Comma 566. La Fnomceo in campo: “Uno strappo di metodo e di merito al Patto per la Salute”
Con una lettera inviata ai presidenti di Ordine, il Comitato Centrale della Fnomceo entra nella querelle suscitata dalla norma della stabilità. “Il salto di paradigma operato dall’incipit del comma 566 sulle competenze non solo altera ma rende volatili le regole di un processo di coevoluzione delle professioni sanitarie mai seriamente e responsabilmente perseguito”. “Non parteciperemo alla Cabina di regia”.
26 GEN -
Ecco il testo della lettera:
Care Colleghe e cari Colleghi,
ho ricevuto in questi giorni lettere che portavano alla mia attenzione il comma 566 della Legge n.190/2014 (Legge di Stabilità 2015) sollecitando la FNOMCeO ad assumere una posizione ufficiale.
Tale questione, stante la sua portata, era già prevista nell’agenda dei lavori del Comitato Centrale del 17 gennaio u.s. e quelle valutazioni sono entrate a pieno titolo nel dibattito che cercherò di rappresentarVi nel suo sviluppo e nelle determinazioni conseguenti.
In premessa è opportuno richiamare che il comma 566, insieme a tutti gli altri commi della Legge di stabilità 2015 applicativi del Patto della Salute 2014/2016, fu dichiarato dal Governo inemendabile nell’iter parlamentare della Legge di Stabilità, approvata, come noto, con un voto di fiducia.
Non siamo stati consultati in generale nella stesura del Patto della Salute 2014/2016 ed in particolare sull’articolo 22, pur trattandosi di una materia assolutamente pertinente ai ruoli e alla funzioni della FNOMCeO e cioè “
la gestione e sviluppo delle risorse umane”.
Abbiamo dunque preso atto e, a posteriori, condiviso le finalità e gli obiettivi dell’articolo 22, non senza qualche preoccupazione su una certa genericità del testo, sul come e quando si sarebbe attuato il progetto di “....
innovare l’accesso delle Professioni sanitarie al SSN, di ridisciplinare la formazione di base e specialistica, di promuovere lo sviluppo professionale di carriere, di realizzare una maggiore flessibilità dei processi di gestione delle attività professionali.....” in buona sostanza di assumere politiche proattive di valorizzazione del lavoro professionale nelle organizzazioni sanitarie.
Forse non è proprio questo l’orizzonte dell’art.22 del Patto della Salute ma certamente apre un varco nel quale incuneare un processo di “ricapitalizzazione” del lavoro professionale, dopo anni di assoluta subalternità delle “risorse umane” a mere logiche di tenuta dei conti, di gestione del consenso politico, di progressivo impoverimento del controvalore economico e soprattutto di svilimento dei valori di riferimento (autonomia, responsabilità, meritocrazia, trasparenza, formazione, sviluppo delle competenze) che sono invece il cuore della
governance dei servizi alla persona sana e malata.
Un disegno di legge delega, sempre come previsto all'articolo 22, dovrà raccogliere i risultati di un ampio confronto tra i soggetti istituzionali e gli attori del sistema.
Una premessa lunga ma necessaria per affermare che il comma 566 della Legge di Stabilità 2015 rappresenta un vero e proprio “strappo” di metodo e di merito all’art. 22 del Patto della Salute 2014/16. Lo strappo sul metodo è facilmente intuibile: quei contenuti dovevano essere oggetto di un disegno di legge delega al termine di una concertazione con le parti interessate.
Per quanto riguarda il merito, al di là di troppe esegesi sulla necessità di blindare con una norma ordinamentale il progetto di cambiamento, l’unico elemento di “novità” rispetto all’ordinamento previgente è contenuto nell’
incipit del comma 566 e cioè: “
Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione,diagnosi,cura e terapia con accordo tra Governo e Regioni,...omissis”.
La seconda parte del comma 566
“…previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetriche, tecniche della riabilitazione e della prevenzione” sostanzialmente reitera principi già sanciti da leggi nazionali (n.42/99, n. 251/2000 e n.43/06 ) e da tutte le leggi regionali relative ai SSR.
Nei ritardi applicativi di quelle leggi e delle conseguenti occasioni mancate per innovare i servizi di cura ed assistenza, hanno certamente giocato incomprensioni, resistenze corporative, ma questi sono risultati marginali rispetto ad un altro poderoso fenomeno che da anni investe il sistema sanitario e cioè un processo lento ma progressivo di svalorizzazione del lavoro professionale nelle organizzazioni sanitarie, medici compresi.
I medici e tutti i professionisti sanitari hanno cessato di essere una risorsa su cui investire per diventare un costo su cui sforbiciare, sono considerati un problema e non una soluzione al problema della crisi dei sistemi sanitari e i confini delle loro competenze è stato assunto come un elemento di rigidità da superare laddove ostacola un sistematico trasferimento di atti e procedure da fattori produttivi (professionisti) con costi più alti a fattori produttivi (professionisti) con costi più bassi.
La vera “novità” del comma 566 è dunque l’assunzione a rango ordinamentale di un nuovo paradigma nel governo delle competenze secondo cui, al momento, per i medici chirurghi, solo gli atti complessi e specialistici restano esclusivi.
Con un manufatto legislativo da brividi, stante l’evidente discrepanza tra la portata del fine (limitare le competenze esclusive del medico) e la assoluta indefinitezza dell’oggetto da limitare (gli atti complessi e specialistici), si legittimano in realtà le più svariate scomposizioni delle competenze del medico che costituiranno fonti inesauribili per variegati mansionari professionali
low cost su cui fondare innovazioni delle organizzazioni e delle relazioni professionali.
Con questi presupposti di ordine tecnico, prima ancora che politico è purtroppo banale prevedere guerriglie infinite su sfuggenti linee di confine, ciò che la FNOMCeO non vuole praticare ma non intende passivamente subire.
Non siamo stati e non siamo contrari allo sviluppo di competenze delle Professioni sanitarie, con riconoscimenti di carriera ed economici a questi coerenti, ad un cambiamento dell’organizzazione e gestione dei servizi sanitari ma abbiamo sempre sostenuto che il fiorire di modellistiche, alcune delle quali ancora oggi senza convincenti prove di efficacia, non può superare il ruolo di
leadership funzionale del medico nei processi e nelle attività di diagnosi e cura, in ragione delle competenze tecnico professionali acquisite nel corso di lunghi e complessi iter formativi di base e specialisti e delle connesse responsabilità.
Una
leadership funzionale chiamata a garantire l’unitarietà, l’armonia, la qualità e l’efficacia degli esiti dell’intero processo non nega né gerarchizza le molteplici autonomie e competenze tecnico-professionali che intervengono ma le dispone in una matrice di responsabilità e potestà nelle organizzazioni sanitarie che si riconoscono tutte in una sola centralità: la tutela della salute della persona sana e malata.
Il salto di paradigma operato dall’incipit del comma 566 sulle competenze oggi dei medici, forse domani anche di altri, non solo altera ma rende volatili le regole di un processo di coevoluzione delle professioni sanitarie mai seriamente e responsabilmente perseguito ma che riteniamo costituisca ancora oggi la cornice possibile entro la quale esprimere al meglio una
governance di quelle innovazioni, puntualmente reiterate nella seconda parte della norma.
Ci riferiamo all’art.1 comma 2 della Legge n.42/99 “…
Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie…..omissis…..è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario …omissis…” così come richiamato dall’art 1 comma 1 della Legge n.251/2000.
Questa pasticciata norma consegna invece in tante manine e ad altrettante esigenze del decisore di turno, un pilastro ordinamentale: le competenze del medico certificate dallo Stato, con riflessi imprevedibili sulla determinazione dei fabbisogni, sui contenuti formativi, sull’articolazione delle funzioni e compiti nelle organizzazioni pubbliche e private, sul mercato del lavoro medico e sanitario già devastato da vasti e trasversali fenomeni di sottoccupazione e disoccupazione.
Tale “liquidità” delle competenze e delle connesse responsabilità determinerà ulteriori incertezze nel nostro sistema civile e penale relativo alla responsabilità professionale i cui presupposti codicistici, ad esempio in materia di responsabilità individuale e di
équipes, almeno fino ad oggi, non sono nelle disponibilità riformatrici di un accordo Stato-Regioni.
Un’ultima considerazione proietta la questione specifica del comma 566 nel contesto più generale di un’allarmante consunzione dell’architrave ordinamentale del nostro SSN, un fenomeno complesso e difficile da percepire in tutta la sua portata erosiva, del diritto unico ed indivisibile alla tutela della salute.
La devoluzione regionale in sanità (e non solo) così come consegnataci dalla modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, alla luce degli esiti, porta a riconsiderare l’eccessiva frantumazione territoriale e l’incrocio non sempre felice tra qualità e trasparenza dei ceti politici locali e la gestione della cosa pubblica.
L’azienda sanitaria, quale strumento organizzativo gestionale dei servizi (D.Lgs n. 502/92, D.Lgs. n. 517/93, D.Lgs. n.229/99 e s.m.e.i.) è diventata un mero esercizio di creatività dei gruppi dirigenti di turno e palestre per tecnocrazie emergenti, un contenitore di anonimi fattori produttivi che va consumando
l'eterogenesi dei fini.
I Livelli Essenziali di Assistenza (DPCM 29/11/01), posti a presidio dell'universalismo e dell’equità, sono da tempo variabili dipendenti dalle risorse disponibili, dai tagli su queste operate, dalle capacità gestionali espresse sui territori.
Le regole d’ingaggio del lavoro professionale, (requisiti di accesso, concorsualità, contratti, carriere secondo il merito, la sicurezza delle condizioni di lavoro, i tempi di lavoro) sono largamente eluse quando non palesemente violate inondando i servizi di precari senza identità e speranze, congelando dinamiche retributive, carriere, stressando oltre la legalità, orari e tempi di lavoro.
Una parte rilevante della tenuta del nostro SSN nonostante il pesante contributo dato al riequilibrio del bilancio dello Stato, come confermano rapporti di Autorità nazionali ed internazionali, poggia su questo uso ed abuso intensivo del lavoro professionale che ha superato il punto di rottura.
All’interno di questa cornice più vasta che pone a tutti l’onere di non arretrare sulla tenuta dell’art. 32 della Costituzione, si profila il tema non corporativo ma di interesse generale di rinegoziare un Patto Professionale contestualmente ad un processo di innovazione e rafforzamento degli assetti ordinamentali del nostro SSN, qualcosa in più e di diverso dal pur ambizioso Patto della Salute 2014/16 che sconta già ritardi, incertezze, resistenze e qualche licenza di troppo.
Per quanto ci riguarda deve ritornare in campo non solo la responsabilità di coinvolgere ed accogliere culture e legittime aspirazioni della nostra Professione ma anche di farle incontrare e dialogare con la complessità delle culture e vocazioni dell'universo professionale, delle tecnocrazie governanti, delle istituzioni esitanti, della buona politica latitante e soprattutto dei cittadini i cui diritti sono e restano il centro su cui misurare la qualità e l'efficacia delle soluzioni.
In questa prospettiva il Comitato Centrale ha ritenuto di declinare l’invito pervenuto a partecipare alla cosiddetta “Cabina di regia” istituita alla scopo di monitorare i processi attuativi del Patto della Salute pur apprezzandone lo spirito che lo anima e le potenzialità che esprime.
Viene posta una ragione di metodo laddove quella sede di confronto, così come configurata, non distingue ruoli e compiti degli attori, le Federazioni Nazionali degli Ordini e dei Collegi non sono parti sociali come le Organizzazioni Sindacali legittimamente preposte a interessi categoriali, ma soggetti pubblici a cui lo Stato affida la tutela degli interessi generali connessi all’esercizio delle Professioni che rappresentano.
Il comma 566 pone, al momento solo a noi, anche una questione di mancanza di chiarezza o peggio di grande chiarezza sulle finalità che si intendono perseguire e ha indebolito la credibilità della stessa cabina di regia sulla possibilità di reggere non lo scontro ma l'incontro tra legittimi interessi in campo e soprattutto, ripetiamo, promuovere la coevoluzione delle Professioni e le innovazioni organizzative e gestionali quali determinanti della sostenibilità del nostro SSN.
Con i migliori saluti
Il Comitato Centrale Fnomceo
26 gennaio 2015
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