Se un infermiere va dal Giudice, vuol dire che non ce la fa più
di Ivan Cavicchi
Quando penso a quegli infermieri che si sono rivolti al tribunale perché stufi di fare i “tappabuchi” e ai quali i giudici hanno dato torto sbattendo loro sul naso l’art. 49 del loro codice deontologico sento amarezza. Quegli infermieri chissà quante ne hanno dovute mandare giù
21 MAR - Discussioni, richiami... proteste ...imposizioni e quante volte dopo il turno sono tornati a casa con la faccia lunga sotto il peso di un insopprimibile senso di ingiustizia costretti a fare qualcosa che non avrebbero voluto e dovuto fare. Se un infermiere va dal giudice vuol dire che non ne può più. Immagino anche come sia stato mortificante per loro, dopo aver aspettato per anni la sentenza definitiva, tornare sconfitti a lavorare e abbassare la testa...perché magari hanno famiglia. Per quello che vale in particolare a questi infermieri la mia convinta solidarietà.
“Ma tu sei amico mio o del giaguaro?”
Sono rimasto dubbioso nel leggere una intervista alla presidente dell’Ipasvi Mangiacavalli (
Nurse Times, 20 gennaio 2016) nella quale per fare l’apologia a priori dell’art. 49 del codice deontologico, cioè dell’Ipasvi, arriva paradossalmente a difendere la sentenza contro l’infermiere che dopo aver denunciato il proprio demansionamento ha avuto torto anche grazie al codice deontologico Ipasvi. Neanche un dubbio per la presidente: l’art. 49 non si tocca ha sbagliato l’infermiere a protestare per il demansionamento.
In questo rigore un po’ disumano dove la complessità degli uomini è assoggettata alla apologia precostituita di norme troppo semplici e lineari se non sbagliate, mi è tornata alla mente quella barzellettain cui un tale racconta a un amico di avere deciso di andare a caccia di giaguari e l’'amico gli contrappone una gran quantità di ostacoli e obiezioni, finché l'altro sbotta: “
ma tu sei amico mio o del giaguaro?”.
Dopo aver letto l’intervista della presidente Mangiacavalli mi sono chiesto anche io:
ma l’ipasvi è amica degli infermieri o del giaguaro?
La domanda intende essere volutamente paradossale. Ci mancherebbe che l’Ipasvi non fosse amica degli infermieri ma è un fatto che a causa dell’apologia dell’art. 49, essa finisca per difendere le ragioni del giaguaro.
Questo spiegherebbe la distanza sempre più grande che esiste tra l’Ipasvi e la realtà della professione di cui hanno scritto
Sinibaldi,
Incaviglia e
Gostinelli e altri “
quattro gatti”.
Schiavi occasionali
Il punto critico dell’art. 49 viene fuori da un passaggio della lettera al direttore di
Daniele Carbocci che considero cruciale:
“come non capire che gli infermieri sono oggi schiavi persino del proprio codice deontologico che è diventato la spada di Damocle per ogni tentativo di riprendersi la dignità del professionista, e che è sfruttato proprio dagli stessi dirigenti infermieristici per risolvere le deficienze organizzative.
Ecco disvelata la contraddizione profonda dell’art. 49: essere “
schiavi” di un codice deontologico che al contrario avrebbe dovuto tradurre l’autonomia della professione quindi la sua libertà e la sua responsabilità in deontologia. Infermieri “
schiavi” di altri infermieri. Questo è essere amici del giaguaro.
Perché veda, presidente Mangiacavalli, a lei sfugge e non solo a lei, che l’infermiere che va in tribunale in fin dei conti non chiede la luna ma di essere semplicemente quello che è, cioè che il lavoro confermi la sua identità, perché per lui
identità e
dignità sono equivalenti. Per Lei presidente invece a giudicare dalla sua intervista, e per i giudici a giudicare dalle loro sentenze, l’infermiere che vuole essere quello che è disobbedisce all’art. 49 del codice deontologico. Si rende conto dell’enormità di tale contraddizione?
L’art 49
“L’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione, documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi sistematicamente il suo mandato professionale”.
Nella pratica come tutti sanno e come ha sottolineato molto bene
Chiara D’Angelo, vale solo la prima parte dell’articolo mentre il “
rifiuto” nella stragrande maggioranza dei casi resta una petizione di principio anche perché se il “
mandato professionale” è ordinariamente demansionato, il demansionamento causato dall’art. 49 non è un suo pregiudizio ma una sua conferma. In realtà un infermiere che ricorre al tribunale vuole non essere demansionato più di quello che già è.
L’art. 49 non è null’altro che la trasposizione sciocca nel codice deontologico di “
una consolidata giurisprudenza di legittimità”, come ci ricorda con puntualità l’avvocato
Giacomo Doglio che si basa sul principio
dell’occasionalità alias
eccezionalità in ragione del quale non si ha demansionamento se l’assegnazione
“di compiti inferiori “alla qualifica di appartenenza è effimera.
Non starò qui a spiegare che il concetto di
occasionalità, oggi con un sistema sanitario progressivamente definanziato e quindi sempre più disorganizzato, sia quanto di più controverso e neanche ricordare che molti infermieri che hanno ricusato la compensazione rivolgendosi ai collegi di riferimento per essere aiutati non hanno avuto neanche una risposta.
In questa sede mi limiterei ad assumere provvisoriamente per buona la tesi del “
demansionamento occasionale” della giurisprudenza, qual è il primo problema?
E’ quello che Carbocci ha definito per l’appunto “
schiavitù deontologica” cioè un codice che a dispetto dello spirito della L. 42 considera l’infermiere come una lavatrice programmata per mansioni che in certe circostanze fa “scattare” automaticamente il demansionamento. Il primo problema quindi è che nella realtà pratica l’infermiere non ha alcuna possibilità di controllare ciò che si definisce “
occasionale”, lo subisce e basta, appunto come se ne fosse schiavo.
Alla luce del concetto forte di “
schiavitù” spero si capisca meglio la mia vecchia idea di “
disobbedienza deontologica” che si trova nel libro curato da Chiara D’angelo il cui sottotitolo, lo ricordo, è, non a caso “
il dovere del dissenso”.
Circostanze occasionate da occorrenze
La traduzione di “
occasionalmente” da parte dell’art. 49 come è noto è “
eccezionalmente” ma proprio per questo tanto il codice che la giurisprudenza offrono il fianco a molte contraddizioni. L’infermiere è schiavo di ciò che è “
eccezionale” e ciò che è “
eccezionale” proprio perché l’infermiere ne è schiavo diventa naturale, normale, incontrovertibile ma soprattutto indiscutibile. Per cui l’art. 49 diventa quasi qualcosa di giusnaturalìstico, e come tale, ovvio e scontato. Facendo il verso ai padri del diritto naturale si potrebbe dire: se l’infermiere è uno schiavo ha il diritto di essere trattato da schiavo.
Ma a parte questo paradosso ...vorrei porre delle domande in “
politichese” come direbbe il mio disarmante amico
Nicola Barbato:
· una professione che occasionalmente/eccezionalmente è abusata da una organizzazione e da una normativa carente, è per caso meno abusata grazie alla sua saltuarietà?
· l’occasionalità rispetto ad un abuso, è funzione della frequenza degli abusi o dell’abuso in se?
· Il demansionamento obbligato per compensare dei disservizi vale come impropria imputazione di responsabilità organizzativa ma l’infermiere nella realtà non ha responsabilità organizzativa allora a quale criterio di giustizia si ispira l’imposizione di un obbligo alla responsabilità senza responsabilità?
Se paragoniamo il demansionamento agli abusi sessuali sui minori, cioè se usiamo di nuovo il paradosso, possiamo capire che il termine occasionale/eccezionale non è così semplice come si pensa.
Allora i problemi che vedo sono due con una piccola premessa: siccome la petizione di principio del “
rifiuto” e il pregiudizio del “
mandato professionale” nella realtà sono inconsistenti, si tratta di:
· fare in modo che l’infermiere non sia schiavo (o “
mulo” come scrive
Emiliano Carlotti) della situazione ma il contrario che sia cioè l’infermiere a decidere sempre sulla situazione qualunque essa sia,
· andare oltre il concetto di occasionalità/eccezionalità e mettere al centro la
situazione come problema che l’infermiere deve valutare e che propongo di definire “
circostanza occasionata da una occorrenza”.
Chiariamo i termini della mia proposta per capire cosa l’infermiere dovrebbe valutare:
· “
circostanza” è la realtà in un certo momento
causata in un certo modo e a certe
condizioni cioè essa è
contingenza e
contesto,
· “
occasionale” è una nozione usata in giurisprudenza con il significato del “
tanto in tanto” quindi come sinonimo di fortuito,
· “
occorrenza” è l’eventualità connessa all'imporsi di una necessità.
Quindi l’infermiere per non essere schiavo delle situazioni come vuole l’art. 49 dovrebbe valutare il grado di complessità delle circostanze occasionate da occorrenze e regolarsi. Il vantaggio di questa definizione è andare oltre la banalità del concetto di “
occasionale” nel frattempo diventato “
sistemico” e oltre le petizioni di principio del “
rifiuto” nella pratica teorico e implausibile, e quindi valutare in piena autonomia:
· l’idea di
causa cioè cosa produce il suo demansionamento,
· l’dea di
condizione ciò che è necessario a sviluppare la causa del suo demansionamento,
· l’idea di
contingenza cioè i modi organizzativi attraverso i quali
causa e
condizione impongono il suo demansionamento.
Ma la mia proposta implica che l’infermiere abbia riconosciuta una
responsabilità organizzativa grazie alla quale per l’infermiere non si tratta più di obbedire all’art. 49 come uno
schiavo o un
“mulo” ma di rispondere alla situazione come un
autore cercando le soluzioni organizzative più idonee a risolvere il disservizio, rispetto a
cause,
condizioni,
contingenze ma soprattutto distinguendo le responsabilità .
Troppo comodo avere degli schiavi o dei “
muli” sui quali scaricare tutti i problemi della situazione. Che colpa hanno gli infermieri se la sanità è sotto-finanziata, disorganizzata? O se i loro dirigenti sono dei passa carte? O se il blocco del turn over falcidia gli organici?
Chiedo dunque alla presidente Mangiacavalli, perché gli infermieri devono pagare come se fossero responsabili di una organizzazione di cui loro non sono responsabili? Di chi è la vera responsabilità del disservizio? Chi dovrebbe in luogo degli infermieri e rispetto alle loro effettive responsabilità organizzative essere davvero demansionati ?
Demansionamento quale post ausiliarietà
Il demansionamento in generale non è un fatto accidentale o naturale ma un fatto strutturale tutt’altro che fortuito, cioè è una condizione che appartiene:
· ad una certa organizzazione del lavoro
· a un certo modo di intendere la professione dell’infermiere
A tale condizione ho dato il nome di
post-ausiliarietà .A certe condizioni non impedite per forza si ha post ausiliarietà e quindi demansionamento.
E’ evidente che l’art. 49 è del tutto funzionale alla post ausiliarietà anzi è una particolare forma di post ausiliarietà determinata prima di tutto da due fattori: dalla non applicazione della L. 42 e da inadeguate condizioni di lavoro.
La mia critica presidente Mangiacavalli, è quindi prima di tutto culturale: con l’art. 49 vi siete limitati a copiare banalmente il senso giuridico dominante del concetto di demansionamento senza fare quello che a voi sarebbe toccato fare e cioè: problematizzare la complessità della realtà lavorativa degli infermieri; affermare lo statuto intellettuale della professione in tutte le circostanze; sancire in ogni tipo di circostanza il valore dell’autonomia e della responsabilità organizzare il lavoro in modo diverso da come è ancora oggi organizzato.
Con l’art. 49 voi al contrario semplificate le situazioni lavorative, negate il carattere intellettuale della professione, cancellate il valore dell’autonomia e mettete l’
ausiliarietà a regime ...nel senso che l’infermiere è sempre senza eccezione
ausiliario di qualsiasi situazione. Definisco questa condizione:
ausiliarietà situazionale. Cioè schiavo.
Argumentum ab auctoritate
C’è ancora una questione quasi un tabù che desidero affrontare: l’art. 49 per giustificare il demansionamento ricorre ad una formula retorica che fa leva sul ricatto morale dell’infermiere e su una particolare fallacia definita in logica
argumentum ab auctoritate.
Si tratta di un argomento ingannevole che fa appello all’autorità sovrana del malato:”
l’infermiere, nell’interesse primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi...” In realtà il codice fa una operazione mistificante per giustificare e nascondere altri scopi e altri interessi come quelli che riguardano la disorganizzazione del sistema, le responsabilità dei dirigenti, le carenze di risorse, i problemi gestionali.
Eloquente a questo proposito un altro passaggio della lettera di Carbocci che riferendosi proprio alla dirigenza infermieristica sottolinea che essa : ”
utilizza proprio l’art. 49 del codice deontologico dell’infermiere per gestire la risorsa infermieristica, carente nella totalità delle strutture sanitarie”.
Non c’è alcun dubbio che lo “
scopo del secondo ordine” dell’art. 49 (scopo dello scopo) è l’interesse primario del malato ma nel senso molto generico che tutte le strade portano a Roma o tutti i fiumi finiscono in mare, cioè tutto alla fine va a finire nel bene e nel male nel malato. Ma gli “
scopi del primo ordine” dell’art 49 sono tutti strumentali e servono a togliere le castagne dal fuoco a dirigenti infermieristici, ai direttori generali, agli assessori fino al governo che dall’alto impone a tutti le sue politiche di definanziamento.
L’art. 49 è una forma di opportunismo gestionale organizzato come un ammortizzatore ma per assistere i sistemi sanitari disorganizzati e carenti e che sfrutta gli infermieri facendo leva sulla loro coscienza e la loro obbedienza.
La critica politica che avanzo presidente Mangiacavalli è che con l’art. 49 l’Ipasvi ha ridotto gli infermieri a dei camerieri al servizio dell’economicismo anziché combatterlo come esigerebbe qualsiasi corretta etica deontologica. L’interesse primario del malato esigerebbe un infermiere in grado di fare con autonomia e responsabilità la sua professione fino in fondo soprattutto in contesti a regime economico condizionato perché sono questi che più di ogni altro, mettono in pericolo l’integrità della professione. Voi con l’art. 49 avete svenduto gli infermieri come se fossero schiavi. Mi rendo conto che è una affermazione forte quindi vediamo subito se essa è davvero iperbolica.
Demansionamento o deprofessionalizzazione?
Nell’intervista che ho citato la presidente Mangiacavalli riduce il demansionamento a “
tutta l’attività ausiliaria di supporto (pulizia e igienizzazione locali e carrelli, fattorinaggio e facchinaggio)” aggiungendo, e secondo me giustamente, che l’assistenza diretta al malato non è demansionamento .
Bene ragioniamoci sopra:
· l’espressione “
demansionamento” entrata ormai nel linguaggio corrente ha senso se si riferisce ad una
professione definita per mansioni quindi
ausiliaria (
l’ausiliarietà per forza è insita nella mansione perché la mansione può essere definita in rapporto al processo solo in modo ausiliario )cioè ha senso nella
post ausiliarietà,
· non ha senso, se invece ci si riferisse ad una professione autonoma definita per profilo rispetto alla quale sarebbe meglio, in caso di negazione, parlare di
deprofessionalizzazione causata da sabotaggio del profilo.
Facciamo sintesi:
· Il
profilo sabotato si ha a causa della inconseguenza della norma di attuazione e da luogo alla post ausiliarietà,
· la
deprofessionalizzazione è negare agli infermieri il diritto di essere quello che dovrebbero essere per legge,
· essere
infermieri post ausiliari significa essere mansionati e solo per questa ragione essere
demansionabili.
Ora torniamo al codice deontologico :
· se esso avesse interpretato lo spirito riformatore della L. 42 cioè se avesse definito l’infermiere come un “
autore” (altro genere di infermiere), e non come una
lavatrice, non ci sarebbe stato bisogno di scrivere l’art. 49,
· sarebbe bastato dire che l’infermiere in ragione della sua autonomia e responsabilità (art 1/2/3 codice deontologico 2009) difronte a
circostanze occasionate da occorrenze decide cosa fare e come comportarsi. Cioè valuta quali altre
circostanze alternative sono possibili.
Per cui, cara presidente Mangiacavalli, alla luce di queste considerazioni ritengo che l’espressione “
gli infermieri per l’art. 49 sono come schiavi” sia certamente forte ma tutt’altro che infondata.
Falsificare la storia: ritorno al passato
La verità che nessuno dice è che il codice deontologico nel 2009, quindi a 10 anni esatti dalla L. 42, ha tirato i remi in barca cioè ha formalizzato la condizione di post ausiliarietà dell’infermiere sapendo che la condizione per demansionare l’infermiere è mantenerlo mansionato cioè a disposizione delle situazioni e quindi dei vari problemi organizzativi ed economici del sistema. Schiavo lo ripeto per non dare luogo a polemiche sciocche, per me vuol dire:
una professione che dipende dalle situazioni senza avere nessuna possibilità di governarle. Quindi
ausiliarietà situazionale.
Cara presidente Mangiacavalli vuole davvero superare il demansionamento quello vero? Mi dia retta applichi la L. 42 e superi il mansionamento e l’ausiliarietà. Cioè faccia in modo che l’infermiere diventi quello che deve essere.
Ma l’Ipasvi, secondo me, ha rinunciato a questa battaglia per cui difende l’art. 49 non solo per un comprensibile orgoglio istituzionale ma perché non essendo riuscita ad andare avanti cioè a dare le gambe alla L. 42 non le resta che tornare indietro cioè ripiegare sulla mansione o sulle competenze avanzate che dir si voglia.
L’art. 49 rispetto alla mansione è come la valvola di sicurezza sul fianco della mia amata macchinetta del caffè, cioè compensa un sistema di disservizi messo costantemente sotto pressione da tre fattori: l’economicismo delle politiche sanitarie; un pensiero sulla professione come quello che lei rappresenta nei confronti della L. 42 nettamente contro-riformatore e una professione decisamente incompiuta
Lei oggi presidente Mangiacavalli ha ereditato oggettivamente una situazione che dire difficile fa ridere, ma della quale lei e tutti gli altri nessuno escluso siete corresponsabili.
Oggi quello che vedo è una Ipasvi impegnata a dissimulare
la sua sconfitta storica e questo succede dopo:
· non essere riusciti a superare la post ausiliarietà,
· non essere riusciti a riformare la realtà di lavoro e le prassi professionali,
· la batosta del comma 566 cioè aver perso una “
guerra” scriteriata contro i medici teorizzata come “
riscatto sociale” e trasformata in “
guerra delle competenze” (Silvestro),
· che i medici si riportano a casa con la benedizione del governo, la loro centralità.
Oggi anziché capire le ragioni della sconfitta e mettere in campo nuove strategie vi siete chiusi e trincerati dietro un progetto regressivo che a partire dalla difesa strenua dell’art 49, punta tutte le sue carte sulla restaurazione della mansione (QS 7/10 marzo 2016) in ragione del quale il vostro mitico profilo professionale dovrebbe diventare come uno spezzatino in umido con le patate.
J’accuse lei presidente e l’Ipasvi che, per non ammettere la vostra sconfitta, state facendo di tutto per falsificare le carte della storia con ciò incuranti di condannare la vostra professione ad una regressione che per essere tale è fatalmente senza futuro.
Voi ingannando un popolo di lavoratori generosi e altruisti state tornando scalzi dal futuro non perché non esiste ma perché non siete riusciti a costruirlo... e per tutelare i vostri egoismi personali siete in viaggio verso l’unica cosa certa che vi è rimasta: il passato.
Per cui presidente Mangiacavalli abbia pazienza siccome quello che faccio a differenza di voi che dirigete l’Ipasvi è
“pro bono”, siccome in tutta coscienza considero
la schiavitù deontologica immorale, siccome non per colpa mia tra voi e gli infermieri ormai c’è un abisso e siccome ritengo che la professione soprattutto per colpa vostra stia andando alla deriva...rinnovo, la domanda:
’Ipasvi di chi è amica degli infermieri o del giaguaro?
Ivan Cavicchi
21 marzo 2016
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