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Donne, lavoro e sanità. Infermiere le più a rischio di infortunio: un incidente su tre riguarda loro. Uno studio dell’Anmil


Le donne in sanità sono ormai oltre il 70% degli operatori. E quindi parlare di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro vuol dire parlare soprattutto dei problemi delle sanitarie donna. Parte da questa constatazione la scelta dell’associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro di dedicare un focus al problema. Il convengo al Senato. LA RICERCA ANMIL.

26 FEB - Sempre più di rosa si tinge la sanità italiana e sempre più a rischio sono le operatrici che vi lavorano.  Si tratta di una presenza che va oltre il 70 per cento (850.000 unità su un totale di assicurati pari a circa 1.200.000 dipendenti del cosiddetto comparto sanità) e che riguarda tutte le categorie, medici e direttori generali compresi. I “camici rosa” nel nostro Paese hanno infatti nettamente superato gli uomini salendo dal 40 al 60 per cento. Non deve stupire quinsi se la sanità risulta uno dei pochissimi settori in cui l’incidenza degli infortuni femminili è superiore a quella maschile e, pur causando infortuni di non elevata gravità, provoca 600mila giornate lavorative perse.
 
Un motivo in più per  ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), con una storia di oltre 70 anni di battaglie e iniziative finalizzate alla protezione dei lavoratori infortunati e alla loro tutela, di occuparsi del settore con uno studio  sulla sicurezza e la tutela sul lavoro delle donne che operano nel campo dell’assistenza sanitaria. La ricerca (per i risultati vedi altro articolo in approfondimento)  è stata presentata questa mattina a Roma in Senato, con un parterre di tutto rispetto: Giuseppe Lucibello, direttore generale Inail, Cesare Damiano, Presidente Commissione Lavoro della Camera,  Maurizio Sacconi, presidente Commissione Lavoro del Senato, Camilla Fabbri, presidente Commissione Parlamentare di Inchiesta sugli Infortuni sul Lavoro eFrancesco Rampi, Presidente CIV Inail.
 
“Prendersi cura di chi ci cura”, così si chiama l’iniziativa promossa da Anmil, ha precisato il Presidente Nazionale Franco Bettoni, che vuole richiamare l’attenzione sul comparto sanità in cui l’incidenza infortunistica femminile è assolutamente superiore a quella maschile, sia in termini assoluti che relativi.
 
Non solo. Anche per le malattie professionali si è registrato un incremento per le lavoratrici del settore sanità. Nell’ultimo quinquennio, infatti, ha aggiunto il Presidente Bettoni, le patologie muscolo-scheletriche delle operatrici sanitarie sono cresciute di ben il 73 per cento, passando dai 769 casi del 2009 ai 1319 del 2013, anche alla luce delle Nuove Tabelle delle Malattie Professionali, approvate dall’Inail nel 2008 che hanno esteso l’elenco delle tecnopatie che godono della cd “presunzione legale di origine professionale”. E’ fuori dubbio che proprio nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie, la movimentazione dei pazienti e dei carichi è una delle principali cause oltre che di infortuni, anche di malattie professionali.
 
Attraverso una suggestiva testimonianza di quattro donne, socie Anmil, con diverse qualifiche professionali, (infermiera, operatrice socio-sanitaria, fisioterapista, tecnica radiologa)  che hanno subito infortunio  e contratto malattia professionale, è stato “dipinto”  il quadro di una Sanità segnato da storie caratterizzate da non poche difficoltà, tanto nella vita personale quanto nell’ottenimento  delle adeguate tutele risarcitorie e indennitarie.
 
L’occasione è servita alla Senatrice Silvana Amati, prima firmataria del Disegno di Legge sulla tutela delle vittime del lavoro e dei superstiti dei caduti sul lavoro, a modifica del vecchio DPR 1124 del 1965 relazionare sulle principali novità. Saranno estese le quote integrative per i figli  maggiorenni fino al ventiseiesimo anno di età purché il loro reddito non superi euro 5.681,02.
 
Dai diversi interventi dei curatori dello studio elaborato da Anmil (Franco D’Amico, Coordinatore Servizi Statistico-Informativi Anmil, Domenico Della Porta, docente di Medicina del Lavoro e Maria Giovannone, Direttrice Scientifica Anmil Sicurezza), è emersa l’incompletezza del quadro delle tutele rispetto al fenomeno del burn-out che caratterizza in modo del tutto peculiare proprio le professioni sanitarie a tutti i livelli. Contrariamente per quanto accade per la valutazione dello stress lavoro-correlato che è disciplinato espressamente da precisi riferimenti di legge, nei confronti del burn-out  mancano precise indicazioni.
 
Eppure questo fenomeno è ingenerato soprattutto dal contatto prolungato con la sofferenza e la malattia altrui; ciò specie nel caso di coloro che operano nei reparti psichiatrici, nei pronto soccorso, nei reparti di terapia intensiva, nei reparti oncologici o con malati di AIDS e ancora nei reparti e ambulatori per patologie croniche e invalidanti. Si è visto, ha evidenziato l’avv. Giovannone, che in sede di giudizio, in caso di burn-out, nei confronti del datore di lavoro, la Cassazione tende oggi a riconoscere all’operatore sanitario il risarcimento del danno biologico, del danno morale, del danno esistenziale, di quello patrimoniale, mentre più incerte sembrano la prassi amministrativa INAIL e la giurisprudenza rispetto ai profili indenni tari ove a questi fenomeni non sia riconducibile causalmente una vera e propria malattia di origine lavorativa.
 
Da parte della Senatrice  Camilla Fabbri, presidente della Commissione Parlamentare di Inchiesta sugli Infortuni sul Lavoro e le Malattie Professionali, sono stati anticipati i contenuti della relazione intermedia ancora in fase di elaborazione. Oltre a riflessioni circa la governance dei controlli pubblici nel delicato settore della salute e sicurezza sul lavoro, in linea anche con la discussione in atto sulla istituzione di un’Agenzia unica di ispezione e sulla opportunità o meno di pervenire ad una Procura Nazionale sulla Sicurezza Sul Lavoro, ovvero, ad un Coordinamento Nazionale delle Procure sullo specifico argomento, la presidente Fabbri si è soffermata sulle misure premiali e l’incentivazione degli incrementi degli standard di sicurezza riconosciute dall’Inail chiedendo una maggiore attenzione nonché procedure più snelle. Nella relazione intermedia che sarà sottoposta alla discussione in Aula, ha aggiunto la Senatrice,  saranno evidenziate le auspicate procedure di semplificazione, sempre in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e la gestione della prevenzione tenendo presente maggiormente il cd rischio di genere, in particolare, nel comparto sanità.
 
Altro capitolo da non sottovalutare è quello della valutazione, nelle strutture sanitarie, del rischio violenza e aggressione da parte di soggetti terzi (clienti, visitatori o pazienti).  Nell’attesa di una regolamentazione normativa specifica, ad oggi ancora assente, di tale evidenza ha preso atto il Ministero della Salute con la Raccomandazione n.8 del 2007, per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari. Secondo un orientamento consolidato della Cassazione, i danni subiti dalle lavoratrici a seguito di tali aggressioni possono dunque dar luogo a risarcimento e indennizzo, oltre che determinare la responsabilità penale per omicidio o lesioni colpose aggravate dalla inosservanza delle norme infortunistiche dei direttori delle strutture sanitarie, quali datori di lavoro.

26 febbraio 2015
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