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Il Codice deontologico e la "questione medica". Ma il nuovo testo è veramente "nuovo"?

di Ivan Cavicchi

Il “genotipo professionale” del medico a cui il codice, varato la scorsa settimana dalla Fnomceo, si riferisce è quello che si forma tra l’800 e il  ‘900, per cui  il “fenotipo professionale” che esso descrive, pur aggiornato qua e la, è superato. Un’analisi “per misurare” la qualità del nuovo codice dei medici e degli odontoiatri italiani (prima parte)

26 MAG - Ancora non è stato inventato un modo  per misurare la qualità  di un codice deontologico. Potremmo  però ricorrere al  “criterio di  pertinenza”  cioè valutare  se il codice  è pragmaticamente  adeguato   alla realtà del medico. Quindi il criterio che dichiaro quale postulato dei miei ragionamenti e del quale intendo avvalermi è “pertinenza come validità”.
 
Ma come si fa? Semplice...  si assume  la realtà del medico, cioè i suoi problemi, limiti, contraddizioni, possibilità, quindi tutti  i fenomeni che lo riguardano (explananda), come pietra di paragone e li si confronta  con gli articoli del codice. Il codice è pertinente se risponde agli explananda  scelti, cioè se li spiega deontologicamente, quale realtà. Propongo, come secondo postulato ai miei ragionamenti, di riassumere l’insieme degli explananda con l’espressione “questione medica”.
 
Da dove partire? Partirei  dai presupposti del codice dai quali sono dedotte le sue regole, con una doppia finalità:
· valutare se il codice è coerente con i suoi presupposti,
· valutare se i presupposti  sono pertinenti con la questione medica,
 
I presupposti che esaminerò  in questo primo articolo sono sostanzialmente due:
· le sua premessa strategica,
· la sua definizione di deontologia.
 
1) La premessa strategica dichiarata dalla Fnomceo è quella di “aggiornare” le regole del precedente codice deontologico (2006). Il suo scopo  quindi non è “riformare”  ma è  “migliorare”, cioè  rieditare in forma aggiornata  il codice precedente, che a sua volta ha migliorato e ha rieditato quello ancora prima, ecc , come si fa con i trattati che si aggiornano ma senza  mutarne mai il modello.
 
Si tratta quindi  di capire:
· se il codice riesce a fare un buon lavoro di aggiornamento,
· se l’aggiornamento del codice è pertinente con la “questione medica”,
· se basta aggiornare per avere la pertinenza  desiderata.
Il lavoro di aggiornamento del codice, valutando tutti i cambiamenti importanti della medicina e della sanità, risulta essere, lacunoso e contraddittorio.
 
Lacunoso perché ignora tante cose, cioè è disattento nei confronti dei tanti cambiamenti della realtà sociale, medica, e sanitaria un esempio per tutti: ignora  il fenomeno più significativo che ha investito  la medicina dei nostri giorni  vale a dire la “femminilizzazione  della professione”, per cui omette di aggiornare le sue regole in ordine alle discriminazioni di genere, ai soprusi  di cui le donne medico sono vittime, ma anche ai nuovi problemi che questa   “nuova maggioranza” pone in termini di rappresentanza.
 
Contraddittorioin tanti articoli ma soprattutto in quelli che:
· da una parte  traslano  sui comportamenti professionali  i valori tipici dell’economicismo di questi anni anche se essi sono stati  il più formidabile fattore di condizionamento dell’autonomia del medico(art 6),
· dall’altra  esaltano   il valore dell’autonomia  quale valore incondizionabile  (art 3, 4,13, 79).
Si è discusso molto sull’art 3, a proposito del rischio di condizionare le “attività” del medico con  le  “innovazioni organizzative e gestionali”, (il che se fosse evolutivo di professionalità non sarebbe un problema), ma il vero nodo è nell’art 6, dove l’interdipendenza tra professione e gestione è apertamente dichiarata. In questo articolo gli atti della professione sono vincolati ai principi del marginalismo, quindi all’uso ottimale delle risorse, ai principi dell’appropriatezza e a quelli dell’efficacia, che sono principi in quanto  tali inconfutabili, ma che agiti nelle realtà aziendali diventano tutto e il contrario di tutto.
 
Gli errori del codice sono due:
· assumere questi valori  in modo decontestualizzato cioè acriticamente,
· non subordinarli, proprio perché trattasi di valori con un’alta ambivalenza e ambiguità, a regole deontologiche precise di salvaguardia dell’autonomia professionale.
 
2)  Per quanto riguarda la “definizione” di deontologia(art 1) che il codice ci fornisce, è necessario valutare se le premesse dalle quali essa è dedotta sono pertinenti con la realtà. Le premesse della definizione  per essere pertinenti dovrebbero riferirsi  agli  explananda, ma in realtà esse si riferiscono a principi tautologici. Il codice ,“identifica le regole”  ispirandosi  “ai principi di etica medica che disciplinano  l’esercizio professionale del medico ”(art 1). In questo modo la definizione di deontologia che ci viene proposta è teorica e in quanto tale fuori dalla realtà e quindi non pertinente.
 
Dove è il problema? Proprio la “questione medica” è la dimostrazione che i “principi” e i “valori” tautologici, dentro contesti finanziariamente complessi, sono fortemente condizionanti le autonomie professionali, per cui a confronto con la realtà, diventano “petizioni di principio” e nulla più. Inevitabilmente un codice che non si rapporta ai problemi dei medici ma alle petizioni di principio finisce per essere irrealistico e rituale. Con ciò non sto dicendo che nel codice non si debbano definire principi e valori, ma solo che non basta enunciarli, serve cioè accompagnarli con dei “condizionali” che ne garantiscono l’uso e l’applicazione razionale e ragionevole.
 
I principi per di più, anche quelli dell’etica medica, enfatizzano per loro natura i fini presupponendo una cosa che oggi in sanità non può più essere data, cioè che “i fini giustificano i mezzi”. La “questione  medica” dimostra esattamente il contrario, vale a dire, che nella pratica ordinaria oggi sono “i mezzi che giustificano i fini”. Oggi i principali problemi dei medici nascono dal fatto che la loro autonomia , è subordinata all’impiego dei mezzi disponibili.
 
La deontologia del codice, nonostante le petizioni di principio circa l’autonomia professionale, risulta purtroppo inquinata dall’economicismo e in qualche caso ad esso subordinata. Oggi partire dai principi e non dai problemi è una operazione discutibile anche perché si pensa che la deontologia sia una, cioè quella che corrisponde a certi principi, ma oggi è molto riduttivo parlare di “deontologia”  al singolare perché i fenomeni  che interessano il medico sono tanti al punto da sollecitare più “etiche deontologiche ”.
 
Se dietro ad un codice vi è sempre un insieme di fenomeni ai quali corrispondono etiche deontologiche diverse, allora il difficile è trasformare questo insieme in un sistema di regole non contraddittorio. Per armonizzare le regole tra loro ci vuole questa volta una idea/ideale di medico che coordini  in modo evolutivo, l’elaborazione deontologica. A partire da questa idea/ideale di professione si tratta di convocare e armonizzare tutte le etiche che ci servono per scopi deontologici. Nel codice questa nuova idea/ideale non c’è. Cosa fa il codice? Assume implicitamente quella del  medico di ieri aggiornandola, non quella del medico di domani, cioè riformandola, cioè assume una idea tradizionale di professione che proprio perché tradizionale è rispetto ai mutamenti in essere inevitabilmente regressiva.
 
Cosa avrebbe dovuto fare il codice? Avrebbe dovuto:
· abbozzare una  idea/ideale  di medico per il terzo millennio,
· delegare alla suaautonomia   la mediazione tra i principi  e la realtà, tra fini e mezzi, tra etica ,scienza e economia,
· condizionare con precisione la sua autonomia a  dei criteri  di “razionalità” e di “ragionevolezza” in grado  entrambi  di garantire tanto  il raggiungimento del “giusto fine” quanto  l’impiego del “giusto mezzo” .
 
L’idea di “autore”, che tutti mostrano di apprezzare in teoria, è una idea nuova di medico, un ideal  tipo, calibrata sul terzo millennio, che in cambio di autonomia assicura responsabilità  facendosi valutare sui risultati. Il medico autore può riprendersi l’autonomia perduta proponendosi quale  mediatore ragionevole tra i principi, i  valori e la realtà, tra i fini della medicina e i mezzi della sanità, tra l’azienda e la società. Se non sarà sua la mediazione essa sarà di altri... cioè egli sarà suo malgrado mediato.
 
Ricorrendo ad una metafora che i medici conoscono bene, si potrebbe definire l’autore  come  il “genotipo professionale”  (corredo professionale, assetto funzionale, identità, possibilità, limiti) attraverso il quale si definisce  il “fenotipo” cioè i suoi tanti atti e comportamenti professionali senza essere costretti, come fa il codice inutilmente, a defaticanti specificazioni.
 
Il  “genotipo professionale” del medico a cui il codice si riferisce è quello che si forma tra l’800 e il  ‘900, per cui  il “fenotipo  professionale” che esso descrive, pur aggiornato  qua e la, è superato.
 
(Fine prima parte)
 
Ivan Cavicchi

26 maggio 2014
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