Cassazione. Confermata condanna per infermiere che aveva somministrato farmaci senza prescrizione del medico
di Luca Benci
Era stato accertato che in almeno nove occasioni aveva somministrato farmaci soggetti a prescrizione medica nelle strutture sanitarie dove lavorava. Ma la Corte sembra “aprire” alla possibilità di prescrizioni “orali” del medico. LA SENTENZA
07 MAG - Viene contestato a un infermiere la somministrazione di farmaci senza prescrizione medica in una casa di riposo. Il reato contestato è l’esercizio abusivo della professione (medica) ex articolo 348 codice penale (cp).
Come è noto il codice penale punisce “chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato” con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da 103 a 516 euro.
L’oggetto giuridico del reato mira a tutelare che determinate attività, in relazione alla loro peculiarità, “siano svolte solo da chi sia provvisto di standard professionali accertati da una speciale abilitazione rilasciata dallo stato” (D’Ambrosio, 1986).
L’articolo 348 cp è però una “norma penale in bianco” ovvero rimanda alle normative di settore di abilitazione all’esercizio professionale. La materia della prescrizione farmacologica è, da sempre, monopolio esclusivo della professione medica, fatta salva l’ormai ampia categoria dei farmaci O.T.C. –
over the counter, “da banco” - per i quali non è prevista la prescrizione.
Ricordiamo che è sufficiente anche una singola prestazione “abusiva” per integrare il reato e non è necessario il fine di lucro.
I giudici di merito – sia di Tribunale che di Corte di appello – hanno accertato che “in almeno nove occasioni, a diversi pazienti ricoverati nelle strutture sanitarie ove egli prestava l'attività di infermiere, ha somministrato farmaci per i quali era necessaria la prescrizione medica, essendo privo della qualifica professionale richiesta ed in assenza di prescrizione di un sanitario”. Tra l’altro, è stato notato non vi erano presenti verbalizzazioni di prescrizione non solo nel “diario clinico” e nel “piano terapeutico del paziente”, ma nemmeno le verbalizzazioni di dubbia legittimità come le “prescrizioni al bisogno”.
La Cassazione (Corte di Cassazione, IV sezione penale, sentenza 17 aprile 2015, n. 16265) conferma tutto l’impianto accusatorio e la relativa sentenza e riporta quanto argomentato proprio nei precedenti gradi di giudizio, tra cui le dichiarazione di un medico e di un’infermiera della struttura i quali sostenevano che la prescrizione di tale tipologia di farmaci “poteva essere certamente impartita dal sanitario oralmente per telefono e, nondimeno, della prescrizione orale del medico avrebbe dovuto necessariamente essere lasciata traccia scritta sul quaderno infermieristico, nella specie del tutto mancante”.
Quindi era necessaria una prescrizione tautologicamente “scritta” oppure, in sua mancanza, una prescrizione verbale o telefonica riportandone traccia nella documentazione infermieristica.
Sul punto, argomentando più in materia di sicurezza e di prevenzione degli errori che non in punto di legittimità, il Ministero della salute è intervento nel 2008 con una Raccomandazione ministeriale, la numero 7, dove si precisava che nelle prescrizioni farmacologiche andava evitata la frase “al bisogno”, “ma, qualora riportata, deve essere specificata la posologia, la dose massima giornaliera e l’eventuale intervallo di tempo fra le somministrazioni”. Norme simili sulla prescrizione telefonica.
Successivamente nella Raccomandazione ministeriale n. 14 del novembre 2012 il ministero individua come cause di errore nella somministrazione proprio la prescrizione verbale e telefonica che comunque rimane di largo uso nelle strutture per sopperire alla carenza della presenza medica nelle ventiquattro ore tenendo conto che, in alcune strutture, come le Residenze la presenza continuativa del medico non è proprio contemplata.
Dato che le Raccomandazioni ministeriali sono, a pieno titolo, da considerarsi “buone pratiche” per la sicurezza delle cure diventa interessante capire cosa possa succedere in caso di contenzioso e, se la mancata osservanza, possa essere giudicata negativamente per l’esenzione dalla responsabilità penale prevista dalla legge Balduzzi.
In punto di diritto, invece, la Cassazione sembra aprire a una legittimità per la “prescrizione non scritta” rimanendo ovviamente in sospeso tutti i problemi probatori che non vengono certo risolti dalla verbalizzazione infermieristica della prescrizione medica.
La somministrazione dei farmaci per i quali è richiesta la prescrizione medica integra dunque il reato di esercizio abusivo della professione medica. Il principio di diritto, consolidato e scontato, è questo.
In una prospettiva
de jure condendo, però non possiamo fare a meno di notare come in questo periodo di dibattito sulle “competenze avanzate e specialistiche”, sulla reale portata del “comma 566” della legge di Stabilità 2015, sulla ridefinizione dei rapporti tra medici e infermieri, il punto dell’obbligatoria prescrizione farmacologica per una categoria di farmaci estesissima debba essere ripensato per non fare versare nell’illegalità quotidiana chi opera soprattutto – ma non soltanto – nelle strutture residenziali o nei piccoli ospedali.
Forme diversificate e multiformi di una qualche prescrizione “non medica” di farmaci non possono essere eluse da chi ha a cuore il corretto e regolare svolgimento dell’esercizio professionale.
Certo non aiuta l’attuale formulazione del codice di deontologia medica (Fnomceo, 2014) che con una norma più giuridica che realmente deontologica specifica che la prescrizione “è una diretta, specifica, esclusiva e non delegabile competenza del medico”.
Importante sottolineatura può essere quella relativa alla “prescrizione” di farmaci da banco e quindi non soggetti alla prescrizione medica. Già alcune norme prevedono le prescrizioni anticipate per il tramite di “protocolli”. La materia merita di essere approfondita e dibattuta.
E’ sicuramente il momento che le professioni – come auspicato anche da molti interventi proprio su Quotidiano Sanità – tornino a dialogare per favorire una normazione più adeguata ai tempi e non lasciare all’azione di supplenza della magistratura il compito di intervenire su questioni che scontano l’inerzia del legislatore.
Luca Benci
Giurista
07 maggio 2015
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