzione dei medici si concentra su frammenti del corpo sempre più minuti, perdendo la cognizione del paziente come persona nella sua integrità.
 
Ciò ha comportato l’esplosione di parcellizzate discipline, l’apoteosi delle specializzazioni, il trionfo del concetto di gene e delle applicazioni della biologia molecolare.  Al riguardo, l’avvincente metafora del gene, inteso come elemento meccanico e isolabile, resta ben salda nella formazione medica perché, come afferma Evelyn Fox Keller nella sua opera “Il secolo del gene”, esso “è una comoda stenografia per gli scienziati … è uno strumento di persuasione indubbiamente efficace, non solo per promuovere programmi di ricerca e ottenere finanziamenti, ma soprattutto per vantare i prodotti di un’industria biotech in rapida espansione”.
 
Thomas Kuhn nel saggio “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, sostiene che i paradigmi rappresentano gli occhiali con cui interpretiamo la realtà, una cornice all’interno della quale noi diamo un senso alle nostre idee e organizziamo la nostra conoscenza. Il paradigma, tuttavia, ha il potere di mascherare tutto ciò che esula dai suoi presupposti epistemologici. Allora, il paradigma deterministico e meccanicistico da un lato ci ha consentito enormi progressi nella conoscenza dell’infinitamente piccolo, ma ci ha lasciato in eredità una scienza fredda, disintegrata in frammenti.
 
Secondo il biologo austriaco Ervin Chargaff – colui che ha messo in luce le regole di accoppiamento delle basi del DNA, prima della scoperta di Watson e Crick - “Nella nostra caccia ai frammenti abbiamo smarrito le sublimi fattezze della vita. Adesso addirittura non si tratta più di numerare i frammenti, ma di individuarne la composizione. Non percepiamo più figure viventi, ma solo componenti delle quali, però, vogliamo sapere sempre di più”. Peraltro, L’uomo macchina di Julien La Mettrie, assurto a simbolo di un’epoca di grandiose conquiste tecnologiche, ha visto trionfare il concetto di potenza e di dominio sulla natura.
 
Il paradigma riduzionista è stato, dunque, il fondamento della scienza classica e del successivo sviluppo delle specializzazioni e della tecnoscienza.  Di conseguenza, la visione separatrice e riduttiva degli esseri viventi ha consegnato ai tecnocrati il potere della conoscenza, alimentando la frammentazione e il conflitto tra le discipline, la creazione delle iperspecializzazioni, l’appropriazione da parte di esperti di un numero crescente di problemi vitali. Alfred North Whitehead, uno dei massimi esponenti della storia delle scienze, noto per i Principia Mathematica, oltre che un illustre matematico, fu filosofo ed epistemologo.
 
Nella sua opera “La scienza e il mondo moderno”, dell’ormai lontano 1926, ma con il sapore di grande attualità, sostiene che la formazione di professionisti nelle specializzazioni del sapere aumenta la somma delle conoscenze negli specifici campi, tuttavia tale successo condiziona negativamente la sfera delle conoscenze, in quanto produce menti unidirezionali.
 
A partire dalla metà del secolo scorso,la metafora della macchina, impersonata dal computer, si è appropriata dell’intelligenza umana malgrado John von Neumann, scienziato e ideatore del primo elaboratore, lo riferisse a una persona che esegue calcoli meccanici. Più di recente, gli specialisti delle varie discipline, tra cui i medici, hanno accolto con molto favore ed entusiasmo questa tecnologia, nell’illusione che le decisioni non dipendano più da loro. A metà degli anni 80 del secolo scorso un gruppo di scienziati, tra cui diversi premi Nobel, come il fisico Murray Gell-Mann, l’economista Kennet Arrow e ricercatori di avanguardia tra cui Stuard Kauffman e Chris Langton e altri, appartenenti a diverse discipline scientifiche e umanistiche, crearono un centro di ricerche nevralgico, noto come Istituto di Santa Fe.
 
Insieme intrapresero una singolare avventura seminariale per rispondere a diverse domande sui dilemmi della conoscenza scientifica e ai suoi sviluppi cosmologici, biologici, storici, economici e sociali. Il risultato di questo pensatoio interdisciplinare sancì inequivocabilmente la nascita della scienza della complessità, coniando un nuovo statuto epistemologico, che ha aperto la possibilità di una comprensione unitaria della realtà, attraverso approcci multidisciplinari e transdisciplinari.
 
Secondo un moderno approccio epistemologico nel campo della medicina, la complessità di un sistema biologico non potrà mai essere compresa e risolta attraverso l’analisi e la specializzazione disciplinare in quanto le patologie emergenti sono espressione di una infinita molteplicità di influenze chimiche, fisiche, biologiche e psichiche che impattano cumulativamente sull’equilibrio omeostatico dei sistemi viventi, uomo compreso. Persino nelle malattie infettive e trasmissibili devono sussistere condizioni ambientali sfavorevoli per consentire l’emergere delle infezioni.
 
Nel corso di laurea in medicina è completamente ignorata l’eredità storica del concetto di ecologie molecolari, coniato dal biologo Paul Weiss, la preziosa opera del premio Nobel Ilya Prigogine precursore della teoria dell’autorganizzazione dei sistemi viventi e del concetto di emergenza, la cibernetica di secondo ordine fondata da Heinz von Foester costitutiva dell’equazione tra autonomia e cognizione. Le ricerche e la proposta di Herbert Froehlich che sottolinea la centralità del concetto di coerenza, essenziale per comprendere la dinamica della materia vivente.
 
Solo recentemente è stato appurato che sussiste un legame intrinseco tra la salute animale e la salute umana e a quello ancora più profondo tra la salute del pianeta e quella dell’uomo. Legami questi che hanno portato alla definizione di concetti innovativi come One-health e Planetary health. Tuttavia la loro acquisizione implica lo studio e l’approfondimento di discipline tuttora neglette e marginali negli studi medici, come l’ecologia, l’epidemiologia, la termodinamica del non equilibrio, l’elettrodinamica quantistica, le scienze comparate come la cibernetica, i sistemi dinamici.  In mancanza di un aggiornato approccio epistemologico sulla dimensione complessa dei sistemi viventi e della salute umana coloro che si iscrivono al primo anno di medicina si proiettano immediatamente in una delle tante sotto - discipline con cui è stata frantumata la conoscenza, saltando, a piè pari, un’essenziale e robusta formazione trans-disciplinare e sistemica.
 
Già Ippocrate nel 400 a.C. aveva compreso che l’ambiente ha un impatto sulle malattie, oggidì il mutare delle condizioni ambientali sta facendo riemergere forme morbose in aree dove si riteneva fossero scomparse. I mutamenti climatici, il fenomeno della globalizzazione, le migrazioni, la concentrazione delle popolazioni umane nelle metropoli, l’inquinamento dell’aria, dell’acque, dei suoli e della catena alimentare, con la diffusione massiva di prodotti chimici, le diseguaglianze socio-economiche disegnano un presente e un futuro improbabile della medicina, in cui le malattie molto spesso restano avvolte dalla nebbia prima che suoni un campanello di allarme.
 
Dottor Aldo Di Benedetto
Componente del Gruppo di Lavoro Fnomceo “Professione, Salute, Ambiente e Sviluppo Economico”                                                                                  Dirigente medico, Ministero della Salute, Direzione generale della Prevenzione Sanitaria
 

23 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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