PA. Il ministro Bongiorno e il brunettismo senza Brunetta
di Luca Benci
"Rilevazioni biometriche per evitare che ci sia chi strisci il tesserino per altri". La ricetta di Bongiorno è semplice: il corpo come password risolleverà di destini della pubblica amministrazione. Il trionfo della politica brunettiana senza Brunetta che individua nei pubblici dipendenti il male della pubblica amministrazione. Tace però sui nodi fondamentali: definanziamento, blocco del turnover, età elevata dei pubblici dipendenti, retribuzioni non adeguate, personale non sufficiente ecc.
26 GIU - Pensavamo che esistesse, in politica, il berlusconismo senza Berlusconi. Se ne è parlato per anni e, negli ultimi tempi, si discuteva del renzismo senza Renzi. Non potevamo sospettare che, l’influenza di un politico e le linee ispiratrici della sua azione, fossero più duraturi in un piccolo ministero senza portafoglio, l’attuale ministero della pubblica amministrazione.
Constatiamo dunque che esiste il “brunettismo” senza Brunetta. Si intende per tale quella politica e quelle politiche caratterizzate da una azione tesa a risolvere gli annosi problemi del pubblico impiego additando come responsabili gli stessi pubblici dipendenti, variamente etichettati. La tendenza era già chiara da tempo ma adesso ne abbiamo avuto un’ulteriore e duratura conferma.
Renato Brunetta deve la sua fama politica alla lotta ai “fannulloni” su cui ha basato una buona parte della sua attività ministeriale. Come è andata a finire lo hanno visto tutti. La famosa “riforma Brunetta” è stata, nelle sue linee portanti, demolita dallo stesso Brunetta prima di decadere da ministro. La sua riforma venne presentata non come una riforma appunto, ma come un “piano industriale per la pubblica amministrazione” dove il fulcro del tutto era la “politica del merito”. La valutazione della performance individuale era francamente imbarazzante e sintetizzata da tutti nel celebre: 25/50/25. Si trattava di una graduatoria da stilare annualmente in cui premiare il 25% del personale, lasciare invariato il 50% e penalizzare il 25% anche in caso di valutazione positiva. Si trattava, come era evidente, di demagogia allo stato puro e che è stata archiviata negli anni successivi senza ma essere applicata.
Ecco allora che Brunetta ripiegò sulla più mediaticamente pagante “lotta ai fannulloni” diventata il leitmotiv più abusato con norme che cambiavano di anno in anno su visite fiscali, fasce orarie, introduzione di nuovi reati per medici prescrittori ecc.
Gli oppositori dell’epoca già brunetteggiavano con Brunetta in sella al dicastero. Pietro Ichino, all’epoca senatore, scrisse - in realtà già prima di Brunetta - un libro in polemica meramente lessicale con Brunetta dal titolo “i nullafacenti”. I dipendenti pubblici andavano chiamati nullafacenti non fannulloni. Lessico lievemente diverso, ma stessa ricetta. Da notare che entrambi sono di carriera universitaria…
Cambiata la legislatura arriva Marianna Madia che ha occupato stabilmente la poltrona di ministro per ben quattro anni consecutivi. Madia più che una riforma settoriale ha caratterizzato la sua politica su una serie di provvedimenti, nessuno dei quali passerà alla storia tranne uno: il decreto “furbetti del cartellino”. Complice il celebre caso del vigile urbano di Sanremo, massacrato mediaticamente ben oltre i suoi evidenti torti, Madia ha introdotto uno speciale procedimento disciplinare con termini molto ristretti per difesa e procedure solo per le violazioni dovute alle infrazioni in tema di rilevazione dell’orario di lavoro. Il decreto “furbetti del cartellino” si pone in piena continuità ideale e normativa con il brunettismo. Un
decreto che serviva più per strizzare gli occhi alla pubblica opinione che non a fornire uno strumento per il governo del sistema. In caso di dipendenti accusati di corruzione, reati contro la pubblica amministrazione, collusioni con le mafie il procedimento disciplinare rimane quello più garantista.
Il ministro (ministra?) Bongiorno.
Ha stupito la nomina di
Giulia Bongiorno a quello che oggi si chiama ministero della pubblica amministrazione. Avvocato penalista e politico eletto in vari partiti in varie legislature si è sempre occupata di altre tematiche. Non risulta mai essersi occupata di tematiche relative al funzionamento della pubblica amministrazione.
Dopo un mese di silenzio Giulia Bongiorno ha rilasciato domenica 24 giugno la sua prima intervista da ministro/a al
Corriere della Sera, dove ci rende note le linee del suo pensiero e annuncia un “cambio di passo”. Riportiamo testualmente: “L’assenteismo è un fenomeno odioso. La Madia ha modificato le sanzioni. Credo si debba prevenire”. A fronte della domanda della giornalista sul come agire, il ministro non ha dubbi: “con rilevazioni biometriche per evitare che ci sia chi strisci il tesserino per altri”. Impronte digitali per tutti, dunque.
Il “cambio di passo” altro non sarebbe che un’evoluzione (?) della politica inaugurata da Brunetta e proseguita da Madia. In realtà la proposta era stata già avanzata da Brunetta in tempi non sospetti, messa da parte per problemi legati alla privacy e riproposta successivamente dallo stesso ex ministro del Governo Berlusconi che oggi potrebbe, a buon diritto,
rivendicarne i diritti d’autore.
Adesso che le esigenze di riservatezza possono essere risolte da un
sistema che non “memorizza in alcun modo il dato biometrico, residente sul badge e letto solo al momento della timbratura" il sistema può essere attivato.
La ricetta di Bongiorno è semplice: il corpo come password risolleverà di destini della pubblica amministrazione. Il trionfo della politica brunettiana senza Brunetta che individua nei pubblici dipendenti il male della pubblica amministrazione. Bongiorno tace sui nodi fondamentali: il definanziamento, il blocco del turnover, l’età eccessivamente elevata dei pubblici dipendenti, retribuzioni non adeguate, il personale non sufficiente ecc.
Eppure, limitandosi al secondo settore più numeroso del pubblico impiego come quello sanitario, le assunzioni fanno parte del patto di governo a cui il ministro/a dovrebbe rifarsi e dove le assunzioni vengono definite “indispensabili” anche per garantire i diritti legati alle normative europee sull’orario di lavoro.
Il nuovo ministro/a si limita, per il resto, a un generico richiamo valido per tutti i ministri di sempre: premiare il merito. Salvo poi non dire come esattamente come i predecessori. Per questo però servirebbero atti di governo: più comodo proseguire nell’additare alla pubblica opinione l’idea del fannullone controllato dalla tecnologia sulle impronte digitali.
Cambiano epoche politiche, legislature, governi ma il comun denominatore dell’immagine mediatica dell’equazione pubblico dipendente/fannullone rimane una costante permeata da una caratterizzazione demagogica insopportabile.
Non proprio il massimo per chi promette il “cambio di passo” come ministro/a in un governo del “cambiamento”.
Luca Benci
Giurista
26 giugno 2018
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