Anaao. “Contratto medici e dirigenti Ssn sparito dall’agenda politica. Senza segnali sciopero di 72 ore entro novembre”
Lo ha deciso la Direzione nazionale del sindacato riunita Roma il 12 e 13 settembre scorso. Per l’Anaao “la scomparsa del Contratto di lavoro del personale, dopo 9 anni di blocco legislativo, dall'agenda e dal radar della politica priva medici e dirigenti sanitari dipendenti di un fondamentale strumento di cambiamento delle condizioni di lavoro, che restituisca dignità e sicurezza ai professionisti, oltre che di governo e di innovazione del sistema”.
14 SET - Nuovi scioperi all’orizzonte nella sanità pubblica. E questa volta potrebbero bloccare ospedali e strutture sanitarie fino a 72 ore con un pacchetto di astensioni dal lavoro da definire e attuare entro il mese di novembre a meno di una svolta positiva nella vertenza contrattuale rimasta ormai arenata da diversi mesi.
La decisione di medici e dirigenti sanitari è stata presa dalla Direzione nazionale dell’Anaao Assomed il 12 e 13 settembre scorsi e comunicata oggi in una nota.
Ecco il documento finale della Direzione che annuncia in caso di persistente assenza di soluzioni positive per il contratto, “la dichiarazione dello stato di agitazione, insieme con ogni altra utile iniziativa, compresa una manifestazione nazionale che porti in piazza il disagio non più sopportabile delle nostre categorie, fino a 72 ore di sciopero nazionale entro il mese di novembre 2018.
“La Direzione Nazionale dell'Anaao Assomed, riunita a Roma il 12 e 13 settembre 2018, approva la relazione del Segretario Nazionale ed esprime grande preoccupazione per lo stato del Servizio Sanitario Nazionale, precipitato in una crisi di risorse economiche ed umane che ne mette a rischio il futuro a 40 anni dalla nascita.
La Direzione Nazionale stigmatizza la scomparsa del Contratto di lavoro del personale, dopo 9 anni di blocco legislativo, dall'agenda e dal radar della politica priva medici e dirigenti sanitari dipendenti di un fondamentale strumento di cambiamento delle condizioni di lavoro, che restituisca dignità e sicurezza ai professionisti, oltre che di governo e di innovazione del sistema. Il silenzio ed il disinteresse delle Regioni denuncia il tentativo di sottrarsi ai loro obblighi di datori di lavoro insieme con la volontà di calcolare al ribasso gli oneri connessi all'inderogabile necessità di garantire alla dirigenza sanitaria lo stesso incremento contrattuale concesso agli altri settori del pubblico impiego e del mondo sanitario. Per pagare di meno proprio quel personale che tiene in piedi quello che resta della sanità pubblica, favorendo anche in questo modo la strisciante privatizzazione avviata con i tagli lineari, il definanziamento, la svalorizzazione del lavoro pubblico e del suo capitale umano, gli incentivi fiscali concessi a soluzioni privatistiche.
Il livello delle condizioni di lavoro cui oggi sono costretti medici e dirigenti sanitari dipendenti registra un inarrestabile peggioramento, che sta alimentando la fuga dagli ospedali, non più competitivi nei confronti della sanità privata e di quella convenzionata, ed inquinando la relazione di cura con il paziente, fino a determinare episodi crescenti di aggressività verbale e fisica, quali quelli che si registrano ogni giorno in tutte le aree del Paese. Migliaia di ore di lavoro non pagate né recuperate, turni senza fine, obblighi di riposo non rispettati, orario di lavoro abusato, ferie accumulate, rischio clinico in crescita esponenziale, burocrazia asfissiante sono fattori che alimentano la fuga dei medici dal sistema ospedaliero. Un fenomeno “nuovo” che si somma alla gobba previdenziale che nei prossimi 5 anni vedrà in pensione 35.000 dirigenti medici e circa 7.000 dirigenti sanitari (Psicologi, Farmacisti, Biologi, ecc.), un flusso che potrebbe crescere sensibilmente se cambiassero le norme, senza alcuna certezza di rimpiazzo da parte di giovani. I tempi di attesa sono destinati a crescere al ritmo di semestri e molte strutture sanitarie, ospedaliere e territoriali, chiuderanno per mancanza di personale specializzato.
Ma come meravigliarsi se, nelle condizioni di lavoro attuali, non si trova più un medico disposto a lavorare nei Pronto Soccorso, di città grandi, come di quelle piccole, in assenza anche di un contratto nazionale di lavoro?
“Razionalizzare” e accorpare strutture ed aziende, in una creatività organizzativa senza limiti, è stata la stella polare di questi anni dei governi regionali di ogni colore, con il brillante risultato di tagliare i servizi, riducendo la quantità delle prestazioni erogate e peggiorandone la qualità. Né è servita rendere ubiquitari i primari e i medici, di guardia e in reperibilità, su più ospedali sparsi sul territorio, tanto meno pagare il lavoro del medico al massimo ribasso.
Il crescente disagio professionale non può trovare soluzione in assenza di uno strumento contrattuale che consenta di recuperare ruolo e dignità del lavoro che svolgiamo a garanzia di un diritto costituzionale.
Il diffuso burnout del personale, non privo di ripercussioni sulla sicurezza delle cure, e la carenza di specialisti, figlia del fallimento, orfano di responsabilità politiche, della programmazione, e dell'invecchiamento della popolazione professionale, tengono sotto scacco la tenuta ed il futuro del SSN. A differenza di quanto è stato fatto per la medicina Generale, continuano a mancare, però, atti tesi a dare risposte, nell'immediato ed in prospettiva, alla rarefazione di medici specialisti che sta desertificando reparti ed ospedali. E l'imbuto formativo rischia di trasformarsi da problema sociale e professionale, che attiene al futuro di migliaia di giovani medici, nello strumento per riallocare il lavoro dei medici a segmenti produttivi meno costosi e più interessanti dal punto di vista elettorale.
Dopo blocchi e tagli medici e dirigenti sanitari hanno pagato un alto prezzo al risanamento dei conti pubblici, in termini di valore assoluto e potere d'acquisto delle retribuzioni e delle pensioni, riduzione e precarizzazione dell’occupazione, peggioramento delle condizioni di lavoro. Mentre le assunzioni e le stabilizzazioni di precari, annunciate con grandi squilli di trombe, appaiono ancora incerte nei tempi e nelle procedure, dotate di stanziamenti esigui rispetto al numero degli aventi diritto ed alle necessità delle dotazioni organiche.
Occorrono interventi urgenti per arrestare l'impoverimento e la dilagante demotivazione professionale e rendere le condizioni di lavoro compatibili con livelli retributivi inchiodati al 2010. E porre freno alla demolizione dei contratti precedenti ed al saccheggio delle risorse accessorie, oggi inferiori a quelle pattuite nel 2010, con l'indennità di esclusività di rapporto congelata ai valori del 1999 e le risorse derivanti dalla RIA sottoposte ad un tentativo di scippo definitivo dalla sciagurata pseudo riforma Madia del 2017.
La Direzione Nazionale dà mandato al Segretario Nazionale e all’Esecutivo Nazionale di valutare, insieme con le altre Organizzazioni sindacali, in caso di persistente assenza di soluzioni positive, la dichiarazione dello stato di agitazione, insieme con ogni altra utile iniziativa, compresa una manifestazione nazionale che porti in piazza il disagio non più sopportabile delle nostre categorie, fino a 72 ore di sciopero nazionale entro il mese di novembre 2018”.
14 settembre 2018
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