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Comma 566. Le incognite e le incongruenze di una norma molto controversa sul piano giuridico

di Daniele Rodriguez

La norma si intreccia a filo doppio con la legge 42 del 1999 e con il Patto per la salute. Ma ha ripercussioni anche sui decreti ministeriali istitutivi dei profili professionali. Parla anche di competenze mediche nella “cura e nella terapia”. E tenta di dare sostanza all'équipe. Ma le incognite non mancano, a partire dalla formazione e dal concetto stesso di “competenze”

03 FEB - Come sottolineato anche nell’intervento di Luca Benci di ieri, il comma 566 della legge di stabilità si colloca nel solco tracciato dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” ma con ricadute dirompenti sull’impianto di quella legge. Altri autorevoli commenti e dichiarazioni hanno enfatizzato il collegamento del comma 566 con gli articoli 5 e 22 del Patto della salute 2014-2016. 
 
Per la comprensione del comma 566 è dunque necessario riflettere sulle sue indicazioni testuali, per alcuni aspetti oscure e per altri imprecise, e sulle loro connessioni con la legge 42 ed il patto della salute. È fondamentale capire  come il sistema delle professioni sanitarie, che la legge 42 aveva costruito, potrà essere modificato dal comma 566 e se le modificazioni introdotte saranno funzionali ai contenuti ed agli obiettivi degli articoli 5 e 22 del Patto della salute.
 
Il comma 566 e i medici
Il comma 566 esordisce enunciando un duplice concetto: 1) postula competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia; 2) indica che le competenze restano ferme.
 
Che cosa si intenda con dette “competenze” è ambiguo, avendo il sostantivo duplice significato.  Per competenza può infatti, intendersi “ciò che spetta”, “ciò che è di pertinenza”, ma anche, in senso difforme, “ciò di cui si è competenti”, “ciò che si ha capacità di fare”. In sintesi, alternativamente, competenza potrebbe essere sinonimo di “pertinenza” oppure di “capacità”. Se si intendesse competenza come pertinenza, è da puntualizzare che non esistono norme di legge che prevedano organicamente le funzioni professionali del medico e quindi esse  sono ricostruibili solo dalla interpretazione della normativa inerente la formazione universitaria.
 
Non a caso, nel codice di deontologia medica del 2014, è proposta una descrizione della professione medica che pare voler colmare la storica globale lacuna legislativa, proponendo, nell’art. 3, che “…. il medico esercita attività basate sulle competenze, specifiche ed esclusive, previste negli obiettivi formativi degli Ordinamenti didattici dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi dentaria, integrate e ampliate dallo sviluppo delle conoscenze in medicina, delle abilità tecniche e non tecniche connesse alla pratica professionale, delle innovazioni organizzative e gestionali in sanità, dell’insegnamento e della ricerca.” 
 
Nella visione del codice di deontologia medica, le competenze non sono solo prodotto della formazione universitaria, ma vanno “integrate e ampliate” con le modalità dettagliatamente descritte; l’art. 3, nella enunciazione delle competenze, passa dunque dalle “pertinenze” normativamente ricostruite alle “capacità” connesse allo sviluppo delle conoscenze, alle abilità derivanti dalla pratica professionale, alle innovazioni organizzative e gestionali in sanità, all’insegnamento e alla ricerca. Comunque, le competenze dell’art. 3 del codice di deontologia medica: a) sono quelle di qualsiasi medico e b) sono caratterizzate in modo ben preciso come “specifiche ed esclusive”; invece, il comma 566: a’) si riferisce ai soli atti complessi e specialistici e b’) non prevede alcuna specificità o esclusività delle competenze mediche.
 
Ciò che resta fermo dunque è che le competenze dei laureati in medicina e chirurgia attengono anche ad atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, che non sono comunque contemplati come specifici ed esclusivi. 
Resta anche fermo – in realtà è enunciato per la prima volta in un testo di legge con riferimento al medico-chirurgo – che è operata una distinzione, fra gli atti indicati nel comma 566, fra cura e terapia; la portata di questo disposto è tutta da interpretare, ma è pacifico che l’associazione dei due sostantivi indichi che al medico incomba anche una peculiare presa in carico del paziente (cura) che non si esaurisce con la terapia.
 
La formula “ferme restando” maschera una introduzione nell’ordinamento di alcune indicazioni nuove dal punto di vista formale, comunque concettualmente già pacifiche, almeno per alcuni, quali attribuzioni professionali del medico-chirurgo.
È imperscrutabile la scelta del legislatore di aver limitato questa indicazione ai soli “laureati” “in medicina e chirurgia”, senza estenderla anche agli abilitati all’esercizio professionale e, rispettivamente,  escludendo i laureati in odontoiatria e protesi dentaria. Nella attendibile ipotesi che si tratti di una imprecisione terminologica, pare opportuno interpretare il testo come riferito ai medici-chirurghi e agli odontoiatri abilitati.
 
Il comma 566 e le professioni sanitarie
Il secondo concetto del comma 566 è strutturato in tre aspetti: 1) la definizione dei ruoli, delle competenze, delle relazioni professionali e delle responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione; 2) il fatto che questa definizione sia preceduta da un accordo tra Governo e regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati; 3) la attuazione anche attraverso percorsi formativi complementari.
 
Una definizione “grossolana”. Il primo degli aspetti sopra schematizzati si riferisce a professioni sanitarie, individuate con una grossolanità così marcata da rendere il testo del comma 566 suscettibile di interpretazione solo ricorrendo alla immaginazione: infatti si può solo immaginare che la seconda parte della formula “professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione” vada letta come riferita alle professioni sanitarie riabilitative, tecnico-sanitarie e tecniche della prevenzione.  Tutta l’interpretazione della norma è condizionata dalla condivisione di questo immaginario.
 
Non è opponibile alcuna seria osservazione a chi sostenesse che il testo è tassativamente riferito solo alle professioni infermieristiche ed ostetrica, nonché a quelle tecniche della prevenzione. Le professioni tecniche della riabilitazione citate nel comma 566 non esistono e quelle tecnico-sanitarie non sono menzionate nel comma 566. Non consta che a tutt’oggi sia comparso in Gazzetta Ufficiale alcun avviso di rettifica in ordine ad eventuali refusi di stampa nella pubblicazione del testo in esame.
Il ragionamento può dunque proseguire in tutta la sua portata solo ricorrendo al predetto artificioso esercizio di immaginazione.
 
Competenze, funzioni e obiettivi: da “definire” o “ri-definire”? Nel comma 566, l’uso del verbo definire (“sono definiti”) riferito a ruoli, competenze, relazioni professionali e responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie è, almeno in parte, impreciso. Tanti degli aspetti ora citati già compaiono in molti dei profili professionali approvati con appositi decreti ministeriali per tutte le 22 professioni sanitarie alle quali il comma 566, secondo quanto poco sopra immaginato, si riferirebbe.  Poiché i vari profili professionali non sono strutturati secondo uno schema rigido, non è possibile fare affermazioni generalizzanti.
 
Tuttavia tutti enunciano le competenze, le funzioni e gli obiettivi del professionista sanitario di pertinenza. Molti profili dichiarano la responsabilità del professionista (comunque pacifica, per le funzioni descritte, anche ove non esplicitata da un dato profilo ministeriale), quasi tutti definiscono le relazioni professionali con il medico, alcuni si soffermano sulle attività di équipe e in collaborazione con altre professioni sanitarie. Quale significato, dunque, conferire a questo verbo definire (“sono definiti”) del comma 566? È sempre espressione del lessico approssimativo che il legislatore ha adottato nel comma 566 ed è quindi da interpretare come ri-definire, o è manifestazione decisa di volontà di negare valore ai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei profili professionali voluti dal comma 3 dell’art. 6 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e confermati dalla legge 42, come se detti decreti fossero abrogati?
 
Il fatto che il comma 566 non richiami i decreti ministeriali istitutivi dei profili professionali, magari con un “fermo restando” come quello poco prima adottato per confermare competenze mediche normativamente solo in parte esistenti, e che si astenga inoltre dal citare, per le professioni sanitarie, quegli ordinamenti didattici che, soli, sono alla base del “fermo restando” relativo alle competenze professionali del medico-chirurgo, induce a considerare la possibilità di assistere ai primi passi di un cambiamento volto a superare la concezione attuale dei profili professionali, tuttavia ancora non abrogati, ma che tali potranno essere non appena il comma 566 avrà pratica attuazione.
 
Se questa interpretazione è corretta, lo scenario futuro appare denso di cambiamenti sostanziali. La coesistenza, nel comma 566, di due termini – compiti e funzioni – mostra un legislatore forse con idee poco chiare o forse già avviato sulla strada di abbandonare il principio delle funzioni come regola delle attività professionali in sanità, per reintrodurre la logica dei compiti.
In questa prospettiva, è evidente la asimmetria del comma 566: nella seconda parte, si escludono i laureati in medicina e chirurgia per quanto concerne la definizione di ruoli, competenze, relazioni professionali e responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi; siffatta definizione riguarderà solo e soltanto le professioni sanitarie ed è facile prevedere che questa unilateralità di intervento, questa focalizzazione solo sull’area professionale non medica, questo non considerare il fatto che le competenze mediche continuano a non essere definite, favorirà – con particolare riferimento a relazioni professionali e responsabilità di équipe – la reintroduzione del ruolo subalterno del professionista sanitario.
 
A fianco del ruolo subalterno, potranno nuovamente comparire le assurde attribuzioni di funzioni mediche delegate ad altri professionisti sanitari, magari con la motivazione che si tratta di atti non complessi, non a caso non richiamati nella prima parte del comma 566 come competenza (peculiare) del medico-chirurgo. Tutto questo farà arretrare lo sviluppo delle peculiarità dei singoli professionisti sanitari e comprimerà la pratica realizzazione delle loro competenze avanzate.
 
L’attività di équipe. È fuor di dubbio che la novità culturalmente valida, in questo coacervo di parole del comma 566, è costituita dalle indicazioni che riguardano ciò che nel sistema dei profili professionali è rimasto sullo sfondo, che non è mai stato sistematicamente affrontato nelle leggi che avrebbero potuto raccordare i contenuti dei singoli profili e che negli ultimi decenni è stato oggetto di accesi discussioni e dibattiti fra gli esponenti delle diverse professioni sanitarie; si tratta dei rapporti reciproci e della gestione delle rispettive autonomie professionali nell’attività di équipe.
 
Su questa novità è dunque il caso di riflettere: è una questione di carattere generale o è contingentemente subordinata alla pratica attuazione degli articoli 5 e 22 del Patto per la salute 2014-2016? In effetti, la seconda parte del comma 15 dell’art. 5 è simile alla seconda parte del comma 566: “Per un efficientamento del settore delle cure primarie, si conviene che è importante una ridefinizione dei ruoli, delle competenze e delle relazioni professionali con una visione che assegna a ogni professionista responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi, …”; tuttavia il comma 15 continua con alcune precisazioni in gran parte assenti nel comma 566: “… abbandonando una logica gerarchica per perseguire una logica di governance responsabile dei professionisti coinvolti prevedendo sia azioni normativo/contrattuali che percorsi formativi a sostegno di tale obiettivo.”
 
L’art. 22, poi, è ampiamente superato dal comma 566. Tale articolo cita due volte “l'integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie”, che è cosa diversa dalle relazioni professionali e responsabilità di équipe, e mai prospetta di definire o ridefinire ruoli, competenze, relazioni, responsabilità, compiti, funzioni od obiettivi delle professioni sanitarie, pur soffermandosi, sempre per due volte, sulla  “formazione di base e specialistica”, da  “ridisciplinare” in un “disegno di legge delega”.
 
Il comma 566 e le incognite sulla formazione. È opinabile la pretesa del comma 566 di “definire” tutto insieme quel che esso postula di voler definire, limitandosi a contemplare generici percorsi formativi complementari, sulla qualità dei quali pare lecito avanzare qualche dubbio, dato che dovranno essere attuati senza “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
 
Quanto è già definito nei profili professionali potrà essere ri-definito significativamente solo dopo che sarà modificata la formazione di base e specialistica dei professionisti sanitari. Ciò che non è considerato nei profili professionali in materia di relazioni professionali e di responsabilità di équipe è comunque tutelato dalla norma: gli articoli 1, 2, 3, 4 della legge 10 agosto 2000, n. 251 esplicitano il principio dell’autonomia nell’esercizio delle professioni sanitarie, autonomia (dal greco antico: αυτός νόμος) che equivale a competenza nell’operare secondo le regole proprie della professione, autonomia che è da declinare soprattutto nelle attività di équipe.  
 
Conclusioni
In definitiva, tutto ciò considerato, il comma 566 è manifestazione di progettualità volta a negare valore ai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei profili professionali, ma non può essere attualmente considerato abrogativo degli stessi.
L’accordo tra Governo e Regioni previsto dal comma 566 sarà ovviamente decisivo. L’accordo dovrà comunque essere rispettoso delle norme di legge (soprattutto il d.lgs. 502/1992, la legge 42/1999 e la legge 51/2000) che contemplano l’esercizio delle professioni sanitarie in base ai profili professionali ministeriali, formalmente non abrogati da questo comma 566.
 
Nella caratterizzazione dell’accordo, fa spicco, date le precedenti indicazioni sull’ineludibile ruolo della formazione di base e specialistica, la mancanza ai tavoli della “concertazione”di una rappresentanza universitaria, mancanza che non può essere postulata come casuale ed il cui significato evito in questa sede di interpretare.
 
Daniele Rodriguez
Professore ordinario di Medicina legale nell’Università degli Studi di Padova

03 febbraio 2015
© Riproduzione riservata

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