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Manifestazione del 27 ottobre. Labate: "Dalla crisi un'opportunità per una nuova sanità. Ma basta tagli"

di Grazia Labate

Le politiche della salute sono un grande volano di crescita individuale e dell’intero paese le cui risorse economiche, umane scientifiche e tecnologiche non possono essere sacrificate ad una mera politica di tagli senza prospettive. Ecco cosa ci insegna l'Europa, nonostante la crisi

23 OTT - C’è più di una ragione per partecipare alla manifestazione del 27 ottobre che è sulla salute e sul modo di proteggerla attraverso il nostro servizio sanitario nazionale; per me è affermare con forza che le politiche della salute sono un grande volano di crescita individuale e dell’intero paese le cui risorse economiche, umane scientifiche e tecnologiche non possono essere sacrificate ad una mera politica di tagli senza prospettive.
 
Senza la salute non si va da nessuna parte. I dati macroeconomici sono sotto gli occhi di tutti.
La crisi economico-finanziaria globale porta con se effetti negativi, che provocano meno reddito a causa della recessione e della disoccupazione, un elevato debito pubblico e gravosi pacchetti di austerità nei bilanci nazionali in tutta Europa.
 
Lo European Health Forum tenutosi dal 3 al 6 ottobre a Gastein, con la partecipazione di oltre 600 decision policy makers, provenienti da 45 paesi, ha evidenziato che i sistemi di protezione sociale e sanitaria di quasi tutti i paesi dell’UE sono sotto pressione.
Il tema ampiamente discusso al forum, che è il meeting più importante per la politica sanitaria dell’UE, è stato: “La crisi come opportunità: riformare i sistemi di protezione della salute in tempo di crisi”.
I relatori al forum, di grande autorevolezza e rappresentatività: Alois Stoger, ministro della salute austriaco; John Dalli, commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori; Zsuzsanna Jakab direttore generale della regione europea dell’OMS; Martin McKee, professore alla London School di igiene e malattie tropicali, si sono impegnati per affrontare oltre la crisi l’affermazione di una visione strategica per il medio lungo periodo affinchè ci sia un balzo in avanti per le politiche della salute nel futuro più prossimo.
Che cosa è emerso sul piano dei contenuti per il futuro delle politiche sanitarie?
 
Prevenzione come decisa e chiara priorità per ogni Governo sul terreno specifico della salute, in termini di economia sanitaria e macroeconomia.
Le malattie non trasmissibili legate agli stili di vita, sovrappeso e obesità, fumo, alcool, diabete, cancro, malattie cardiovascolari, disturbi polmonari cronici, stanno già assumendo proporzioni disastrose in termini di morti evitabili, ma anche di costi per le economie nazionali.
Esse rappresentano il 77% del carico di malattia nei 53 paesi della regione europea dell’OMS e sono la causa del 86% di tutti i decessi.
Se la frequenza delle non trasmissibili aumenta le malattie, solo del 10%, nei prossimi 10 anni, la crescita economica si ridurrebbe dello 0,5%. I costi indiretti di queste malattie superano di gran lunga quelli diretti. Si accorcia la durata di vita sana, si riduce la produttività, si innalzano i costi della cronicità.
 
Revamping delle strutture ospedaliere
Il Dott. Eric de Roodenbeke, Direttore generale dell’HIF, Federazione internazionale degli ospedali, ha analizzato la situazione nella Regione Europea, affermando che occorre un vero e proprio cambiamento di paradigma.
Dal trattamento dei singoli organi e delle singole malattie all’alta qualità centrata sul paziente. Dimostrando con cifre alla mano quanto ciò sia più efficace in termini di esiti, nonché di costi evitabili nel medio periodo.
Maggiore continuità delle cure, con la collaborazione delle diverse specialità, integrazione dei servizi ospedalieri e territoriali, introduzione massiva di ICT, implementazione dei sistemi di HTA, sono tutti elementi che ridefiniscono il ruolo e la natura delle strutture ospedaliere verso l’alta qualità e nel contempo il rapporto tra operatori sanitari e pazienti, rendendo quest’ultimi soggetti di empowerment proattivo.
I prossimi 5 anni sono destinati ad una profonda riorganizzazione degli ospedali quali luoghi di cura, come oggi li conosciamo, per approdare ad un sistema ospedaliero aperto, intelligente e di qualità.

Le cure primarie come luogo di elezione per il rapporto medicdi pazienti
Interdisciplinarietà mediche-sanitarie.
Continuità Assistenziale H 24.
Centro di coordinamento ed integrazione socio-sanitaria.
Veri e propri Case manager della salute, quali motori di ricerca per l’ottimizzazione delle risorse collettive ed individuali nel rapporto tra domanda ed offerta a livello territoriale.
 
LTC priorità assoluta del 21° secolo
Più servizi domiciliari e assistenza integrata, meno sussidi e meno istituzionalizzazione.
Coperture collettive pubbliche o mutualistiche ed individuali integrative dei supporti pubblici di base, attraverso l’agevolazione fiscale.
Formazione ed incentivazione dei diversi caregiver, dalla famiglia, al badantato, alle società di sevizi alla persona.
Residenzialità protette nei casi più impegnativi per le cure di lunga durata legate alle patologie neurodegenerative o terminali.
 
Razionalizzazioni, qualificazioni ed investimenti, il trinomio per uscire dalla crisi
Ottimizzare l’esistente, efficientizzazione, per fare meglio a costi contenuti, qualificare prestazioni e servizi in base al costo efficacia.
Investire per i prossimi 10 anni in ICT, formazione, ricerca di base ed applicata. Strutture intelligenti a bassi costi di manutenzione energetica.
Domotica, reti di acquisti, logistica informatizzata, uso di nano materiali, robotica interventistica, tecnologie a bassa invasività.
Dentro la crisi,dunque risparmi si, ma visione per il futuro.
Da tempo sostengo la necessità di investire attraverso Project social bonds per il medio e lungo periodo, cambiare il paradigma della sola produzione di beni e merci ed investire su servizi alla persona, sulla qualità professionale e sulla ricerca di base ed applicata alla salute, per vivere in migliore qualità di vita e sviluppare una nuova produzione sociale.
Si è respirata un’altra aria a Gastein, ma non voglio eludere la realtà. Prendiamo atto che la crisi ha vanificato i progressi dell’UE degli ultimi 20 anni.
 
La recente crisi economica e finanziaria a far data dal 2007, con il suo protrarsi ed acuirsi nel tempo, è un fenomeno senza precedenti.
Il PIL europeo è sceso del 4% nel 2011;
La produzione industriale è tornata al livello degli anni ’90;
23 milioni di persone pari al 10,09% della popolazione attiva, sono attualmente disoccupate.
Le finanze pubbliche hanno subito un forte deterioramento con deficit medi pari al 7% del PIL e livelli di debito superiori all’85% del Pil.
La popolazione attiva dell’UE, inizierà a diminuire dal 2013/2014; il numero di ultra-sessantacinquenni aumenta ad una velocità doppia rispetto a prima del 2007( circa 2 milioni in più, ogni anno rispetto al milione in precedenza). Per l’Italia la situazione è nota, siamo in recessione, con una elevata disoccupazione, un debito pubblico mostruoso.
Abbiamo sostenuto sacrifici con manovre pesanti e la prossima legge di stabilità, tra dare e avere, se non viene modificata, si chiuderà a saldo negativo per i cittadini a ceto medio basso, checché ne dica il ministro dell’economia. La luce in fondo al tunnel è fioca, ancorchè qualcuno ben illuminato l’intraveda.

A ben vedere le misure dei patti di stabilità, per i diversi sistemi sanitari europei, ci si rende conto che non stiamo messi bene.
Ancorché, vi sia un dibattito vivace nella comunità degli economisti sanitari ed in quella scientifica, sulla rilevanza dell’impatto demografico dell’invecchiamento sulla spesa sanitaria in rapporto al PIL, è comunemente acclarato che gli effetti delle malattie croniche degenerative e soprattutto l’aumento di spesa per tutte le aree, che sono border line, tra sanitario e socio-assistenziale, possono mettere sotto scacco la stabilità dei sistemi di protezione della salute e di protezione sociale.
 
Il Rapporto OCSE, Health Data 2012 segnala che nella quasi totalità dei 34 paesi aderenti all’OECD la spesa sanitaria che era cresciuta nel periodo 2000-2009 del 5%, rispetto al PIL, ha subito dal 2010 una battuta d’arresto, determinata in larga misura da una diminuzione media della spesa pubblica pari a mezzo punto percentuale. Questa riduzione si concentra in Europa, quale figlia della crisi economico-finanziaria, determinatasi oltre oceano, che proprio nel vecchio continente trova il bersaglio principale dei suoi strali.
Fatta eccezione per gli USA, Nuova Zelanda, Canada, paesi in cui la spesa ha continuato a crescere, cresce anche in quei paesi in cui maggiore era il divario da colmare rispetto al livello di spesa, di servizi e di standard del mondo industrializzato, come per esempio la Corea del Sud ed il Cile. In Europa la riduzione avviene in Irlanda, Islanda, Estonia, Grecia, Spagna, Italia.
L’Italia si attesta al 9,3% del PIL quindi leggermente al di sotto della media OCSE che è del 9,5%. Anche la spesa pro capite è al di sotto della media OCSE, 2.964 dollari contro una media di 3.268 dollari. Anche i dati della nostra contabilità nazionale confermano il trend di decremento rispetto al 2009, sia nella relazione del Procuratore generale della Corte dei Conti che nella Relazione previsionale e Programmatica presentata al Parlamento dal Presidente del consiglio a giugno.
 
Incidiamo sul PIL per il 7,1% di spesa pubblica e per il 2,2% di spesa privata. La spesa privata passa da una incidenza del 2,7% del PIL nel 2009 ad una incidenza del 2,5% europeo. Nel nostro paese scende dal 2,3% al 2.2% del PIL % nel 2010. Una massa di oltre 30 miliardi di euro out of pocket, non governata, e che, tuttavia, denuncia che per la salute, di fronte alle inefficienze del sistema pubblico, di fronte alla fiducia del rapporto medico paziente, si mette mano al proprio portafoglio perché nessuno vuole rinunciare allo star bene.
 
Tuttavia il quadro generale della finanza pubblica e gli impegni assunti a livello europeo nei patti di stabilità dai diversi governi degli stati membri mettono in evidenza i rischi di sostenibilità per le finanze pubbliche rispetto agli aumenti prevedibili dei costi sanitari.
Essi riguardano non solo l’invecchiamento della popolazione, con gli inevitabili costi per le cure di lunga durata, ma anche le nuove terapie farmacologiche e le tecnologie sanitarie.
 
Infatti nel rapporto della Economist Unit europea redatto per la Commissione Barroso, ad aprile 2012 si sosteneva che “in tutta l’Europa le politiche per l’assistenza sanitaria riescono a malapena a coprire i costi; occorre mettere in campo politiche di maggior copayment e cost sharing, nonché profonde riforme di sistema”. "Trovare efficaci mix di partnership pubblico privato, per far fronte, nonostante tutte le razionalizzazioni ed efficientizzazioni possibili, di sistema, ai costi della cronicità e delle cure di lunga durata che rappresentano la vera sfida per il vecchio continente”.
Il protrarsi della crisi, le tempeste finanziarie sui mercati e le relative ondate speculative hanno richiamato in questo difficile 2012, i diversi stati europei al rispetto dei vincoli di stabilità, ma anche alla costruzione di processi di revisione della spesa pubblica, capaci di ottimizzare costi e produttività degli interi schemi di protezione sociale. Ma se tutto ciò rischia di minare la coesione sociale, occorre essere consapevoli che senza di essa è impossibile immaginare di invertire le tendenze di bassa crescita che caratterizzano l’attuale fase di sviluppo europeo.
La bassa crescita del vecchio continente, in alcuni stati membri, la recessione, il forte peso dei debiti pubblici, hanno prodotto tagli consistenti di spesa pubblica, politiche di cost sharing, blocchi del turn over del personale sanitario, così come degli straordinari, per rispettare i vincoli del patto di stabilità e i programmi di convergenza.
Le tensioni ed il decadimento di grandi fasce di popolazione in Grecia, Spagna, Portogallo testimoniano che le strade intraprese costituiscono focolai permanenti, povertà insostenibili, disperazione, i cui esiti possono determinare vere e proprie catastrofi sociali.
 
Guardando i numeri si scopre che non sono solo i PIGS (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna), ma anche l’Italia a ridimensionare fortemente la spesa sanitaria pubblica. Abbattimenti dell’ordine di 10 miliardi a valere sul 2012, fino a 20 miliardi di euro entro il 2014, per la Grecia e la Spagna, ma anche l’U.K. ha previsto un risparmio di 20 miliardi di sterline entro il 2014.
Germania, Francia, Svezia, Olanda, Belgio, Austria aumentano i copayment, ristrutturano i complessi ospedalieri a livello regionale. Bloccano il rimpiazzo del turn over, spostano l’uso dei farmaci verso il 50% dei generici rispetto ai brand.
 
Per l’Italia, 8 miliardi di tagli al fondo sanitario nazionale, aumento del super tickets, per 814 milioni di euro, blocco del rinnovo dei contratti del personale del SSN, spending review sulla produttività del sistema pubblico dei servizi sanitari, con particolare attenzione alla riduzione dei posti letto ospedalieri, alla voce di costo beni e servizi, una riduzione del 5% e le disposizioni centralizzate di acquisto, un ulteriore miliardo previsto a regime entro il 2013 che innalza del 10% la riduzione dei costi sempre su beni e servizi nella recente legge di stabilità , 2013-2015. Non vuol dire solo riduzione dei prezzi ma anche del volume di attività.
Una riduzione complessiva che dovrebbe portare entro il 2014 a, circa 21 miliardi di euro, ai quali potrebbero aggiungersi 1,6 miliardi richiesti dalla legge di stabilità. Circa 23 miliardi di euro è l’ammontare complessivo dei tagli alla sanità per effetto combinato delle manovre finanziarie del precedente governo, del Salva Italia, dell’ultimissima spending review e della legge di stabilità dell’attuale governo. Abbiamo tagliato sulla sanità più dei PIGS.
Per i ceti medio bassi il limone è stato spremuto fino alla buccia, non si può infierire ulteriormente. Il governo si dice pronto a ridiscutere alcune proposte della legge di stabilità a saldi invariati.
Partiamo dai 600 milioni di euro sulla sanità nel 2013. Vorremmo conoscere le quantificazioni del decreto legge sugli abbattimenti dei costi della politica.
Una prima proposta: portiamole a copertura dei 600 milioni che dovrebbero essere tagliati nel 2013 per la sanità.
I tagli complessivi mettono a rischio la tenuta del SSN, più della Grecia, della Spagna, dell’Irlanda, persino dell’Inghilterra, nonostante il nostro quadro macroeconomico sia decisamente migliore dei PIGS.
Sono a rischio, anche tenendo conto delle misure di efficentizzazione del sistema, i livelli essenziali di assistenza ancorché di antica memoria (2001), che il recente decreto del Ministro Balduzzi alla Camera si impegna a rivedere entro dicembre 2012.
 
Il nuovo Patto per la salute 2013-2015 sembra pregiudicato dai recenti provvedimenti e dalla mancanza di copertura dei fabbisogni finanziari, necessari a garantire, nella transizione dei processi di ottimizzazione ed efficentizzazione, servizi e prestazioni ai cittadini.
Il personale medico, tecnico sanitario del SSN è stanco, frustrato di essere il bersaglio privilegiato di una politica incapace di valorizzare il merito e le competenze.
Che fare dunque? Unire le forze perché sulla salute abbiamo già dato.
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria, già sottosegretario alla Sanità

23 ottobre 2012
© Riproduzione riservata

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