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“Noi per le mutue? Ma non scherziamo, il PD è per la sanità pubblica”. Biotestamento? “Se la Camera lo approva entro i primi di maggio ce la possiamo fare”. Intervista a Emilia De Biasi

di Cesare Fassari

A ormai meno di un anno dalla fine naturale della legislatura abbiamo incontrato la presidente della Commissione Sanità di Palazzo Madama per fare il punto di questi ultimi mesi di lavoro per il Parlamento. Ddl Lorenzin, ticket, Rems, aborto: molti i temi sui quali l’esponente Dem ci ha risposto senza troppi giri di parole. Ma con lei abbiamo parlato anche di Bersani e della sua apertura ai 5 Stelle e di cosa si aspetta dal prossimo congresso del PD

25 MAR - “Ma quali mutue! Davvero, non scherziamo”. Smentita secca e senza appello quella della presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato Emilia Grazia De Biasi alla tesi, lanciata anche da queste colonne da Cavicchi, Francese e Nicchi, di un rischio di ritorno alle mutue sanitarie nascosto dietro la mozione congressuale per la candidatura di Renzi alla segretaria del PD.
 
Come non ci sta al leitmotiv di un governo (quello del PD di Renzi, ma anche l’attuale) che sulla sanità non investirebbe: “Devono parlare i fatti. E i fatti ci dicono che in questi ultimi anni abbiamo invertito la china dei tagli alla sanità. Ora in sanità ci sono più risorse. Punto. Non basta? E’ ovvio, per certi versi non basta mai, ma in queste condizioni economiche quanto fatto negli ultimi tre anni per il fondo sanitario è straordinario”.
 
De Biasi, lo si capisce già da queste prime battute, appoggia la candidatura di Matteo Renzi al prossimo Congresso dei Dem ed è una scelta convinta “al di là dello stile, ho sempre guardato alla sostanza e Renzi è ancora una grande opportunità per questo Paese”.
 
Ma in questa intervista dalla sua casa milanese la senatrice lancia anche un monito ai duellanti per la segreteria Dem: “Vorrei ricordassero, tutti e tre, che siamo comunque nello stesso partito e sono molte di più le cose che ci uniscono che quelle che ci dividono”.
 
Per esempio, presidente De Biasi?
Per esempio sanità, scuola, lotta alla povertà e immigrazione. Quattro temi centrali sui quali sono straconvinta che tra Renzi, Orlando ed Emiliano le differenze non esistono se non forse nei toni e nelle sfumature.
 
Ma forse è proprio su toni e sfumature che la battaglia sembra tutt’altro che tiepida…
Il problema è che ho l’impressione, come le dicevo, che queste primarie congressuali si stiano giocando più sullo stile dei candidati che sulla sostanza dei temi e delle politiche. Personalmente sono poco interessata ai caratteri e ai profili personali. Nella sostanza il PD resta un grande partito con idee chiare e condivise da tutti su questioni dirimenti. Non dimentichiamolo mai.
 
Vedremo. Ma torniamo alla sanità e alle critiche che sono venute anche da una sua ormai ex compagna di partito, la senatrice Dirindin che su questo giornale ha indicato le politiche sanitarie di Renzi tra le cause della sua scelta di uscire dal PD.
Nerina ha fatto la sua scelta, che ovviamente rispetto. Devo ricordare, per correttezza, che le sue critiche sono andate alle politiche degli ultimi governi e non solo al governo Renzi, e che in qualche modo le aveva sempre espresse anche nel passato e prima della scissione. Ma io sono abituata a ragionare sui fatti e i fatti, glielo ripeto, sono che con il Governo Renzi la sanità pubblica ha avuto, anno dopo anno, più risorse dell’anno precedente, che con quello stesso governo abbiamo dato vita a un finanziamento straordinario per i farmaci innovativi, prima per l’epatite C e poi anche per il cancro, abbiamo rinnovato i Lea dopo più di 15 anni e detto la parola fine ai tagli lineari degli anni di Tremonti/Monti. Non basta? Non basta mai, è ovvio ma vorrei che, se si deve parlare di quale sanità vogliamo per il futuro, si inizi finalmente a concentrarsi sulle vere sfide che ci attendono, dall’innovazione farmacologica e tecnologica alla capacità di rispondere ai nuovi bisogni di assistenza.
 
E il PD di Renzi lo sta facendo?
Vorrei, non dico si apprezzasse ma quanto meno notasse, che nella mozione congressuale per Renzi abbiamo inserito a chiare lettere tra le priorità della prossima legislatura proprio quella dell’investimento nella sanità pubblica, nell’innovazione, nell’assistenza e nel personale. Altro che mutue, come scrive qualcuno su Quotidiano Sanità!
 
Bersani sembra aprire a una possibile alleanza futura con i 5 Stelle, che ne pensa? E Lei come ha lavorato con i pentastellati in questi quattro anni in Commissione?
L’uscita di Bersani onestamente non la comprendo e non la condivido. Per quanto riguarda il lavoro in Commissione devo rilevare che su grandi temi abbiamo lavorato bene insieme. Cito tra tutti l’esempio degli screening neonatali, una proposta di legge nata dai 5 Stelle che il PD non ha fatto fatica ad appoggiare, anzi. Ma quello che noto, restando alla loro visione della sanità, è che forse hanno ancora bisogno di sgombrare il campo al loro interno da grosse ambiguità su temi molto delicati, come le vaccinazioni ad esempio. Su un tema come questo non si può ondeggiare dando la sponda a posizioni antivaccino inaccettabili e pericolosissime. Come stiamo vedendo dai dati sul morbillo, solo per citare un esempio.
 
Sul Biotestamento, invece, la posizione dei 5 Stelle appare salda al fianco di quella espressa del PD. Pensa che la legge ce la farà a vedere la luce in questa legislatura considerando che deve essere ancora approvata dalla Camera e poi passare al vaglio del Senato e che manca meno di un anno alle elezioni?
Se la Camera l’approva entro i primi di maggio ce la possiamo ancora fare. Se si supera maggio la vedo invece molto difficile, visti i tempi. Ma spero veramente che ce la si possa fare, perché siamo di fronte a una legge mite, giusta ed equilibrata che il paese attende da anni e che sarebbe molto grave se, ancora una volta, non dovesse vedere la luce per colpa di veti incrociati o calcoli politici di varia natura. Inaccettabili di fronte a temi come il fine vita e il diritto ad essere assistiti secondo le proprie volontà.
 
Presidente c’è un’altra legge in stand by in questa fine legislatura che riguarda la sanità. Mi riferisco alla riforma degli ordini e delle sperimentazioni cliniche, il cosiddetto “Ddl Lorenzin”. Voi l’avete approvato un anno fa, da allora è fermo alla Camera. Che ne pensa?
Ho parlato proprio pochi giorni fa con il presidente della Affari Sociali Marazziti e da lui ho avuto precise assicurazioni che la legge andrà avanti. Gli credo e spero che l’esame della Camera segua il filo del ragionamento fatto dal Senato, quando abbiamo deciso di operare in una prospettiva di evoluzione delle professioni sanitarie, del lavoro di équipe, senza steccati e pregiudizi. Con l’obiettivo di avere professionisti preparati e certificati e lottare con forza l’abusivismo, a tutto vantaggio dei cittadini, oltre che degli stessi professionisti.
 
Sulla sua pagina facebook ho visto che ha linkato un post dove si raccontava di un suo incontro non proprio amichevole con la senatrice Mussini, quella dell’emendamento per ampliare le indicazioni al ricovero nelle nuove Rems a tutti i soggetti con disturbi mentali ora residenti nelle carceri anche se in attesa di giudizio. Ma cosa è successo?
La vicenda è nota. Ma vale la pena riassumerla brevemente perché in gioco c’è la vita di molte persone in carcere e la stessa filosofia che ha portato l’Italia a scegliere di chiudere gli Ospedali psichiatrici giudiziari compiendo una scelta di civiltà e di diritto. Con un emendamento al “ddl Giustizia”,  la senatrice Mussini ha proposto per l’appunto che le Rems ospitassero tutta la popolazione carceraria con disturbi mentali, senza distinzione tra condannati e in attesa di giudizio, mentre la legge sulle Rems sappiamo prevede che vi siano ricoverati i soli detenuti con disturbi mentali oggetto di una condanna definitiva. La ratio di quell’emendamento, contro il quale il PD si è schierato subito, parte dalla constatazione, vera, che in molte carceri non ci sono le condizioni per assistere quelle persone. Ma allora è lì che si deve intervenire, non ampliando la sfera di competenza delle Rems che a questo punto rischiano di diventare dei nuovi Opg.
 
Ma cosa è successo con la Mussini?
Un incontro sgradevole che voglio archiviare nel clima generale di imbarbarimento della dialettica e dei rapporti politici. Mi spiace, soprattutto per le istituzioni che in ogni caso la senatrice Mussini rappresenta. Ma dobbiamo farci i conti.
 
E c’è una cosa sulla quale i conti e le partite in sospeso sembrano non finire mai. La legge 194 del 1978 che, con puntualità, ogni tot anni sembra venire rimessa in discussione nella sua effettiva applicazione. Mi riferisco alla querelle mai sopita sull’obiezione di coscienza ormai a livelli altissimi. Ha fatto bene il Lazio a dare il via libera de facto a concorsi riservati a ginecologi non obiettori?
Capovolgo la questione. Dovremmo chiederci se è giusto che un ginecologo non obiettore oggi si debba trovare nella condizione di fare solo aborti perché nel suo ospedale è da solo nella sua scelta di applicare quanto previsto dalla legge 194. Penso di no. Come penso che le rassicurazioni statistiche di Lorenzin, “gli aborti calano e quindi i non obiettori sono sufficienti”, non tengano se prendiamo in esame le singole realtà, dove magari di non obiettore non ce n’è neanche uno!  Il problema va affrontato.
 
Come ha fatto il Lazio?
Scelta forte ma giustificata dalla necessità e dall’obbligo, non dimentichiamolo, di applicare una legge nazionale che prevede il diritto della donna a scegliere di se stessa. Anche nella maternità. E forse il problema oggi è ancora qui: a molti dà ancora fastidio che siano le donne a scegliere del proprio corpo. Vediamo cosa sta succedendo in America con Trump, dopo l’Obamacare il prossimo obiettivo è cancellare il diritto all’aborto. Soffia un brutto vento da quelle parti e gli spifferi arrivano anche da noi!
 
Un’ultima questione. I ticket: cosa ne pensa dell’idea di Lorenzin di una loro possibile cancellazione?
Come dire di no. La sanità in teoria è già finanziata dai cittadini con la fiscalità generale, perché far pagare quella che è diventata quasi sempre solo un’odiosa tassa sulla malattia? Ma il punto è come farlo. Ci sono le risorse? E soprattutto siamo sicuri che le Regioni siano pronte a gestire la cosa? Non vorrei che, ammesso che si trovino le risorse per farlo, quei soldi in più non siano alla fine utilizzati per coprire i mancati incassi del ticket ma per fare altre cose. Con Regioni che vanno in una direzione e altre in tutt’altra. Il vero grande problema del ticket oggi sta infatti proprio lì, nella totale difformità di applicazione della compartecipazione. Penso che la cosa da fare sia dare seguito a quanto previsto nel Patto per la Salute del 2014 che prevedeva una profonda revisione del sistema, a partire dalle esenzioni. Sono passati tre anni e non si è fatto nulla, ora leggiamo che Governo e Regioni hanno deciso di riprendere in mano la cosa. Voglio essere fiduciosa che la quadra si possa trovare. Ma attenti a non fare propaganda elettorale su un tema così delicato senza avere carte certe da giocare.
 
Cesare Fassari

25 marzo 2017
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