· si bara: tutti gli interventi si complicano…, si registrano più prestazioni di quelle fatte (come peraltro è successo di recente ad una casa di cura privata convenzionata a Roma, etc),
· si risparmia sulla sicurezza,
· si scelgono solo le prestazioni che rendono (come fa una struttura della capitale che “resiste” alla apertura di un proprio pronto soccorso, preferendo scegliersi i “casi universitari” da trattare e su cui farsi remunerare.
Nel 2012 la regione Lombardia ha decretato“Ogni malato saprà il suo prezzo. Dal primo marzo i cittadini della Lombardia conosceranno per ogni esame, visita medica e ricovero quanto il servizio sanitario spende per curarli.” Vi è “l’obbligo per tutti i medici e gli ospedali di esporre nei referti, nelle lettere di dimissione e in ogni tipo di comunicazione ai pazienti il prezzo sostenuto dalle casse pubbliche per ciascuna prestazione”. Ritengo giusto che il cittadino venga informato non solo di quanto sia stato fatto per lui ma anche di quanto Stato e Regione abbiano speso per quella prestazione.
Nella carta dei diritti del malato dovrebbe essere riportato il Pdta che sarà seguito in quella struttura ma anche dove e come saranno curate eventuali complicanze ma anche quanto si è speso. Tutto ciò dovrebbe far parte del consenso informato.
Ma ancora, se elaboriamo con cura un Pdta vediamo che ogni momento del percorso del paziente è scomponibile in processi.Responsabile di ciascun processo è solo e soltanto un operatore: medico, infermieristico, tecnico etc. Se fossimo in casa di cura privata ogni prestazione sarebbe registrata con relativa fattura. In ospedale no. È uno sbaglio. Noi in realtà non sapremo mai quanto quel paziente è costato realmente all’ospedale: anzi visto che nel momento di chiudere la cartella sappiamo che saremo pagati per il totale delle prestazioni erogate e non per ogni singola prestazione resa, spesso per spicciarci non le registriamo neanche tutte, tanto di fatto non serve. Centinaia di migliaia di prestazioni rese non risultano per tali motivi registrate e non compaiono poi nei registri che vengono inviati in regione ed a livello nazionale. Esattamente l’opposto di quello che avviene nel privato che tende invece a registrarle tutte! Ma soprattutto nessuna “pesa” veramente il lavoro dei singoli operatori permettendo agli scansafatiche di annidarsi nelle pieghe del sistema e viceversa a chi tanto fa di non veder riconosciuti i propri meriti.
Perché non prendere spunto dai Pdta per cominciare a rivoluzionare il nostro modo di essere, di comportaci.Sarebbe il solo vero modo per far vedere quanto lavoriamo e quanto facciamo potendo in tal modo sì, richiedere maggiori risorse.
Dire, come facciamo oggi, che lavoriamo tanto (vero) perché facciamo più delle ore contrattuali, che poi non ci vengono neanche pagate, è anacronistico. Non funziona!
Dobbiamo poter dire che vogliamo più risorse perché a fronte di un fatturato prodotto da un singolo medico di esempio 10.000 euro riceviamo solo 2.500 euro di stipendio!
Ma il primo passo oggi è quello di cambiare, subito, prima possibile il sistema di pagamento, anche solo affiancando alla retribuzione per Drg (creato da Robert B. Fetter e John D. Thompson nell'Università Yale ed introdotto dal Medicare nel 1983;) quella a Pdta, remunerando il totale delle singole prestazioni che determinano la best practice oggi imposta da legge dello stato, come ci ha dimostrato il lavoro del professor Albergo.
Francesco Medici
Consigliere Nazionale Anaao
31 maggio 2018
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