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Forum Risk Management/3. Troppo alti i rischi dell’autonomia differenziata senza un Governo centrale forte


Le differenze regionali già esistenti potrebbero acutizzarsi. Si suggerisce quindi di rafforzare gli organi centrali dando maggiore autorevolezza alle istituzioni. Ma c’è anche chi invita a non demonizzarle perché potrebbero anche funzionare. Questi i temi al centro della tavola rotonda “Eguaglianza di accesso ai servizi sanitari, poteri e responsabilità dello Stato e delle Regioni”

27 NOV - Le differenze regionali sono orami un leit motiv che risuona costantemente quando si parla di accesso alle cure. Un tema dibattuto quindi, che alla luce delle autonomie differenziate diventa ancora più potente, anche perché con il regionalismo differenziato il divario tra le realtà locali potrebbe acuirsi ancora di più.
 
È stato questo il tema al centro della tavola rotonda “Eguaglianza di accesso ai servizi sanitari, poteri e responsabilità dello Stato e delle Regioni” organizzata nel corso della tredicesima edizione del Forum Forum Risk management. C’è chi lancia l’allarme sulla possibile acutizzazione dei gap regionali suggerendo di rafforzare gli organi centrali dando maggiore autorevolezza alle istituzioni. Ma c’è anche chi invita a non demonizzar le autonomie differenziate.
 
Per Giovanni Bissoni del Comitato scientifico Fondazione Sicurezza e sanità le differenziazioni in sanità rappresentano un problema serio. Addebitare però questa condizione solo e semplicemente alla riforma del titolo V è troppo semplicistico così come dire che le differenze ci sono sempre state. “La riforma del Titolo V – ha detto – ha sicuramente rafforzato le autonomie ma anche i caposaldi del Ssn come i Lea. Sicuramente è il modo in cui è stata attuata la Riforma del Titolo V che ha generato una sorta di federalismo di abbandono. Ritengo che il tema della diversità di accesso ai servizi sia un tema centrale per la sostenibilità del sistema. Quello che è necessario capire è se questa fase delle nuove autonomie può rappresentare un valore aggiunto o una nuova fase di federalismo di abbandono”.
 
“La nuova autonomia è prevista dalla Costituzione dunque dobbiamo ragionarci sopra” ha sostenuto Federico Spandonaro, Presidente del consorzio Crea Sanità Università di Tor Vergata.
“È inevitabile – ha aggiunto – però l’autonomia differenziata se non governata bene può rappresentare degli indubitabili rischi quali l’abbandono del sud, la creazione di barriere o meccanismi di competizione per il personale tra le regioni. Non sono contro le autonomie – ha concluso – ma queste funzionano soltanto se le regole del gioco sono chiare. Serve quindi una figura centrale autorevole affinché ad esempio i requisiti minimi dei Lea siano garantiti a livello nazionale”.
 
“Se le tendenze sono verso il regionalismo dobbiamo mettere in moto i meccanismi che eliminino i rischi segnalati da Bissoni e da Spandonaro” ha affermato Elio Borgonovi Professore emerito dell’Università Bocconi: “È quindi giusto e doveroso rafforzare gli organi centrali, dare autorevolezza alle istituzioni, formare personale che sia in grado di mettere in campo delle competenze.
 
Per Ruggero Razza, assessore alla sanità della Sicilia il problema della differenza tra la qualità dei servizi sanitari tra nord e sud non è legata all’attuazione di regole di autonomia, e “lo dico da assessore regionale di una regione a statuto speciale. In realtà è legato, tanto al nord quanto al sud, alla capacità d’investire in personale, sulle infrastrutture e su tecnologie innovative. Tutto questo non passa dai principi di autonomia e dal regionalismo, più o meno differenziato, ma dalla volontà dello stato di fare crescere il Fsn e dalla capacitò delle classi dirigenti di investire sul proprio territorio. Noi in Sicilia ce la stiamo mettendo tutta per riuscire, da qui a qualche anno, a far si che la nostra sanità si avvicini agli standard delle altre regioni, specie quelle più competitive. Le regioni dunque fanno il loro, lo Stato invece che fa?”.
 
“Le distorsioni che stiamo vivendo tra le varie regioni sono dovute in gran parte al fatto che a livello centrale si è fatto di meno di quello che si doveva fare e qualcuno, forte di quest’immobilismo, si è portato avanti prendendosi delle libertà. Dove viceversa lo Stato ha fatto bene i risultati ci sono stati”. Così Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tdm Cittadinazattiva che indica la necessità di rafforzare il ruolo del ministero della Salute e fare investimenti. “Ci sono diverse le criticità: prima fra tutte il sistema di monitoraggio dei Lea, autoreferenziale e inadeguato rispetto alla realtà. Per questo si sta cercando di riformarlo ma alcune regioni contestano il nuovo sistema di monitoraggio. In questo i cittadini possono giocare un ruolo per spezzare questo meccanismo di autoreferenzialità. Sono preoccupato perché più libertà e minori controlli mettono a rischio il Ssn. A questo punto dobbiamo interrogarci se è questo ciò che vogliamo”.
 
Su posizioni opposte Giovanni Gorgoni Dg Ares Puglia: “L’autonomia differenziata non va demonizzata – ha affermato – vi dico quindi parliamone perché come in ogni cosa ci sono luci e ombre. Ad esempio molte regioni rappresentano un modello essendo diventate dei laboratori con le loro eccellenze. Il limite è che non abbiamo lo scambio vero delle buone pratiche dei saperi.
Le autonomie diventano critiche se aggiungono fenomeni di stratificazione sociale nociva. L’autonomia differenziata, dal mio punto di vista, può funzionare se c’è onestà intellettuale sui Lea, se quindi vengono garantiti a tutti alla stessa maniera, e se definiamo parametri di tenuta contabile più ampi”.
 
Per Nino Cartabellotta Presidente Fondazione Gimbe “le performance dei vari servizi sanitari regionali dimostrano grandi differenze di equità di accesso alle cure e appropriatezza di servizi e prestazioni. E anche in qualità di esiti delle cure e in particolare tra aspettativa di vita tra Nord e Sud del paese. Differenze legate sia alla modalità di gestione dei servizi, ma anche a fattori sociali non facilmente verificabili all’interno del Ssn. Oggi il dibattito è: il regionalismo differenziato può aumentare le diseguaglianze regionali? Nelle nostre analisi a legislazione vigente sì, perché le modalità con cui lo Stato verifica gli adempimenti dei Lea nelle regioni sono insufficienti e maggiori autonomie rischiano di determinare derive in grado di mettere in crisi principi di equità e universalismo”.
 
Luigi Arru, Assessore alla salute della regione Sardegna ha disegnato gli scenari nella sua regione ricordato l’intenzione del partito indipendentista di lanciare a breve il primo referendum per chiedere sul modello della catalogna di staccarsi dall’Italia.  “È stato stretto un accordo tra il partito sardo di azione e la Lega in cui si recita che la sanità va governata ‘senza applicazione di standard nazionali che sono incompatibili con le peculiarità dell’isola’ – ha spiegato – assurdo è come dire che quando contenuto nel Dm 70 è incompatibile con le esigenze della nostra Regione. Dal punto di vista politico credo in un Ssn nazionale, pur arrivando da una regione che più di tutte ha condizioni geografiche ideali per attuare una forte autonomia.  Ho dovuto resistere al Mef che voleva che anche le regioni statuto speciali fossero sottoposte alle regole per il Piano di rientro. Abbiamo dimostrato che potevamo fare le cose seriamente. Si ragiona ancora sulla competenza dell’atto e non sul raggiungimento del risultato. Dobbiamo lavorare sul personale – ha concluso – per rispondere a esigenze peculiari del nostro territorio. Il vero core business è la gestione delle risorse umane che deve cambiare profondamente. Anche la formazione deve cambiare diventando immediata, altrimenti si fa solo dottrina”.
 
Per Silvio Brusaferro dell’Università di Udine occorre fare rete e creare cooperazione mettendo in gioco chi sa fare per ridurre il divario esistente. Insomma serve più sinergia tra tutti gli attori del sistema. “Una sanità moderna ha bisogno di snellimento dei percorsi di cura, maggiore partecipazione alle reti e adozione di semplici e poche regole. Altri assett portante è quello della ricerca e sviluppo: anche in questo caso deve essere orientato verso il sistema paese, sempre facendo rete”.
 
“Si parla troppo poco di regionalismo differenziato” ha ricordato Tiziana Frittelli, presidente di Federsanità Anci. “Dagli atti della commissione bicamerale – ha spiegato – emerge che il vero valore aggiunto del regionalismo differenziato è quello che è stato fin ora stigmatizzato, ovvero il sistema concorrenziale tra una regione e l’altra. Anche gli ambiti di autonomia differiscono da una regione all’altra con Lombardia e Veneto che chiedono cose diverse da quella dell’Emilia Romagna che invocano maggiore autonomia nella finanza pubblica, nella previdenza e nell’assistenza integrativa. Queste regioni rappresentano il 40% del Pil nazionale e chiedono che le risorse rimangano nell’ambito della regione. Questo ci deve far pensare”.
 
Giovanni Migliore vicepresidente Fiaso ha rappresentato il punto di vista delle aziende: “L’aziendalizzazione è nata negli anni 90 e ha rappresentato un modo concreto e coerente di attuare l’articolo 32 della Costituzione – ha detto – i n questi anni le aziende hanno tenuto e sono state determinanti per il sistema. Sanitario nel suo complesso. Hanno infatti razionalizzato e reinventato i processi, dando al tempo stesso servizi e dimostrando anche una buona capacità d’innovazione. Il Ssn nonostante tutto è comunque accora vitale, rappresenta un’eccellenza anche se abbiamo dei problemi da affrontare. Tra questi, lo sappiamo tutti ci sono i Lea, le cronicità, le liste d’attesa, la sfida demografica e le nuove fragilità. Aziende in questo senso devono essere il luogo dove si incontrano queste fragilità per essere affrontate e gestite.
Cosa fare? Sicuramente puntare sull’innovazione – ha concluso –  e per questo è necessario destinare un fondo specifico. Non è più possibile infatti andare avanti con i sempre più poveri miseri accantonamenti delle aziende. Inoltre è necessario investire sul capitale umano fare quindi nuove assunzioni”.

27 novembre 2018
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