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Le voci dalla piazza: la protesta tra speranze e slogan


12 DIC - Non si vogliono arrendere. Non ci vogliono credere che il loro paese preferisca formarli e poi lasciarli andare all’estero portandosi dietro un bagaglio di conoscenza che arricchirà qualche altro sistema sanitario di paesi dell’Unione Europea, piuttosto che trovare fondi utili a completare il loro percorso di specializzazione.
 
Eppure questa è la situazione, o meglio il paradosso, ancora una volta tutto italiano, di un paese che non riesce a valorizzare un patrimonio umano e professionale. Sono le storie di migliaia di giovani medici e non provenienti da tutta Italia che oggi a Roma hanno inscenato una manifestazione di protesta davanti a Montecitorio per chiedere alla politica di ascoltarli e di riconoscergli quello che è un loro diritto: essere pagati e non sfruttati.
 
Per chiedere insomma “un cambio di rotta – dicono – ed una netta discontinuità nelle politiche sanitarie e professionali”. Perché non possono ulteriormente “tollerare che gli effetti di sprechi, inefficienze ed assetti non più sostenibili si ripercuotano in negativo sulle giovani generazioni ed in particolare sul diritto alla formazione ed all’accesso al mondo del lavoro”.
E dunque, pur riconoscendo lo stato di emergenza contingente, chiedono interventi strutturali ed un’adeguata programmazione del fabbisogno di professionalità.
 
Mauro Parente, referente Roma giovani medici, ha spiegato che hanno deciso questa manifestazione “per difendere il Ssn. Perché varie decisioni a vari livelli mettono a rischio il futuro dei giovani medici all’interno del Sistema di sanità pubblico”.
Ogni anno, ridadiscono le tante voci in piazza, vengono formati circa 7500/8000 medici, e il numero è crescente. Per l’anno prossimo però, il governo, per il capitolo di spesa dedicato ai contratti di formazione prevede fondi sufficienti soltanto per 2000 contratti di formazione e ricerca. “Stiamo dando voce alla volontà di essere parte attiva nel futuro del Ssn – aggiunge Parente – perché chi rischia di restare fuori dalla formazione come ultima alternativa ha quella di andare all’estero verso la Germania, la Svizzera, l’Inghilterra, paesi verso cui il flusso migratorio in questi anni è cresciuto notevolmente”.
 
“Se le borse non ci date, come cavolo vi curate?” Questo uno degli slogan più gettonati da una piazza Montecitorio colorata e invasa da migliaia di giovani medici, che oltre a manifestare ha anche intonato canti e cori per ribadire e rivendicare i loro diritti.
 
“Ci hanno tolto la dignità di essere medici” aggiunge ai nostri microfoni Marco, 27 anni di Roma, un altro manifestante specializzando in medicina generale. “Quando arriviamo in reparto – dice - ci scambiano per medici e non per studenti o specializzandi. A me piace definirmi specializzando in medicina generale perché in tutta Europa esiste una specialità in medicina generale. Solo in Italia e in Lituania stiamo messi così”.
 
Quello che viene scandito dai manifestanti è che a differenza dei loro colleghi di università che hanno scelto carriere ospedaliere, gli specializzandi in medicina generale e nelle altre professionalità non mediche, non guadagnano nulla, “al massimo siamo borsisti a poche centinaia di euro al mese e soprattutto senza dignità di medici”.
 
Come vedono il loro futuro? “La situazione – aggiunge Luca, 32 anni da Bologna – cambia se ci impegniamo a farla cambiare. Se lasciamo tutto nelle mani dei sindacati per noi non cambierà nulla. Perché il sindacato tende a proteggere il corso che gestisce e per il quale prende i soldi dalla regione. Il medico in formazione non è tutelato dai sindacati Noi siamo qui a manifestare perché crediamo nel cambiamento. Vogliamo la dignità di professionisti, di specialisti il nostro non è un mero discorso economico”.
 
Discorso simile quello di Francesco Corrente di Roma o di Marco Favetta 34 anni di Catania, due specializzandi non medici che hanno anche loro le loro richieste da rivolgere alla politica. Perché gli specializzandi non medici, biologi, chimici, fisici, farmacisti, psicologi, odontoiatri, veterinati e biotecnologi, stanno in una condizione se possibile ancora peggiore in quanto “hanno solo doveri, dobbiamo frequentare a tempo pieno le scuole di specializzazione, timbrando il cartellino e facendo analisi di routine, facendo turni e pagando tasse universitarie di circa 1000 euro l’anno”. Tutto questo ci hanno detto “senza veder riconosciuto alcun diritto, siamo senza contratto fi formazione, senza borsa di studio, senza copertura previdenziale”. E quello che chiedono è “l’equiparazione del loro status a quello degli specializzandi medici”.
 
Le storie ascoltate oggi in piazza Montecitorio sono molto simili, si tratta di laureati che chiedono il riconoscimento dei loro diritti. Lo chiedono ad esempio Simona, Anna e Martina, tre ragazze di 24 anni, tre colleghe laureatesi alla Sapienza, con indirizzi diversi e che ora sono in attesa di entrare nelle scuole di specializzazione dove i tempi sono molto lunghi “dai due ai quattro anni”. L’alternativa dicono è l’estero, Svizzera, Germania e Inghilterra tra le mete preferite.
Il problema però, come recita un altro cartello, è che non si tratta di mete di vacanza, ma di mete professionali.
 
La maggior parte di questi giovani medici campano sulle spalle dei loro genitori e per quelli che hanno anche oltre 35 anni, è duro da ammettere. Ne parlano con rammarico. Qualcuno ringrazia la famiglia che gli permette di continuare a coltivare la speranza di riuscire un giorno a ad esercitare la professione per cui ha studiato. Altri sanno che se la situazione economica e sociale del Paese non cambia saranno costretti ad andare via dall’Italia con l’amarezza dettata dalla consapevolezza che le loro istanze non sono considerate una priorità del Paese. Perché quel Parlamento, davanti al quale stanno manifestando, costretto a governare una continua emergenza, guarda soltanto all’oggi e non anche al domani. 

12 dicembre 2013
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