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Il termine infermiere usato a sproposito od ossessivamente. Fnopi se la prende con la stampa e scrive a Grillo e a Ordine giornalisti


“Basta utilizzare la qualifica di infermiere in modo improprio”, scrive la Fnopi e chiede al Ministro di mettere “in atto misure e interventi per la tutela e la salvaguardia della professione, soprattutto per evitare che si danneggi il rapporto di fiducia che questa ha con i cittadini che hanno bisogno e, quindi, che si riduca la qualità dell’assistenza”. LA LETTERA

20 MAR - “Basta utilizzare la qualifica di infermiere in modo improprio – quando cioè di infermieri non si tratta – e anche se in un fatto di cronaca il protagonista è incidentalmente infermiere, ma la professione nulla ha a che fare con l’atto compiuto. Ribadire all’esasperazione l’appartenenza alla categoria professionale quasi fosse un “marchio” crea uno stato di tensione generale verso questa che ha come suo primo compito e scopo l’assistenza diretta al paziente 24 ore su 24 e danneggia il rapporto col cittadino”.
 
È quanto si legge in una lettera inviata dalla Federazione nazionale degli Ordini degli infermieri (FNOPI) al Ministro della Salute, Giulia Grillo, e per conoscenza all’Ordine nazionale dei giornalisti, alla Federazione della Stampa, all’autorità garante delle telecomunicazioni, alla Commissione Parlamentare vigilanza Rai, alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e alla Procura della Repubblica di Roma.
 
“L'infermiere – si legge - è il professionista laureato responsabile dell'assistenza infermieristica al paziente che esplica con interventi autonomi tecnico scientifici attraverso una complessa presa in carico. Professione apprezzata e ben conosciuta dai pazienti che, per garantire dignità alla loro vita di tutti i giorni, si rivolgono all'infermiere che con altre figure o reati in generale commessi al di fuori della professione nulla ha a che fare, così come accade per qualunque altra professione. E comunque sugli infermieri l’Ordine professionale provvede, nel caso sia coinvolto nella sua veste professionale e comunque se sottoposto a provvedimento giudiziario, con la massima severità per fare in modo che chi compie reati non possa più identificarsi con la categoria.
 
La lettera di Mangiacavalli prende spunto da due fatti di cronaca recenti. Il primo, è quello che i media hanno attribuito a un’infermiera di Prato rivelatasi poi essere un’operatrice sociosanitaria (“ma questa confusione di ruoli è ormai diventata un’abitudine che lede profondamente la nostra professione e che regolarmente denunciamo”, scrive Mangiacavalli), accusata nella sua vita privata e quindi, comunque, al di fuori e al di là della sua attività lavorativa, di aver avuto rapporti con un quattordicenne al quale dava ripetizioni scolastiche (che, ribadisco, con l’attività sanitaria nulla hanno a che fare) con cui avrebbe avuto un figlio.
 
Il secondo, riguarda un’infermiera – questa volta sì - a cui sono stati attribuiti dalla Magistratura due precisi capi d’accusa: "atti sessuali con minorenne e cessione di stupefacente”. “Il tutto sarebbe avvenuto sempre non in ambito professionale, ma assolutamente privato, in quanto il giovane quattordicenne avrebbe in questo caso avuto contatti esterni all’ambiente di lavoro della donna perché amico della figlia di questa”, ricorda la presidente FNOPI.
Le stesse Forze dell’ordine, sottolinea Mangiacavalli, nel loro comunicato sulla vicenda di Torino non hanno ritenuto necessario precisare la professione dell’accusata, “ma i media no, - continua la lettera - in un martellamento che ormai si ripete da tempo, hanno dovuto sottolinearne e sottolineano quotidianamente la professione come se fosse questa a caratterizzare l’atto, provocando un gravissimo danno di immagine per la categoria anche se del tutto estranea alla vicenda e ai fatti avvenuti del tutto attinenti la sfera privata della presunta imputata”.

Assolutamente superfluo quindi, sottolinea la FNOPI, anche ai fini della notizia, specificare l’attività lavorativa dei soggetti coinvolti (nel primo caso anche sbagliando) e soprattutto, se può apparire lecito al massimo in un passaggio iniziale spiegare cosa fanno nella vita i soggetti interessati – ma farlo comunque correttamente –, non lo è assolutamente insistere sulla qualificazione come se quella fosse la causa scatenante dei reati presunti.
 
Mangiacavalli  sottolinea inoltre che “si prosegue – nonostante gli interventi diretti della Federazione che si protraggono ormai da anni - a caratterizzare insistentemente con la qualifica professionale spesso attribuita impropriamente ad altre figure e non con l’atto in sé che spesso con la professione non ha attinenza, gli autori di reati, screditando in questo modo l’immagine della professione agli occhi dei cittadini, cosa che Lei ben sa – dice rivolta al ministro - a che danno può portare anche e soprattutto a livello di assistenza sanitaria”.
 
“Nel tempo – spiega Mangiacavalli - abbiamo manifestato e ribadito più volte a tutti gli organi di informazione e attraverso tutte le strade percorribili (oltre all’evidenza data sul nostro sito istituzionale, attraverso comunicati, richieste di rettifiche e social) la disponibilità degli Ordini a chiarire eventuali posizioni professionali presunte in questi frangenti. Fino alla disponibilità messa in atto da questa Federazione della consultazione immediata sul suo sito istituzionale dell’albo degli infermieri nel quale, se di infermieri non si tratta, i nomi ovviamente non appaiono. Nulla da fare. Si prosegue in modo sistematico e incalzante a dare adito a quanto più volte da noi sottolineato: per molti media nella sanità o si è medici o si è infermieri” e la professione sembra paradossalmente il filo conduttore di qualunque accusa.
 
La richiesta, questa volta ufficiale, all’organo di Governo che vigila sulla professione è per chiedere, “un intervento presso gli Ordini professionali dei giornalisti perché nel dare informazione sia instaurato un livello di verifica reale prima di puntare il dito contro categorie che svolgono ben altra attività nei confronti dei cittadini e, in quanto esponente di Governo – prosegue rivolta al ministro della Salute -, un intervento perché sia regolamentata e normata la qualifica di infermiere anche al di là di quanto già avvenuto con la legge 3/2018 e con la normativa precedente, non solo verso i professionisti che ne fanno parte e contro chi ne abusa, ma anche rispetto a pene severe per chi getta discredito improprio su chiunque opera a fianco dei cittadini nel Servizio sanitario nazionale”, creando un danno all’assistenza e quindi alla salute.

20 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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