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L’atto medico e l’orto degli altri

di Ivan Cavicchi

Cos'è un'équipe? E' un lavoro multidisciplinare simile a quello che in algebra si chiama  “gruppo ordinato”. Cioè un gruppo di professioni nel quale ogni professione esercita la propria funzione assicurando in senso addizionale la funzione del gruppo. Accrescendo il proprio valore aggiunto con il valore aggiunto del gruppo. Ma poi arrivano gli ortolani e tutto si complica

31 MAR - Le reazioni nervose e risentite  contro  l’onorevole D’Incecco e la sua proposta di legge per definire “l’atto medico” sono financo più interessanti della proposta in sé. Contenuti a parte, sui quali ho delle riserve, la proposta ha il merito, nonostante la sorprendente svalutazione che ne ha fatto Roberta Chersevani, la nuova presidente Fnomceo, di mostrare la pretesa di fondo del comma 566 che per essere assurda rischia di essere senza futuro:
· se devo allargare l’orto è meglio che non vi siano confini  chiari
· è meglio che il mio vicino non sappia dove finisce il suo orto
· ancora meglio sarebbe   se egli  avesse  un orto  che più o meno va ..da qui... a li.
 
Il codice deontologico richiamato da Roberta Chersevani  (articoli  3 e 13), a parte essere una norma volontaria che poco può competere con una norma primaria, si limita a definire l’esclusività della diagnosi e della prescrizione sussumendo genericamente tutto il resto dell’attività professionale  dagli ordinamenti didattici. Analoga operazione fa il comma 566  che non definisce  cosa fa il medico ma lo sussume da una definizione generica e approssimativa:
ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici ” .
 
Questa è una descrizione del lavoro ,medico,  fuzzy, cioè sfumata  e gappy cioè così lacunosa da non essere né vera e né falsa...ma pensata apposta per avere confini indefiniti...e...allargare l’orto degli altri ..cioè:
...ruoli... competenze...relazioni professionali ...responsabilità ...compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie ...”
 
Che l’intenzione del 566 sia quella di allargare l’orto di alcuni a  scapito di altri lo si capisce dalla sua frase conclusiva che allude a “percorsi formativi complementari”. Se l’orto fosse quello definito negli storici confini catastalidelle professioni, per quale ragione l’ortolano pretendente dovrebbe tornare a scuola? Risposta: perché  si pensa che allo stato attuale l’ortolano pretendente non sappia zappare l’orto degli altri.Va anche detto a parte il 566 che esistono problemi nei quali sono i medici che nella pratica hanno messo il cappello su cose che molto più propriamente avrebbero dovuto essere affidate agli infermieri. Cosa che dimostra ancora che il chiarimento non è più  rinviabile.
 
Ma torniamo all’onorevole D’Incecco oggetto suo malgrado di strani e sospetti veti incrociati.La sua proposta secondo me ha il valore di aver messo a nudo le contraddizioni che stanno bloccando il comma 566. Perché?
Se si legge bene la definizione di atto medico (art. 1) non si  dice sostanzialmente nulla di diverso da quello che è già scritto succintamente e genericamente nel comma 566 e nel codice deontologico. Cioè la definizione è a sua volta genericacioèdice tutto e niente, ma a differenza del comma 566 chiarisce  tre cose:
· l’atto medico ricomprende tutte le attività mediche cioè non si limita a competenze complesse e specialistiche,
· è una responsabilità del medico
· è una sua competenza esclusiva.
 
Cioè cosa fa questa irritante deputata del Pd? Tenta di definire a modo suo quello che i deputati irritati del Pd e le loro malcelate estensioni, non vogliono definire, cioè un confine e quindi una potestà. In questo modo a parità sostanziale di contenuti gappy salta il confine fuzzy e gli ortolani pretendenti non possono più allargare  l’orto. Ecco perché tanta avversione. Nella logica del comma 566 i confini devono essere fuzzy altrimenti salta tutto e ognuno resta nel proprio orto. Ora si capisce perché  gli ortolani pretendenti  non vogliono  il  loro vicino al tavolo di  concertazione. Francamente non capisco come la presidente Chersevani non abbia colto il nesso tra la provocazione sull’atto medico e l’esclusione dei medici dal tavolo di concertazione. Azzardo una ipotesi: forse l’idea di scrivere un disegno di legge sull’atto medico  è nata proprio  perché per i medici il 566 non è un luogo in cui ridefinirsi. Ma si possono ridefinire gli infermieri come io desidero con tutte le mie forze senza ridefinire i medici? Escludere i medici da una decisione che li riguarda significa semplicemente impedire loro di rappresentare i propri confini.
 
Ma vi sembra sensata una cosa del genere?
Quindi le reazioni che ha ricevuto la proposta D’Incecco ci fanno capire che le domande politiche da fare sono due:
· espropriare  o concordare?
· chiarire i confini  o sfumarli?  
 
Personalmente penso che per il bene di tutti convenga concordare e definire con chiarezza i confini sia da un parte che dall’altra. Ciò che si definisce equipe, lavoro multidisciplinare, secondo me, deve essere simile a quello che in algebra si chiama  “gruppo ordinato”, cioè un gruppo di professioni nel quale ogni professione esercita la propria funzione assicurando in senso addizionale la funzione del gruppo quindi accrescendo il proprio valore aggiunto con il valore aggiunto del gruppo. Per definire un gruppo ordinato e per smuovere il comma 566 sono arciconvinto che sia necessario concordare confini e forme di cooperazione.
 
Ma cosa vuol dire oggi definire dei confini tra gli orti? Tre scelte possibili:
· lasciare come vuole il 566 che gli ortolani pretendenti rubacchino un po’ di terra ai vicini… i vicini però dovrebbero fare pippa . ..e senza che cambi sostanzialmente nulla per nessuno
· ristabilire come tenta di fare l’onorevole D’Incecco come se fosse un geometra,  i confini storici degli orti ...ma in questo caso dovrebbero essere gli ortolani pretendenti  a fare pippa... e  senza che cambi sostanzialmente nulla per nessuno per non tacere sul fatto che molte cose inopinatamente svolte dai medici resterebbero ai medici
· riformare il catasto e fare una bella cooperativa di ortolani facendo in modo che tutti siano contenti ...in questo caso però per forza dovremmo concordare delle misure riformatrici ...e qui casca l’asino perché se fossimo capaci di riformare i confini  il problema del comma 566 da un bel pezzo sarebbe stato risolto e forse non si sarebbe neanche posto. (Insisto il problema è dei campanari non tanto delle campane)
 
A questo punto vorrei porre la domanda delle cento pistole: ma al famoso malato di cui tutti si riempiono la bocca… cosa conviene?
Personalmente penso che al malato convengano tre cose:
· avere un buon ortolano contento di fare il suo lavoro quindi che il lavoro professionale non sia demansionato, decapitalizzato, dequalificato e sfruttato
· che ogni orto  sia chiarito al meglio nella sua autonomia per avere egli  la garanzia  di essere curato e assistito da tutto il ventaglio di ortolani  in pista,
· che tra gli ortolani vi sia cooperazione e non confusione e meno che mai sovrapposizioni e conflittualità...cioè che le prassi siano tra loro distinte complementari e cooperative  in massimo grado.
 
Se questo è ciò che conviene  al malato allora io credo che:
· tanto i medici che gli infermieri debbano diventare altro da quello che sono da sempre, cioè entrambi  debbano   coevolvere in modo solidale.. cioè  transitare dagli  storici rapporti di reciproca ausiliarietà..a nuovi rapporti di reciproca  autonomia...(la chiamerei autonomia interdipendente) sapendo noi bene che un autonomia assoluta tanto per il medico che per l’infermiere non è praticabile...meno che mai è auspicabile separare la clinica dall’assistenza
· che entrambi debbano andare oltre la logica delle mansioni, dei compiti, delle competenze… ed esprimere articolate e distinte prese in carico attraverso non più  definizioni burocratiche della professione (l’atto medico è esattamente l’equivalente burocratico del profilo professionale degli infermieri)... ma pragmatiche “opere” professionali
· che entrambi debbano in base alle loro rispettive prese in carico  riformare le vecchie forme di cooperazione tra professioni e le attuali organizzazioni tayloristiche del lavoro, perché da sempre essi  lavorano dentro gabbie  che frantumando l’unità del malato frantumano la presa in carico  in mansioni rendendola di fatto impossibile. Se non si supera la mansione di cui è intriso il comma 566 cioè se il malato non è riunificato nel e dal processo di presa in carico si muore tayloristi e non cambia niente.
 
Riassumo la situazione:
· certi ortolani sono disperati perché non sono riusciti  a costruirsi l’orto loro promesso con la L. 42, per cui oggi rassegnati si giocano la carta del comma 566 ...sbagliando perché l’orto promesso è tutt’altro che impossibile basta fare quello che non è stato fatto sino ad ora...
· gli  ortolani vicini sono contro il comma 566 perché difendono legittimamente  i confini dei loro orti...ma a certe condizioni di riforma non è detto che siano contro l’attuazione della L. 42...l’importante che a loro volta siano co protagonisti cioè inclusi e non esclusi nel processo di cambiamento
· entrambi e purtroppo anche coloro che hanno la responsabilità politica degli orti, cioè i campanari, non hanno idea cosa sia una riforma del catasto e una cooperativa di ortolani… per cui tutto si ferma e marcisce.
 
Questo articolo è venuto già troppo lungo per cui mi riservo di spiegare prossimamente come, secondo me, si possono riformare nell’interesse di tutti dei confini cooperanti e solidali e uscire dalle secche in cui siamo finiti. Oltre la siepe del 566 vi è un mondo di possibilità.
 
Ivan Cavicchi 

31 marzo 2015
© Riproduzione riservata

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