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Se il consumo di medicina è “malato”

di Ivan Cavicchi

I costi legati alle diseconomie  sono un sintomo, ma non l’unico, che  il consumo di medicina nelle nostre società è innegabilmente  malato. Che sia l’economia a fare la diagnosi  per i medici è a dir poco imbarazzante ma così è

08 APR - Anche grazie alle oculate osservazioni di “Allineare sanità e salute” (QS 5 aprile 2016) abbiamo capito le caratteristiche costitutive  di choosing wisely (d’ora in avanti CW) quindi possiamo procedere per comprenderne l’uso e l’impiego i limiti e le potenzialità.
 
Partiamo dal fatto che i costi legati alle diseconomie  sono un sintomo, ma non l’unico, che  il consumo di medicina nelle nostre società è innegabilmente  malato. Che sia l’economia a fare la diagnosi  per i medici è a dir poco imbarazzante ma così è. Se il consumo di medicina è malato vuol dire che la medicina come si pratica  è la malattia cioè vuol dire che il medico ha preso delle brutte abitudini . C’è quindi da chiedersi perché:
· le deontologie professionali non sono intervenute per prevenirla e curarla
· le ortodossie definite dalle società scientifiche non sono state garantite
· i sindacati  hanno tollerato  che il lavoro medico  uscisse  da una prassi corretta?
 
Quindi perché l’etica non ha tutelato l’etica, la scienza non ha tutelato la scienza, il lavoro il lavoro? Cioè perché ora tocca all’economia mettere dei freni? CW come ci è proposta non è:
· certamente  una discontinuità paradigmatica  ma a certe condizioni potrebbe metterla in moto e avviare un processo di rinnovamento
· indipendente dai problemi economici  ma questo vuol dire solo come ho detto tante volte che la medicina  con l’economia deve fare i conti
· un’altra cosa dall’appropriatezza ,dal proceduralismo, dall’evidenzialismo, ma il fatto di salvaguardare comunque l’autonomia medica  responsabilizzando il medico per convincere il malato  è una novità sulla quale si può lavorare
· un’idea diversa di amministrazione degli atti  clinici ma il fatto che al centro si sia messo la scelta e la relazione può aiutarci ad emanciparci da un approccio prettamente normativo o precettistico.
 
Insomma nella CW, diversamente dal trionfalismo di Slow Medicine (QS 21 marzo 2016)  vedo un sacco di roba vecchia ma nello stesso tempo delle potenzialità  che sarebbe irresponsabile non esprimere  collaborando con la sua intenzione riformatrice ma  mettendo  roba nuova al posto di quella vecchia sapendo noi  bene che si tratta di una impresa tutt’altro che scontata (Jama  Intern Med. 2015;175,12):
 
La CW è una sfida culturale e politica che sulla scorta ormai di un paio di decenni di studi personali, mi stimola  a inventare ciò che “non è” ciò  che “non ha” e ciò che “vorrei che fosse” per fare in modo che si abbia davvero un cambiamento riformatore  duraturo e profondo.
 
Per cui, nel mio piccolo,  intendo restare coerente con “la medicina della sceltaperché mi offre una elaborazione  per  spingere con le mie convinzioni, le mie conoscenze, i miei ideali ,affinché  la CW diventi effettivamente un altro genere di medicina ben oltre le mode e le loro  applicazioni banali e retoriche.
 
Credo che le mode in medicina(bioetica, qualità, sicurezza, medical humanities, evidenza, medicina narrativa, ecc) siano effimere perché idee nuove quindi in qualche  modo destabilizzanti  il senso comune, alla fine  sono organizzate  con  vecchie epistemologie  (valori, regole, maniere, QS 14 marzo 2016). Per questo  esse non danno luogo a cambiamenti effettivi della realtà, restano dei fuochi di paglia ai quali molti  aderiscono in tutta buona fede  ma solo perché  aderirvi ,alle loro  abitudini razionali, non costa nessun sacrificio intellettuale ...per cui alla fine dopo un bel po di convegni che danno l’illusione del rinnovamento culturale è l’invarianza di queste  razionalità  che si rimangia tutto.
 
La cartina al tornasole sono le università che in tempo reale si aggiornano scientificamente  ma restando tendenzialmente  impermeabili al cambiamento culturale, alimentando una drammatica  asimmetria tra scienza e società, ma ovviamente  diffidenti nei confronti di quelle idee rutilanti  ma  paradigmaticamente deboli cioè che non hanno la forza  di ridiscutere i loro modelli base di razionalità, (applaudo con gioia alla notizia che il rischio clinico in Toscana  è diventato materia di studio QS 1 aprile 2016).
 
Ancora oggi l’unica vera rivoluzione che ha cambiato una intera episteme universitaria resta la medicina sperimentale di Bernard cioè l’avvento della medicina positivista. Da allora ad oggi tante scoperte scientifiche sempre più mirabolanti  ma  il positivismo della medicina  al massimo è  diventato neopositivismo ma restando  sempre dentro il canone scientifico della medicina sperimentale.
 
Oggi  non vedo novelli Bernard in giro anche se da anni sono convinto che l’impresa del nostro tempo in medicina resta la riforma del sua ragione positivista. E’ questo che intendo quando parlo di riforma paradigmatica. La medicina della scelta e quel gruppo di pubblicazioni che vi afferiscono e che continuano ad afferirvi (ammetto nell’indifferenza dei più ma non posso prendermi la colpa dell’ignoranza altrui  al massimo lo posso combattere) è un tentativo di definire le linee portanti  di una ragione  scientifica  post-positivista di stampo soprattutto pragmatico. Oggi vedo razionalizzatori, predicatori, precettisti, proceduralisti, evidenziatori, lineaguidari, narrativisti,  ballerini persino, ma tutti entro e non oltre  un paradigma del quale sembrano prigionieri ma che tutti vorrebbero  oltrepassare .
 
La questione ad esempio del rapporto tra CW e  neopositivismo  (QS  29 marzo 2016) ha un solo significato: se la qualità, la scelta, la relazione, la persona, il contesto, la contingenza,  ecc  sono delle complessità non riducibili esse non possono essere affrontate  in  modo neopositivistico  perché questo modo è organizzato  da epistemologie riduzioniste  tese alla loro decomplessificazione.
Se pensiamo di affrontare la CW quindi la complessità della scelta, della relazione, con  le razionalità  neopositiviste non faremo un buon servizio alla CW ma soprattutto non cambieremo molto della realtà medica  e la CW sarà più o meno una forma di medicina amministrata mediata da una finta relazione cioè una specie di buona economia sanitaria  usata per eliminare un po di inappropriatezze ma  riempendoci la bocca con il malato.
 
Definisco “malatisti”  quei neopositivisti tristi che quali paraventi usano il malato a sua volta come un paravento per nascondere tutte le proprie magagne culturali. Il malato, se correttamente interpretato, il mio amato “esigente”, è il primo  explanandum che giustifica la necessità di una riforma della medicina. Per i malatisti  il malato, “paziente” era e “paziente” rimane.
 
Se al contrario  faremo in modo di sostenere la scelta e la relazione, quindi la saggezza, con apparati concettuali adeguati  in questo caso è probabile che cambi davvero qualcosa e che il cambiamento prodotto sia stabile fino ad entrare nelle università.  
 
In sostanza il cambiamento per me, tanto come editorialista  che  come studioso dei problemi della medicina, passa non in superfice ma in profondità, quindi, per il paradigma cioè è il sistema concettuale che decide a quale razionalità la prassi medica deve obbedire. A paradigma invariante   non si cambia un granché  e si rischia come è avvenuto tante volte di fare la celebre ”ammuina
 
Ma torniamo alla CW. Vi sono cose “politiche” che la riguardano  di grande significato che sarebbe bene comprendere:
· a giudicare da come le principali riviste scientifiche americane hanno pubblicizzato le nove ‘top five lists’ della CW è come se fosse in atto un gigantesco processo di rieducazione del medico organizzato non dallo Stato contro il medico  ma dalla medicina  per il medico grazie al  quale la scienza corregge la scienza, l’etica corregge l’etica il lavoro corregge il lavoro.. il medico corregge il medico,
· la riqualificazione del consumo di medicina  sposta il conflitto di interesse sul terreno degli eccessi  finalmente consapevoli che gli eccessi alla lunga diventano un problema generale. Nello specifico la lotta contro gli eccessi diventa per la difesa della professione per la difesa del suo rapporto fiduciario con il malato .. per cui cambia il ruolo del medico che da complice suo malgrado con gli interessi industriali  diventa garante dei valori pubblici e questo negli Usa ha davvero un significato non marginale,
· cambia il rapporto tra il medico e la politica, il medico assumendo in proprio l’onere di combattere l’eccesso di consumo  non tollera più che la politica  gli imponga in modo amministrativo  come deve comportarsi .Se il medico diventa un garante della scelta clinica   nessuno più, politica e lineaguidari, precettisti  possono pensare di amministrare le sue scelte ma possono coadiuvarlo nella scelta degli strumenti di cui ha bisogno,
· salta la tentazione di mettere sotto tutela  la clinica e passa l’idea del suo autogoverno. Per cui le cose sono come  rimesse al loro posto.. l’epidemiologia faccia l’epidemiologia ,la clinica la clinica, la politica la politica  ma senza confusione di ruoli.
 
Ma  il salto più politicamente significativo per me si ha a livello di pattuizione sociale  tra medici e politica,  con la CW siamo oltre:
· i nostri logori “patti per la salute” e le nostre striminzite trattative  sulle sanzioni, sulla carriera e sulla centralità della professione,
· gli scioperi che chiedono certamente  il giusto rispetto dei diritti di chi lavora ma  di fatto difendono paradossalmente  l’invarianza dei consumi perché  indisponibili a ridiscutersi come professione  corresponsabili dei loro  eccessi,
· i ridicoli decreti per l’appropriatezza.
 
Il patto americano alla fine stringi stringi riguarda la  “questione medica” considerata a un tempo sociale, economica, culturale e quindi  “quale medico”, “quale medicina” in questa società. Ora che tutto questo sia a portata di mano resta  tutto da vedere, che sia facile da farsi non è per niente detto, che le cose andranno per il verso giusto nessuno può saperlo ...ma resta il dato incontrovertibile che almeno i medici americani stanno provando a  ridiscutere pragmaticamente pur tra mille aporie la loro professione.
 
Cioè è innegabile  che a differenza dei medici italiani quelli americani  si siano resi disponibili ad essere agenti attivi di cambiamento. Quelli nostrani ancora non mi risulta. Siamo ancora alla apologia della libera professione e alla magnificazione della circolare  per l’applicazione del decreto sulla appropriatezza  solo perché  si sono sospese le sanzioni.
 
Eppure la nostra situazione, pur avendo noi un sistema di welfare pubblico, non è diversa da quella americana, anche noi abbiamo:
· un consumo  malato,
· una medicina in molti casi irragionevole,
· medici con delle brutte abitudini,
· sprechi diseconomie di ogni tipo.
 
Anche noi siamo comunque complici di un conflitto di interesse tra ciò che sarebbe giusto fare e che però non si sa perché non si fa.
 
E allora con un governo che pur con un pensiero debole ci propone non  la privatizzazione tout court del sistema  ma di compensare  il  finanziamento del Fsn  con l’eliminazione  degli sprechi, cosa aspettiamo a proporre  direttamente a Renzi la nostra “medicina della scelta”?
Il discorso sulla CW continua.
 
Ivan Cavicchi
 
Leggi la prima parte
 
 
 

08 aprile 2016
© Riproduzione riservata

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