Medici e sindacati. Troise (Anaao): “È l’ora dell’unità. Basta con questa diaspora di sigle”
di Costantino Troise
Serve un cambio di paradigma culturale, politico e organizzativo che, a garanzia di un servizio sanitario universalistico, equo, efficace e solidale, definisca un nuovo “Patto con la Professione Medica”. Un obiettivo irraggiungibile per un mondo professionale diviso, rissoso, percorso da una sorta di invidia sociale e da una diaspora infinita di sigle che restano bizantine nelle differenze
08 GIU - L’intervento su
Quotidiano Sanità del
27 maggio di Ivan Cavicchi pone, da acuto conoscitore della “questione medica”, domande non irrilevanti, ad alcune delle quali provo a rispondere.
La unità professionale di mondi apparentemente distanti, MMG e Medici ospedalieri, contratti e convenzioni, va costruita non solo, certo, con il rifiuto di limitarsi a guardare, come nell’aforisma di Brecht. O con la ostinazione a fuggire la antica coazione a ripetere conflitti orizzontali, tra medici e medici, fenotipi non ancora divenuti etnie. Occorre identificare un comune denominatore e fili in grado di unire, più forti dei contrasti. Cominciando, magari, dal riconoscersi professionisti che lavorano nel e per il SSN, sia pure con profili giuridici diversi, rifiutando un rapporto con le organizzazioni sottomesso al primato delle logiche gestionali ed un modello aziendale concepito e organizzato a partecipazione professionale e responsabilità sociale assente, per rivendicare nelle scelte di politica sanitaria l’autorità di chi lavora e non di chi campa sul lavoro altrui.
Professionisti, con redditi inchiodati da una stessa legge al valore nominale del 2010, che hanno di fronte lo stesso problema, realizzare un sistema che riconosca i valori di appartenenza alla professione superando la dicotomia tra temi professionali e modello organizzativo. Contro una imperante cultura gestionale che riduce i medici a macchine esperte, ma banali ed anonime, ed ignora la loro solitudine e sofferenza, professionale e sociale, nel reggere, di fronte ai cittadini, la forbice tra crescita della domanda di salute e riduzione delle risorse a disposizione. Quel pensiero unico, insomma, che ha trasformato le organizzazioni sanitarie in contenitori votati al puro controllo dei costi, in cui il prodotto passa in terza linea ed i produttori sono il costo maggiore.
Comune, sia pure in modo e misura diversa, è la difficoltà di reggere riorganizzazioni a getto continuo, sempre più improntate al gigantismo istituzionale, ed il rischio civile, penale e patrimoniale insito in un esercizio professionale ancora colpevolmente privo di una idonea e specifica legge sulla responsabilità, favorendo il dilagare in tutti i settori della medicina difensiva. E comune è anche la malattia chiamata governance.
Le Aziende sanitarie, per allineare le prestazioni alle risorse sempre più limitate, orientano la valutazione degli esiti prioritariamente sulla misura del loro consumo e rendono flessibili e trasferibili funzioni e competenze, ristrette per via legislativa, fino a limitare la stessa libertà clinica. La catena di comando e di formazione delle decisioni, comprese quelle che entrano nel core delle pratiche professionali, come la prescrizione, insieme con la natura monocratica del management aziendale, vero padrone di persone e cose, la subalternità dell’autonomia tecnico-professionale alle ragioni della gestione economicistica, costituiscono un valore indisponibile, fortemente strutturato e tenacemente protetto nella architetturanormativa delle Regioni e delle aziende sanitarie.
L’unità della professione e la difesa della sanità pubblica si incontrano nella ricerca di un cambio di paradigma culturale, politico e organizzativo che, a garanzia di un servizio sanitario universalistico, equo, efficace e solidale, definisca un nuovo Patto con la Professione Medica, in una nuova cornice giuridica, amministrativa, civile e sociale. Ripensare il lavoro medico, ricostruirne la centralità, recuperare la autonomia perduta nel leggere le necessità dei cittadini. Ribaltare l’ordine delle cose. Senza di che, diventeranno difficili anche strategie contrattuali che perseguano insieme le proprie utilità e quelle dei cittadini.
Tali obiettivi non appaiono alla portata di un mondo professionale diviso, rissoso, percorso da una sorta di invidia sociale, da una diaspora infinita di sigle che restano bizantine nelle differenze. Ma, potrebbero esserlo, di una rappresentanza sindacale unitaria più forte, e più sinergica con la rappresentanza professionale, capace di recuperare le linee di frattura, la frantumazione organizzativa e le ragioni della professione per far valere ciò che unisce rispetto a ciò che divide, senza la mortificazione di legittimi orgogli di storie e culture associative differenti né la sovrapposizione di funzioni e compiti. Come nella grande manifestazione del 27 ottobre 2012, uno sforzo congiunto delle rappresentanze storiche della Professione può costruire iniziative e progetti comuni che sostituiscano protagonismi identitari esasperati.
La attuale crisi della professione e la estrema frammentazione della sua rappresentanza costituiscono fattori strutturali di debolezza, che non vanno, però, accettati con fatalismo. I numeri della sindacalizzazione medica, i più alti del mondo del lavoro, rimarranno figura astratta se non riusciremo a trasformare la aritmetica in politica, costruendo un punto di aggregazione finale di un soggetto sindacale il più unitario possibile. Magari ci vorrà del tempo perché certi meccanismi producano risultati, ma alla fine lo faranno se riempiremo spazi politici guardando avanti e non nello specchietto retrovisore. Potremmo ritrovarci in un mondo nuovo declinato al futuro per cui può valere la pena rischiare le proprie certezze.
E’ difficile? Certo, ma, “non è perché le cose sono difficili che noi non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili” (Seneca).
Spendersi nella ricerca dell’et et, al posto dell’aut aut, per dirla con Umberto Eco, abbandonando un masochistico gioco a somma zero, è, oggi, un atto politico che impedisce che “le differenze giochino in modo conflittuale”. Mettere, con forte responsabilità, le diversità dentro una visione comune della professione al servizio del Paese, ne legittima e rafforza il ruolo sociale, civile, tecnico, ed insieme garantisce la piena esigibilità del diritto alla salute dei cittadini. Alla fine potremmo scoprirci più simili di quello che crediamo di essere. Certo, occorrono idee, tempo, uomini e donne alla altezza della sfida. Merce rara nei tempi liquidi in cui viviamo.
Le strategie contrattuali possono essere strumento del governo della spesa, e della lotta agli sprechi, a condizione che le Regioni non sottraggano risorse con manovre truffaldine e che sia assicurata partecipazione alle scelte aziendali, e quindi ripensato il ruolo dei professionisti. Anzi. E’ ora di mettersi alle spalle alfabeto e liturgia della contrattazione tradizionale per valorizzare esperienze innovative di responsabilizzazione, partecipazione e decentramento. In una transazione contrattuale del tipo, dammi cambiamenti e ti darò cambiamenti, più autonomia e più responsabilità.
Nessuno ha paura di essere misurato sui risultati, purché si tratti di outcomes e non solo di outputs, tantomeno di fare di più con meno, modello Wallmart. Quanto alla invarianza, quando cambia il contesto, per le organizzazioni cambiare non è una scelta ma una necessità, anche per non essere appiattiti sulla parte di difensori delle inefficienze e delle diseguaglianze. Ed il nuovo ossimoro dell’universalismo selettivo, già presente nel dibattito Anaao alla metà degli anni 90, richiede oggi una declinazione attraverso una lettura delle prestazioni alla luce della appropriatezza, clinica ed organizzativa, per la quale, al posto di circolari e direttive, reclutare le intelligenze professionali ed investire nella loro formazione, sapendo che occorre più e non meno professionalità.
Non usciremo dalla crisi uguali a come ci siamo entrati, anzi non ne usciremo se rimarremo come eravamo. I contratti, però, ed i patti, come altre cose della vita, si fanno in due. Ma Governo e Regioni fuggono dalla contrattazione, con l’alibi della crisi economica, rinunciando alla possibilità di usare le relazioni sindacali come strumento di innovazione e di governo del cambiamento del sistema. La delegittimazione delle rappresentanze sociali è funzionale al mantenimento delle politiche recessive. In suo nome si faranno altri passi indietro, anche se li chiameranno riforme strutturali. Ma CCNL e convenzioni rimangono un diritto che il Governo farebbe bene a riconoscere prima di essere costretto dalla Corte Costituzionale
Una cosa è certa: non sarà possibile mantenere un sistema di tutela della salute equo, solidale ed universalistico, se i Medici del Servizio Sanitario, senza distinzioni di genere, età o stato giuridico, verranno sconfitti nei loro valori etici e deontologici e marginalizzati nelle organizzazioni sanitarie. Diritto alla cura e diritto a curare, professione e sistema pubblico, si tengono insieme ed insieme si salveranno o periranno.
Costantino Troise
Segretario Nazionale Anaao Assomed
08 giugno 2015
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