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Standard ospedalieri. Anaao Assomed: “È mancato il confronto con i medici“

di Costantino Troise e Carlo Palermo

Il documento non sembra in grado di imprimere una nuova direzione al sistema ospedaliero, né di individuare le articolazioni organizzative necessarie per rispondere in modo più flessibile alle persone e ai loro problemi, né i contingenti ottimali di risorse professionali per garantire cure e sicurezza.

11 AGO - Il Regolamento “Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera", previsto dal Patto della Salute, ha incassato l’intesa tra Stato e Regioni, anche se con emendamenti “irrinunciabili” dei Governatori. Ed è partito il coro di chi apprezza la tempistica della approvazione o ne loda i contenuti, che preannuncerebbero per le strutture ospedaliere una nuova rotta, non si sa se da temere o da auspicare, o addirittura una svolta epocale. Anche se la validità del parametro posto letto, che di quel regolamento è il pilastro, viene da subito messa in discussione da uno dei firmatari.

Pochi entrano nel merito di un documento ambizioso, preparato senza confronto con le organizzazioni sindacali della Dirigenza dipendente del SSN, provando a rispondere alle numerose critiche suscitate, comprese quelle dell’Anaao Assomed, fin dalla sua comparsa quasi due anni or sono.
Uno degli interventi ricorrenti di controllo della spesa sanitaria in Italia in questi ultimi anni è stato il taglio dei posti letto ospedalieri. Il Regolamento persegue l’obiettivo di fissare in maniera, non si sa quanto, vincolante, il numero dei posti letto ospedalieri agli standard previsti con la legge 135/2012 (3.7 posti per 1000 abitanti comprensivi dello 0.7 per riabilitazione/lungodegenza e tasso di ospedalizzazione ottimale inferiore a 160 per mille abitanti), per tentare di garantire livelli di assistenza ospedaliera omogenei nel territorio nazionale. Ma i dati OECD pubblicati nel giugno 2014, riferiti al 2012, dovrebbero far riflettere.

Se si considerano i posti letto per acuti, l’Italia sarà ben al di sotto della media OECD (4,8‰) ed in 20a posizione tra i 34 paesi analizzati. Il confronto con gli altri Paesi europei a noi vicini per condizioni economiche e sociali diventa imbarazzante. La Germania è all’8,3‰, l’Austria al 7,7‰, la Svizzera al 4,8‰, la Francia al 6,3‰. Solo l’Inghilterra ha una dotazione di posti letto inferiore alla nostra assestandosi sul 2,8 per mille abitanti (rank 28/34). Ma , proprio in Inghilterra incominciano a manifestarsi forti dubbi sulle politiche sanitarie seguite negli ultimi decenni. Un editoriale pubblicato sul BMJ il 20 maggio 2013 afferma che “Nelle ultime decadi vi è stata una importante riduzione dei posti letto per acuti e molti ospedali ora lavorano con un indice di occupazione dei posti letto intorno al 90%. Ulteriori riduzioni nei posti letto nella vana speranza che aumentando i servizi territoriali si riducano i ricoveri potrebbe rivelarsi potenzialmente pericoloso per la cura dei pazienti”. Del resto, è consolidato in letteratura il dato che lavorare con indici di occupazione dei posti letto ospedalieri superiori all’80-85% comporti un incremento della mortalità e morbilità dei pazienti ricoverati sia per il rischio accresciuto di infezioni ospedaliere sia per la minore attenzione con cui vengono seguiti dalle équipe i casi complessi in condizioni di stress lavorativo. Anche le evidenze a supporto del concetto che l’incremento delle cure territoriali possa ridurre i ricoveri dei soggetti anziani e fragili e quindi la necessità di cure , e di letti, ospedaliere, sono scarse. Infatti le persone anziane, fragili e spesso poli-patologiche sono soggette a frequenti episodi di instabilità clinica difficili da trattare in un ambito di cure primarie.

Il dato macroscopico da rilevare è che un ulteriore taglio di posti letto avviene in assenza di sviluppo di una nuova organizzazione delle cure primarie, tipico di politiche sanitarie in tempi di crisi in cui si capitalizzano subito i risparmi, rimandando ad un lontano ed incerto futuro gli investimenti. Questa politica dei due tempi avrà come conseguenza una limitazione dell’accesso alle cure ospedaliere . I posti barella, sperando di non arrivare ai posti sedia, in attesa del cartello solo posti in piedi, che oggi si osservano in molte realtà ospedaliere ne costituiscono un tratto caratteristico . Manca nella enfasi che accompagna il regolamento la consapevolezza che, in una ottica di sistema, ruolo e organizzazione delle strutture per acuti vanno ripensati insieme, non prima né dopo, con quelli delle cure primarie. “Sincronizzando la riorganizzazione degli ospedali con lo sviluppo di modelli consolidati di cure primarie”(Cartabellotta) per il necessario equilibrio tra attività ospedaliere ed extraospedaliere.

Gli ospedali italiani hanno perso in 10 anni oltre 70.000 posti letto, passando da circa 295.000 a 224.000 . Un disastro annunciato per le liste di attesa e per i Pronto Soccorso, trasformati in veri reparti di ricovero inappropriati, insicuri e spesso non dignitosi. Alla base del drammatico sovraffollamento dei PS c’è proprio la carenza di posti letto per ricovero ed il conseguente fenomeno degli ingorghi di barelle , e non solo, a causa dello “stazionamento” dei pazienti nelle aeree di PS. La politica di soli tagli, particolarmente grave nelle regioni sottoposte a piani di rientro, il conseguente crollo del rapporto posti letto / abitanti sotto la media europea, accentuato dal Regolamento, le crescenti esigenze di cittadini con età media molto avanzata, in aree metropolitane con popolazione effettiva maggiore di quella “ufficiale”, e complessi problemi clinici e socio-assistenziali, rappresentano la prima causa delle criticità dei PS. Senza dimenticare il drammatico problema delle carenze di organico, medico ed infermieristico, il dilagare del precariato, particolarmente delicato nelle aree di emergenza, il peggioramento delle condizioni del lavoro medico in tutte le aziende sanitarie.

Ma il Regolamento, ed il Patto che lo contiene, non offrono soluzioni a queste criticità. Manca ogni riferimento ai livelli minimi organizzativi, in termini di quantità e competenze delle risorse umane necessarie per la attività delle strutture sanitarie, in riferimento anche alla mission attribuita. E questa criticità, che fa di competenze e saperi e risorsa tempo professionale parametri variabili con i contesti regionali ed optionali, espone le strutture ospedaliere al rischio di costituire quinte teatrali vuote di quegli attori che pure danno un senso alla loro esistenza, un semplice contenitore di categorie professionali impoverite numericamente fino a livelli organizzativi che non riescono a fare di un ospedale un ospedale.
In Italia siamo nel pieno di una transizione demografica ed epidemiologica. I soggetti ultra sessantacinquenni passeranno dai circa 12 milioni attuali ai circa 18 milioni nel 2050. I pazienti che si osservano oggi negli ospedali sono sempre più anziani, disabili, con diverse comorbilità spesso misconosciute, clinicamente complessi e soggetti a instabilità anche per cause banali. Pensare di riorganizzare e rendere efficiente il sistema sanitario attraverso politiche di tagli lineari su fattori produttivi importanti come i posti letto e le dotazioni organiche, da cui dipendono i diritti di accesso alle cure dei cittadini, merita molta cautela . Sprechi ed inefficienze si annidano anche nel settore sanitario ma la speranza di eliminarli senza l’aiuto dei medici e dei sanitari, o peggio contro di essi, è in realtà pura illusione.

In particolare:  

·       Gli standard ipotizzati nel Regolamento approvato rappresentano, di fatto, un ritorno ad una organizzazione ospedaliera riscontrabile in Italia negli anni 80’. Oggi non è immaginabile ipotizzare ospedali che abbiano un accesso al P.S. superiore a 25.000/30.000 utenti per anno, senza una guardia cardiologica e rianimatoria h 24 e letti di terapia intensiva e sub-intensiva gestiti in modo multidisciplinare. Gli eventi cardiovascolari, le gravi insufficienze respiratorie, gli stati di shock rappresentano le principali urgenze che un P.S. affronta . Non avere uno specialista esperto nelle tecniche rianimatorie o nella clinica delle malattie cardiovascolari, e reparti adeguati , significa solamente condannare a morte un discreto numero di cittadini ogni anno, soprattutto se le distanze dai centri maggiori sono superiori ai 60 minuti, così come limitare in modo consistente lo sviluppo delle attività chirurgiche. Senza contare che una rigida segmentazione per bacini di utenza rischia di essere facilmente superata dai bacini di utenza reale i quali, ovviamente, dipendono dal tipo di attività e dalla capacità di un ospedale di fare attrazione. Gli standard per gli ospedali di base rappresentano una regressione verso modelli organizzativi vecchi che costringono comunità di 100.000 150.000 anime a stare senza rianimazione e ad uno sviluppo delle attività chirurgiche fortemente limitato (chirurgia ambulatoriale e day surgery). Tutte le urgenze più importanti dovrebbero essere trasferite in altri ospedali sedi di DEA di 1° livello , che attualmente non sarebbero nemmeno in grado di accoglierle tutte.

 

·       Per gli Ospedali sedi di Dea di I° livello (150.000/300.000 abitanti) la dotazione di UU.OO. specialistiche è scarna. Viene estremizzata l’organizzazione hub and spoke andando oltre i limiti per cui è nata (trattamento grandi traumi, sindrome coronarica acuta, stroke) con la tendenza generale di trasferire verso i grandi ospedali anche la casistica che con adeguata organizzazione potrebbe essere trattata in sedi vicine agli utenti. Non si tiene conto che la centralizzazione della casistica oltre certi limiti comporta ospedali con posti letto superiori a 600/800, che la letteratura economico-sanitaria considera come limite massimo per avere un adeguato controllo dei costi.
 

·       Le indicazioni per la “Rete dell’emergenza/urgenza” strutturata in centrale operativa del 118, rete territoriale di soccorso, rete ospedaliera non tengono conto della necessità di assicurare un unico rapporto giuridico ai medici del 118 per una migliore integrazione funzionale e strutturale ed un unico modello organizzativo, quello del Dipartimento monospecialistico della emergenza-urgenza. Non risulta chiaro che gli elevati volumi di attività effettuati, sia nel settore dell’ emergenza preospedaliera che ospedaliera, ai fini della qualità ed affidabilità del servizio, necessitano di adeguato numero di personale dipendente con una formazione comune finalizzata all’acquisizione di competenze cliniche ed organizzative specifiche .

 

·        Le madri ed i nascituri vengono trasformati in migranti obbligati, alla ricerca nel territorio provinciale di professionisti che effettuino prima il parto e poi i controlli previsti spesso nelle fasi successive alla nascita. Senza parlare dei malati oncologici e dei pazienti affetti da insufficienza renale cronica che necessitano del trattamento emodialitico, costretti a ricercare in luoghi lontani la soluzione ai loro problemi clinici.
 
Siamo di fronte ad una spinta dirigista orientata a tagliare con l’accetta l’ esistente, con il rischio che tutto si riduca ad un esercizio necessario per incidere ope legis su singole realtà organizzative, con la ingiustificabile , ma non più sorprendente, esclusione delle Aziende Ospedaliere Universitarie, che pure concentrano il più elevato numero di strutture complesse in relazione al numero di dipendenti ed i volumi di attività con le maggiori criticità in termini di dispersione della casistica . Ma è curioso che sia il Ministero a decidere il numero delle Unità Operative Complesse, nell’ipotesi che chiudere posti letto qui e là per gli ospedali porti a una inversione dei costi, i quali si modificano solo se si chiudono interi Ospedali. E si rassegni anche chi pensa che da questa operazione possa scaturire una razionalizzazione del numero e della tipologia delle strutture complesse attraverso l’eliminazione di reparti che sopravvivono al di sotto di ogni standard, compresi quelli di decenza. L’operazione di taglio dei primariati ospedalieri è stata da tempo avviata dalle Regioni ed oggi i veri baroni della medicina non tremano, essendo stati esentati dal Ministro, e dalle Regioni, dal rispondere agli obblighi di programmazione in termini di riduzione di posti letto e numero di strutture complesse: la sanità universitaria come ultima variabile indipendente, per gentile concessione di Ministri e Governatori, del sistema sanitario ed economico!
Il documento non ci sembra in grado di imprimere una nuova direzione al sistema ospedaliero, né di individuare le articolazioni organizzative necessarie per rispondere in modo più flessibile alle persone e ai loro problemi, né tantomeno i contingenti ottimali di risorse professionali per garantire le cure e la loro sicurezza, al di là del non nuovo tentativo di introdurre la figura del risk manager.


Anzi, l’oggi criticato parametro posto letto è quello ritenuto più utile per una rideterminazione al ribasso degli organici. Da subito, con buona pace di giovani e precari di lungo corso, mentre la parte innovativa relativa alla determinazione di standard di prestazioni, in termini di esiti favorevoli delle cure e riduzione del rischio clinico, è , c’è da scommettere, destinata a molte eccezioni. Gira e rigira l’obiettivo è ancora il costo del lavoro dei professionisti, da ridurre non solo con un blocco contrattuale decennale, ma con la loro riduzione numerica, attraverso blocco del turn over e rottamazione, lasciando al palo le speranze dei giovani medici, ai quali si concede soddisfazione solo se funzionale agli interessi della Università nel mantenere in piedi immutato un sistema formativo decotto.


Senza un confronto con i Medici e le altre professioni sanitarie, ed i loro rappresentanti, si confezionano prodotti a tavolino, modellini tecnocratici che difficilmente riusciranno a rappresentare e migliorare la realtà complessa degli ospedali, che, piaccia o non piaccia , della sanità italiana costituiscono un pilastro insostituibile. E resistente, di fronte a chi vuole rottamare contenitore e contenuto, che è fatto di diritti, saperi, competenze, per di più con esiti incerti visto che le Regioni continueranno a regolarsi in base a scelte locali, come testimonia il fatto che molte hanno già fatto i tagli non in base a standard, ma a motivazioni geopolitiche.


Per cambiare pagina occorre aprire un confronto vero tra tutti gli attori coinvolti nel sistema sanitario, per meglio rispondere alle attese di salute di cittadini stremati da una crisi economica che sembra non avere fine e andare oltre la retorica della scelta epocale per affrontare insieme la prosa delle scelte che servono. Altrimenti la sanità continuerà a rincorrere di manovra in manovra le ragioni della propria sostenibilità ed i cittadini le condizioni per esigere un diritto costituzionale.


Costantino Troise Segretario Nazionale Anaao Assomed
Carlo Palermo Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed

11 agosto 2014
© Riproduzione riservata


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