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Decesso paziente in ospedale a causa di una caduta. Tribunale Genova proscioglie infermieri da accusa di omicidio colposo

di Giuseppe Maria Gallo

La vittima risultava contenzionata poco prima dell'incidente. La rimozione delle spondine dal letto dello sfortunato era esitata dalla constatazione medica che egli risultava oramai vigile, orientato, parzialmente autonomo ed in grado di autoalimentarsi a colazione. La caduta non è stata ascritta agli indagati, non essendo possibile ipotizzare che gli stessi fossero ritenuti obbligati a stazionare nei pressi del letto del deceduto per evitare che questi vi scendesse. L'ORDINANZA

04 OTT - Una recente decisione del Giudice per le indagini preliminari di Genova può contribuire a rinvigorire le speranze di proscioglimento per gli appartenenti al personale infermieristico che si trovassero inquisiti per il decesso di un paziente a causa di una banale quanto rovinosa caduta, avvenuta durante il suo ricovero in ospedale. La casistica, in verità, è assai vasta, attesa la numerosità degli eventi, spesso fatali, di tale natura.
 
Il caso di specie, peraltro, era reso più complesso poichè la vittima risultava contenzionata poco prima dell'incidente; sicchè, sotto questo profilo, la ricostruzione delle fasi relative anche a tale procedura si rivelava assai importante per la discolpa dei sei indagati.
 
Il sottoscritto, nella sua qualità di loro difensore, con memoria difensiva, introduceva una serie di argomentazioni, intanto affrontando la vexata quaestio delle spondine che rientrano nei mezzi di contenzione del paziente se ed in quanto siano preordinati a contrastarne la volontà di alzarsi dal letto.
 
Altresì, uno snodo fondamentale, sin da subito, appariva l'individuazione della una fonte normativa che regolava l'operato del personale infermieristico in ordine alla contenzione; in guisa, l'art. 30 del Codice Deontologico relativo prevede espressamente che essa (contenzione) debba essere supportata da apposita prescrizione medica.
 
Tale asserto, peraltro, evocava perfettamente il contenuto del manuale in uso presso l'A.S.L. cui appartiene il nosocomio interessato.
 
A rafforzare la dimostrazione dell'estraneità degli indagati al fatto militavano le annotazioni del diario infermieristico che riportavano l'orario e la disposizione del medico in merito alla riferita rimozione delle spondine precedente alla caduta accidentale del paziente.
 
In realtà, in punto tutela dell'incolumità e della sicurezza del soggetto, il discrimine fra la fase del presidio con le spondine e quello post-rimozione attiene al fondamentale passaggio allo status di ricoverato normale, perciò stesso tenuto ad un comportamento responsabile e collaborativo con il personale medico e/o infermieristico, in ossequio all'indifettibile rapporto di fiducia che deve esistere fra i due versanti.
 
Giova sottolineare che tale affermazione riposa persino sulle prescrizioni della Guida Pratica che Federconsumatori ha distribuito al pubblico e che la scrivente difesa non ha tardato ad invocare ribadendo la necessità che, rimosse le spondine, l'interessato fosse chiamato al più comune dovere di autoprotezione che incombe, indistintamente, sull'utenza in genere.
 
La rimozione delle spondine dal letto dello sfortunato era esitata dalla constatazione medica che egli risultava oramai vigile, orientato, parzialmente autonomo ed in grado di autoalimentarsi a colazione.
 
Ciò detto, l'ultimo sedime giuridico col quale confrontarsi coincideva col quesito relativo al contenuto della posizione di garanzia del personale infermieristico nel caso esaminato; nel senso di verificare se, nel complesso sistema normativo, fosse possibile rintracciare l'esistenza dell'obbligo per gli infermieri, anche di tipo generico, di fare letteralmente la guardia al letto del ricoverato.
 
Invero, questo difensore muoveva già da una nutrita casistica personale in cui era stata sancita la totale legittimità dell'orientamento adottato, in concreto, dal personale infermieristico.
 
Qualche anno prima, per una vicenda riguardante altri ente ed indagati, il G.I.P., in sede di archiviazione, in conformità alla tesi propugnata, anche in quest'ultimo caso, dal sottoscritto, già scriveva: "...mancando in atti il riscontro di ogni potenziale addebito sotto il profilo della relativa prevedibilità e prevenibilità, a meno di ipotizzare che gli infermieri, alternativamente fra loro, dovessero stazionare nei pressi di un solo letto (fra i numerosi del reparto) occupato da un anziano paziente, pur in assenza di ogni sintomo di una sua incipiente alterazione psicomotoria, al fine di impedire che egli si determinasse a inopinati tentativi di scendere dal letto di ricovero, magari aggirando dal fondo le relative sponde pur alzate...".
 
Anche per la situazione attuale, il P.M., nella richiesta di archiviazione, enucleva, sostanzialmente, il concetto anticipato, opinando come la caduta non potesse essere ascritta agli indagati, non essendo possibile ipotizzare che gli stessi fossero ritenuti obbligati a stazionare nei pressi del letto del deceduto per evitare che questi vi scendesse per camminare, peraltro considerando che la contenzione con le spondine dovesse derivare da prescrizione medica, nella fattispecie mancante.
 
Come comprovato dal recentissimo provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Genova del 26.09.2018, l'archiviazione si basa su una serie di indici decisivi (n.d.r. non ultimo quello della saturazione delle strutture che impone l'assunzione di un atteggiamento comprensivo verso tutti gli operatori), quali: la rimozione delle spondine non più ripristinate in difetto di prescrizione medica, la mancanza di presupposti che - in via eccezionale e d'urgenza - avessero potuto legittimare autonomamente il personale infermieristico a provvedere a tale forma di contenzione, la carenza di qualsivoglia obbligo di sorvegliare un paziente che appariva assolutamente in grado di avvertire gli operatori prima di alzarsi.
 
Avv. Giuseppe Maria Gallo
Patrocinante in Cassazione
Foro di Genova


04 ottobre 2018
© Riproduzione riservata

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