Migranti. Le linee guida per assistere chi ha subito torture o violenze. Ok in Stato-Regioni
Intesa in Stato-Regioni allo schema di decreto del ministero della Salute sulle linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione e per il trattamento dei disturbi psichici dei rifugiati che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale: sono circa il 30 per cento. IL DOCUMENTO.
30 MAR - Circa il 25-30% dei rifugiati ha subito esperienze di tortura, stupro o altre forme di violenza estrema che rientrano nella categoria dei cosiddetti “traumi estremi”. I traumi estremi sono traumi di natura interpersonale, ripetuti o prolungati nel tempo, subiti in regime di coercizione o di impossibilità alla fuga.
Attualmente si stima che il 33-75% dei sopravvissuti a traumi estremi, sviluppino, nel periodo successivo all’esperienza traumatica, un disturbo francamente psicopatologico, che impatterà anche sulle generazioni successive (tortura transgenerazionale).
Per difendere e tutelare queste situazioni estreme, la Stato-Regioni ha dato parere favorevole allo schema di decreto del ministro della Salute per l’adozione di “
Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale”
L'obiettivo delle linee guida è tutelare chi richiede protezione internazionale in condizioni di particolare vulnerabilità in qualunque fase del suo percorso di riconoscimento della protezione e ovunque sia ospitato, creando le condizioni perché le vittime di eventi traumatici possano effettivamente accedere alle procedure previste dalla norma e la loro condizione possa essere adeguatamente tutelata.
Le linee guida, come spiegano nella premessa, si applicano a uomini, donne e minori che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, già titolari di status di protezione internazionale o umanitaria o richiedenti asilo.
La procedura di riconoscimento della domanda di protezione internazionale e le relative garanzie (tra cui le misure per le situazioni più vulnerabili) si applicano, senza eccezioni, alle domande presentate sia nel territorio degli Stati che alla frontiera, in acque territoriali e nelle aree di transito. Una domanda di protezione internazionale non è vincolata a una forma precisa ma è sufficiente che assuma la forma di una chiara manifestazione di volontà.
Le linee guida contengono indicazioni generali valide in ogni contesto e circostanza e forniscono indicazioni sugli interventi specifici da attuare in maniera differenziata nei diversi luoghi e contesti in cui la domanda di protezione viene presentata e qualunque sia la condizione giuridica dello straniero che la presenta
(persona appena giunta nel nostro Paese con ingresso regolare o in stato di necessità, persona già soggiornante in Italia, persona già presente ma non regolarmente soggiornante, persona precedentemente espulsa e non trattenuta, persona espulsa e trattenuta ai fini dell'esecuzione dell'allontanamento ecc).
Tutti i rifugiati, secondo le linee guida, sono da considerare come soggetti potenzialmente vulnerabili, perché l’esilio è di per sé un’esperienza di tipo traumatico. La particolare vulnerabilità e il bagaglio di sofferenza di cui è portatore ogni rifugiato, non necessariamente e automaticamente però si traducono in disturbi psicopatologici.
Secondo le linee guida i rifugiati vittime di tortura, stupro, abusi o traumi estremi di altra natura (prolungate prigionie in isolamento e/o in condizioni disumane e degradanti, naufragi, testimoni di morti violente ecc.) possono presentare quadri clinici psicopatologici manifesti, latenti o sub-clinici. Questa tipologia di rifugiati deve essere considerata ad alta vulnerabilità ed è perciò necessario mettere in atto azioni e procedure specifiche mirate all’individuazione precoce di queste persone.
L’individuazione rappresenta il presupposto indispensabile per garantire al maggior numero possibile dei richiedenti sopravvissuti a violenze estreme, una corretta e precoce valutazione clinico-diagnostica, che indirizzi verso un’appropriata e tempestiva presa in carico medica, psicologica e sociale.
Le esperienze traumatiche estreme possono determinare, oltre ai sintomi comuni del Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD: Post-Traumatic Stress Disorder), anche altre conseguenze psicopatologiche specifiche e complesse. In particolare: disturbi dissociativi psichici e somatici, tendenza alla re-vittimizzazione, perdita del senso di sicurezza e del senso di sè, disturbi da iperarousal, disturbi affettivi e relazionali. Questo particolare quadro sindromico viene attualmente riconosciuto come un’entità clinico-diagnostica specifica definita “PTSD con dissociazione” o come “Complex PTSD”.
Le manifestazioni cliniche dei disturbi post-traumatici complessi (depersonalizzazione, derealizzazione, assorbimento immaginativo, disturbi mnesici e cognitivi, etc.) differentemente dalle manifestazioni caratteristiche di altri quadri psicopatologici, sono multiformi e insidiose e, per loro stessa natura, difficilmente rilevabili e diagnosticabili, specialmente per medici e psicologi senza una specifica formazione ed esperienza. In questi casi il rischio di misconoscimento o di una diagnosi errata risulta molto elevato. I disturbi possono rimanere misconosciuti e latenti anche per lunghi periodi di tempo. Non è raro che un disturbo post-traumatico complesso non diagnosticato sia la causa dei ripetuti e prolungati fallimenti di un richiedente asilo nel suo percorso d’integrazione/autonomia.
Di notevole importanza secondo le linee guida, soprattutto per le ricadute cliniche, è l’andamento della storia naturale dei disturbi post-traumatici complessi.Essi, infatti, hanno la tendenza, in assenza di una corretta diagnosi e di interventi terapeutici adeguati e specifici, a cronicizzare o ad evolvere verso un progressivo peggioramento.
La tempestività di un trattamento adeguato in servizi con competenze specialistiche è quindi cruciale per il futuro di queste persone e ha come presupposto indispensabile una precoce e corretta diagnosi.
Risulta quindi strategico mettere in atto un efficace programma per l’individuazione precoce dei richiedenti asilo che presentano un’alta probabilità di avere vissuto esperienze di tortura, stupro o altre violenze estreme.
Queste procedure rappresentano secondo le linee guida una vera e propria
conditio sine qua non per garantire, al maggior numero possibile di richiedenti sopravvissuti a tortura e altre violenze estreme, la restituzione delle condizioni psico-fisiche indispensabili per affrontare, al pari degli altri richiedenti, il difficile percorso verso l’integrazione e l’autonomia.
Il programma per l’individuazione precoce è fondamentale per promuovere un processo di accoglienza dei richiedenti asilo in accordo con la legislazione nazionale sull’asilo.
Le figure professionali che possono partecipano al percorso multidisciplinare sono molte ma tutte devono essere adeguatamente formate ai diritti umani, a un approccio transculturale e multidisciplinare, devono afferire all’ambito sanitario, sociale, legale e della mediazione linguistico-culturale.
Ad esempio possono essere: medico di medicina generale/pediatra di libera scelta; psichiatra/neuropsichiatra infantile; psicologo/psicologo dell’età evolutiva; infermiere; ostetrica; operatore sociale (assistente sociale, operatore dell’accoglienza, educatore di comunità); operatore legale; mediatore linguistico-culturale.
A seconda delle necessità possono essere previste altre figure sanitarie specialistiche (es. ginecologa, infettivologo, fisioterapista, ortopedico, neurologo, odontoiatra), ed eventualmente sociologi, antropologi e prevedere un’adeguata presenza di personale femminile. Nell’ambito del percorso multidisciplinare si sottolinea l’importanza di individuare e attivare la funzione di Case Management (CM), volta a garantire l’accompagnamento nei percorsi socio-sanitari e a migliorare l’efficacia e la qualità dei servizi offerti nonché l’efficienza nell’utilizzo delle risorse.
E nell’ambito del percorso multidisciplinare sono individuati sei obiettivi:
- valutare le situazioni vulnerabili che vengono segnalate da strutture sanitarie, enti pubblici e associazioni e predisporre proposte di percorsi specifici di presa in carico socio-sanitaria ed assistenziale;
- sostenere la persona vittima di tortura attraverso una risposta multidisciplinare ed integrata di tipo clinico, assistenziale, relazionale e di integrazione sociale mirata a favorire percorsi di autonomia;
- garantire alla persona vittima di tortura accesso alla rete dei servizi (emersione e diagnosi, cura e riabilitazione) in funzione delle specifiche esigenze;
- ampliare la rete di referenze sul territorio e utilizzare strumenti idonei per affrontare le situazioni di vulnerabilità sociale e sanitaria in modo efficace accessibile, sostenibile ed in tempi adeguati;
- supportare il quotidiano lavoro degli operatori del territorio, offrendo opportunità di formazione, aggiornamento, supervisione, consulenza specifiche.
- esaminare le richieste di certificazione degli esiti fisici e psichici delle violenze subite dai rifugiati.
30 marzo 2017
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