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Ecco come nascerà l’iper infermiere “a costo zero”

di Ivan Cavicchi

Nel 2017 la spesa sanitaria dovrà calare di un punto percentuale rispetto al Pil. E se le nuove competenze al centro delle polemiche tra medici e infermieri servissero anche a questo? Un'ulteriore perplessità su una bozza di accordo che mi convince sempre meno

30 DIC - Ho visto crescere  negli anni  una ingombrante ipertrofia istituzionale delle Regioni. Proporsi semplicemente come “totalità”, questa era la loro pretesa, per cui inventai la parola “regionismo” (Malati e governatori, un libro rosso per il diritto alla salute,2006). Oggi  tutti  ce l’hanno con le Regioni, ma in quegli anni ormai lontani  “regionismo” era un’eresia.
 
La “bozza di accordo”  per lo sviluppo delle competenze  infermieristiche  è  un capolavoro di regionismo perché ha  la pretesa della “totalità”.  Le Regioni nei riguardi delle competenze infermieristiche  definiscono e promuovono  “tutto” più o meno in collaborazione con altre istituzioni
· l’accreditamento professionale
· i criteri per lo sviluppo delle competenze degli infermieri
· i percorsi formativi
· specifiche innovazioni(….)  formative
· lo sviluppo omogeneo delle competenze professionali
· ecc.
 
Sulla carta quindi le Regioni dispongono le cose come se fossero “titolari” delle competenze professionali e delle funzioni formative ad esse correlate ma senza avere nessun “titolo” per farlo. A leggere l’art 117 della Costituzione, la funzione n) “norme generali sull'istruzione” rientra tra le competenze esclusive dello Stato, e nelle materie di legislazione concorrente, sono espressamente escluse “l’istruzione e la formazione professionale”. Ma allora perché forzare le regole e non fare le cose per bene per evitare che tutto si impantani in un estenuante contenzioso legale?
 
Sulla carta l’organizzazione dei servizi che è di spettanza regionale ma è demandata ad atti e accordi successivi. La bozza non ci propone uno sviluppo di competenze dentro una riorganizzazione di sistema, ma in realtà una redistribuzione di competenze tra professioni rispetto ad alcune “aree di intervento” ad organizzazione invariante che da quel che si capisce sono state scelte per coprire alcune “esperienze avanzate” quali il triage infermieristico nei DEA, il dispatch al 118, il see & treat in pronto soccorso, i PICC team, l’area ad alta intensità di cura, il case manager ecc.
 
Eppure non sarebbe stato male fissare per lo meno i caposaldi di un progetto per riorganizzare la sanità a scala di sistema dal momento che gli infermieri sono praticamente ovunque e non tutti sono in regime di sperimentazione. E gli altri? L’organizzazione è un tema redimente ma è rimandato ad un “osservatorio nazionale delle buone pratiche” presso il ministero della Salute. E l’Agenas cosa ci sta a fare?
Vorrei chiarire una volta per tutte che non ho nessuna preclusione a ridefinire la “competence” di nessuna figura professionale, so da me che le cose cambiano, anche se per me tale ridefinizione non deve percorrere le vecchie strade degli anni ‘90, ma dovrebbe avere un carattere sistemico, passare per “una convenzione di punti di vista” con tutte le professioni (chi non ci sta è automaticamente fuori) per la definizione di nuovi impegni dei “competents” e dentro una nuova idea di sanità pubblica.
 
Le mie perplessità quindi non nascono tanto dai significati tecnici della bozza, quanto dal timore di riprodurre errori del passato. Oggi lo dico a “l’umile infermiere” (QS 29 dicembre) non si tratta solo di “applicare leggi esistenti ormai da anni…” e fare “quello che andava fatto da tempo” e neanche di pensare alla bozza come ad un inventario di prestazioni, “rimanendo sempre e comunque in un cantuccio, all’ombra della categoria medica”, ma di intervenire su ciò che ha impedito all’infermiere di evolvere con il medico e su ciò che a tutt’oggi non è stato prefigurato in un altro progetto di sanità.
 
Rispetto ai contesti nei quali interagiamo nostro malgrado, che cosa avremmo dovuto fare da tempo? Una riforma del lavoro o semplicemente aggiungere ad un burocratico profilo qualche compito in più mettendoci in competizione tra di noi? Oggi per gli infermieri non si tratta tanto di rivendicare il “giusto rispetto e il giusto riconoscimento” per superare “i vecchi stereotipi del pappagallo da svuotare e delle piaghe da decubito da medicare”, ma di capire cosa ha impedito o impedisce una coevoluzione.
 
Ma è proprio difficile concepire un altro “genere” di operatore? Pensate davvero che con i tempi che corrono si possa continuare ad aggiungere compiti a compiti? E’ davvero così fantasioso definire un infermiere come “autore”? Possibile mai che chi mi viene a fare la lezioncina apologetica sugli infermieri, non capisca che “autore”, cioè lo scambio tra autonomia e responsabilità misurato sugli esiti, è la mediazione con i medici, cioè la mediazione che in un momento difficile risponde alzando il livello del cambiamento per tutti?
I medici sono tendenzialmente dei conservatori e mal si separano dalle loro storiche prerogative ma siamo sicuri che tutti gli altri abbiano chiaro il progetto di cambiamento che servirebbe? Siamo dei riformisti perché facciamo anche il see & treat? O perché a certe prospettive siamo in grado di contrapporre delle controprospettive?
 
Con questa cavolo di bozza forte per me è la sensazione del déjà vu. Essa ripropone lo schema di gioco, che fu alla base delle conquiste legislative degli infermieri degli anni ‘90, cioè un ruolo professionale suggellato da una formazione ad hoc senza curarsi delle sue condizioni di fattibilità. In essa sopravvive un vecchio modo di “essere” dell’infermiere come se il suo problema vero fosse quello di “essere quello che è” per legge ma con dei compiti in più.
Tutto questo per me è l’espressione di un limite anche culturale che mi dice che non siamo ancora in grado di aggiornare il progetto politico di fondo interpretando le sfide vere che sono sul campo. Ma insomma, lo dico tanto ai medici che agli infermieri, si fa a sassate tra orbi e non ci si rende conto che proprio gli orbi sono al centro di un attacco inusitato e senza precedenti? E’ il lavoro oggi il vero bersaglio delle politiche di definanziamento. La madre di tutte le battaglie non è quella per le competenze per tamponare “a gratis” gli effetti del blocco del turn over, ma è quella di rispondere ricapitalizzando il sistema sanitario con il lavoro, cioè ripensando il lavoro come capitale.
 
Oggi le divisioni nel lavoro tra professioni ci indeboliscono, come ci indebolisce la vecchia logica del compito/nozione della bozza, perché nei confronti del depauperamento che il lavoro sta subendo essa è semplicemente inadeguata a produrre un contro valore appropriato. Oggi gli infermieri, come leggo dagli articoli degli infermieri, sono praticamente dei “tappabuchi”, vogliamo capire come è possibile cambiare la condizione del tappabuchi o no? La bozza risponde con “l’iper infermiere a costo zero”. Nel 2017 la spesa sanitaria dovrà calare di un punto percentuale rispetto al Pil, vedremo allora se le nuove competenze avranno risolto i problemi del tappabuchi.
“Vegliare” e “conoscere” “a lume di lucerna” (elucubrazione) è il mio mestiere ma se ad essere “spaesati” sono gli infermieri perché prendersela con chi li studia? Ma ne riparleremo.
 
Ivan Cavicchi
 


30 dicembre 2013
© Riproduzione riservata

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