Responsabilità professionale: aziende e professionisti dipendenti, assicurazioni e rivalsa
di Daniele Rodriguez e Anna Aprile
Se il comma 1 dell'art. 10 venisse approvato in via definitiva confermando la clausola dell'ammissibilità di "altre analoghe misure", senza definire quali siano queste analoghe misure, esso finirà con l'ammettere il principio che le aziende possano non essere assicurate. Quanto alle azioni di rivalsa, nel testo non si evince che, in caso di plurime richieste di rivalsa, il tetto previsto possa conformemente moltiplicarsi.
14 FEB - Riprendiamo alcuni degli spunti con cui si conclude
l'articolo di Tiziana Frittelli pubblicato in Quotidiano Sanità del 9 febbraio 2016. L'articolo analizza questioni cruciali che si aprono circa l'azione di rivalsa esercitata dall'azienda, in conformità con quanto contemplato nel disegno di legge Gelli nel testo approvato il 28 gennaio 2016 dalla Camera, enucleando, in particolare, una serie di problemi che riguardano i professionisti sanitari. Per risolvere questi problemi, l'Autrice raccomanda, soprattutto, una adeguata "politica assicurativa", da approfondire in sede di valutazione del ddl Gelli in Senato, e circa la quale sviluppa alcune valutazioni, che qui in parte riprendiamo aggiungendo alcuni spunti di ulteriore riflessione.
Le questioni che intendiamo affrontare sono i seguenti:
1) l’assicurazione obbligatoria per le aziende del Servizio sanitario nazionale;
2) l’assicurazione dei professionisti dipendenti non solo per il rischio della rivalsa da parte dell'azienda;
3) l’incongruenza del limite massimo esigibile in caso di rivalsa.
Le tesi di riferimento sono così formulabili: il sistema che si creerà con l’approvazione di una legge conforme all’attuale testo (quello approvato dalla Camera) del ddl Gelli comporterà:
a) la prevedibilità di una crescita di contenzioso tra aziende e propri dipendenti;
b) la necessità che il professionista sanitario dipendente si assicuri autonomamente sia per la responsabilità civile sia per le azioni di rivalsa;
c) l’impossibilità per le aziende di compensare, anche esercitando l’azione di rivalsa, i costi dei risarcimenti.
L’assicurazione obbligatoria per le aziende del Servizio sanitario nazionale.
Nel ddl Gelli la materia è disciplinata nell'art. 10, comma 1: "Le aziende del Servizio sanitario nazionale, le strutture e gli enti privati operanti in regime autonomo o di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale che erogano prestazioni sanitarie a favore di terzi devono essere provvisti di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso prestatori d’opera, ai sensi dell’articolo 27, comma 1-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, per danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso l’azienda, la struttura o l’ente." Ad una prima lettura, può sembrare che il citato comma 1-bis dell’art. 27 sia ripreso testualmente nel comma 1 dell'art. 10 del ddl Gelli. In realtà, il ddl riporta, rispetto al comma 1-bis dell’art. 27, una precisazione peculiare; cita infatti la "responsabilità civile verso terzi", connettendola espressamente a "danni cagionati dal personale …" . Questa puntualizzazione è da intendere quale richiamo al fatto che le aziende devono assumere su di sé l'obbligo di risarcire, tramite assicurazione, i danni cagionati dal personale, non solo dipendente ma "a qualunque titolo operante" non solo nell'azienda ma anche "presso l'azienda", in qualsiasi luogo cioè si trovi ad agire per fini istituzionali aziendali.
Già il comma 1-bis dell'art. 27 era stato interpretato come esprimente la volontà del legislatore di porre a carico delle aziende il risarcimento dei danni provocati dal personale comunque operante per conto delle stesse; ora il comma 1 dell'art. 10 del ddl Gelli rinforza questa interpretazione, adottando detta precisazione ed è perciò pacifico che, fra i danni cagionati dal personale e per i quali esiste in capo alle aziende l'obbligo di assicurarsi, sono da comprendere anche quelli causati dalla condotta colposa del personale stesso.
In punto di assicurazione obbligatoria delle aziende del Servizio sanitario nazionale, il ddl Gelli reitera comunque una particolare espressione – "altre analoghe misure" – del predetto comma 1-bis dell'art. 27 del d.l. 90 del 2014 convertito nella legge 114 dello stesso anno. Chiariamo: l'obbligo contemplato, sia dal ddl Gelli sia dal d.l. 90, è che le aziende siano provviste di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile. La locuzione "altre analoghe misure" è, di primo acchito, imperscrutabile. Dal punto di vista pratico, il problema fondamentale dell’interprete è di stabilire se fra queste analoghe misure sia da ricomprendere il sistema, adottato da varie Regioni, della cosiddetta autogestione assicurativa o autoassicurazione, opportunamente meglio denominato di autoritenzione, nella cui logica rientrano anche le scelte di quelle Regioni che hanno optato per franchigie elevatissime (500.000 euro). Certo è che solo e soltanto questa interpretazione delle analoghe misure può legittimare l'adozione di siffatto sistema da parte delle Regioni. Tuttavia, a ben considerare, soprattutto con riferimento all'autoritenzione totale, è paradossale ritenere analoga alla assicurazione una misura che non si basa assolutamente sulla assicurazione.
Il Coniglio di Alice – nel Paese delle meraviglie – gestirebbe la celebrazione dell’assicurazione valorizzando la non-assicurazione.
L'espressione che si commenta non si presta ad una interpretazione univoca e certa, neppure analizzandone il significato nel contesto degli altri passi del ddl Gelli in cui essa figura. Il comma 4 dell’art. 10 offre un suggerimento interpretativo che conforta la tesi per cui l’autoritenzione non è compresa fra le "altre analoghe misure", perché in quel comma 4, l’espressione è riportata arricchita di alcuni dettagli esplicativi che la definiscono in modo non equivoco: "altre analoghe misure che determinano la copertura assicurativa". Il comma 6 del medesimo art. 10 consente invece di far rientrare l'autoritenzione fra le "altre analoghe misure", laddove prevede "i requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio, richiamate dal comma 1".
Le conseguenze dell'una o dell'altra interpretazione sono rilevanti, anche perché condizionano il significato di altre parti del ddl Gelli, ed in particolare investono il concetto di adeguatezza della copertura, contemplata, nel comma 3 dell'art. 10, relativamente alla prescrizione a tutti professionisti sanitari di assicurarsi per la rivalsa esercitata da parte dell'azienda. Per il singolo professionista, il rischio assicurato sarà meno consistente quando l'azienda è assicurata e può quindi esercitare l'azione di rivalsa solo per la franchigia e per i sinistri avvenuti in periodo di scopertura assicurativa, rispetto all'azienda che non è assicurata, avendo optato per l'autoritenzione.
Se il comma 1 dell'art. 10 del ddl Gelli venisse approvato in via definitiva confermando la clausola dell'ammissibilità di "altre analoghe misure", senza definire quali siano queste analoghe misure, esso finirà con l'ammettere il principio, che sembrerebbe voler invece contrastare, che le aziende possano non essere assicurate. Se invece, l'intenzione del legislatore è di ammettere la possibilità che le aziende non siano, in senso proprio, assicurate, allora, in fin dei conti, il comma 1 potrebbe anche non esistere, posto che reca una disciplina inutile e contraddittoria, richiedendo la prassi dell’assicurazione obbligatoria, ma ammettendo anche misure che non hanno carattere di assicurazione.
Da parte di taluni si giustifica il ricorso all'autoritenzione per il fatto che le aziende non reperiscono sul mercato compagnie disposte ad assicurarle. Il problema, però, se non sono assicurate le aziende, si sposta sui professionisti sanitari, i quali saranno costretti ad assicurarsi ed avranno gli stessi problemi, nel reperire compagnie disposte ad assicurarli, che ora lamentano le aziende.
Il dettato del comma 3 dell'art. 10, che prescrive ai professionisti sanitari di assicurarsi per la rivalsa, svela lo scenario prospettato dal ddl Gelli: le aziende delle varie Regioni saranno non assicurate perché in autoritenzione e la necessità di poter compensare i costi connessi ad un siffatto sistema le solleciterà a contestare la colpa grave ai professionisti, che dovranno quindi essere adeguatamente assicurati per la rivalsa.
Se la legge che scaturirà dal ddl Gelli consentirà (o meglio: continuerà, di fatto, a consentire) di adottare l'autoritenzione quale misura analoga alla assicurazione, vi saranno aziende assicurate in senso proprio ed aziende organizzate con "altre misure", cioè concretamente non assicurate. Per le aziende in autoritenzione, si realizzerà l’esigenza di promuovere azioni di rivalsa, favorite dalla mancanza di chiara definizione del concetto di colpa grave, al fine di demandare ad altri (il professionista improvvidamente non assicurato o la sua compagnia di assicurazione) l’onere risarcitorio.
I costi dei risarcimenti della responsabilità professionale tenderanno quindi a gravare sulle compagnie di assicurazione sotto forma di rivalsa, invero presumibilmente contenuti, dato il limite massimo fissato nel comma 5 dell’art. 9, come più avanti meglio precisato. Il prevedibile incremento delle azioni di rivalsa porterà ad un progressivo incremento dei costi delle assicurazioni per la rivalsa, il tutto in un clima di inevitabile tensione e di conflitto fra le aziende, chiamate dal ddl Gelli ad attivare le azioni di rivalsa, ed i professionisti dipendenti.
L’assicurazione dei professionisti sanitari dipendenti non solo per il rischio di rivalsa da parte dell'azienda.
L'unica assicurazione che il ddl Gelli contempla per i professionisti sanitari dipendenti è quella relativa alle rischio di rivalsa per colpa grave da parte dell'azienda. Più precisamente, il comma 3 dell’art. 10 così si esprime: "Al fine di garantire efficacia all’azione di rivalsa di cui all’articolo 9, ciascun esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in aziende del Servizio sanitario nazionale, in strutture o in enti privati provvede alla stipula, con oneri a proprio carico, di un’adeguata polizza di assicurazione". Il comma 3 non prevede formalmente un obbligo assoluto, uguale per tutti; dà piuttosto una prescrizione da valutare caso per caso, posto che:
I) il professionista sanitario è chiamato ad assicurarsi "al fine di garantire efficacia all'azione di rivalsa" da parte, stante l'art. 9 richiamato, della azienda di cui è dipendente;
II) la polizza di assicurazione è qualificata come "adeguata".
Pare lecito quindi, se l'azienda è assicurata, che il professionista proceda alla sottoscrizione di un contratto coerente con l’effettivo rischio di rivalsa, realisticamente limitato alla franchigia o ad eventuali scoperture assicurative che si dovessero concretizzare imprevedibilmente. L'adeguatezza della copertura assicurativa in caso di rivalsa varia dunque in funzione del fatto che l'azienda sia assicurata formalmente o che ricorra alle analoghe misure alternative. Nei diversi casi, il rischio di rivalsa incombente sul professionista si diversifica per entità (in funzione dell’importo della franchigia) e/o per la maggiore o minore estensione temporale (per tutto l’anno in rapporto alla franchigia, indeterminabile in caso di imprevedibile scopertura).
Questo per quanto concerne la rivalsa.
Ma il problema assicurativo per il professionista sanitario attiene non solo al rischio dell’azione di rivalsa, ma anche quello per la responsabilità civile.
Il ddl Gelli non menziona un'assicurazione per responsabilità civile del professionista dipendente. Il comma 2 dell'art. 10, che conferma i riferimenti normativi in base ai quali vige l’obbligo dell’assicurazione personale, riguarda esclusivamente il professionista sanitario "che svolga la propria attività al di fuori di un’azienda". L'assicurazione personale per il professionista dipendente parrebbe quindi facoltativa. Il condizionale è d’obbligo, dato che le norme menzionate nel comma 2 dell’art.10 concernono tutti gli esercenti le professioni sanitarie, quindi anche i dipendenti e non solo i liberi professionisti, gli unici ad essere richiamati nel citato comma 2.
Nell’incertezza, circa la sussistenza dell’obbligo gravante sui professionisti dipendenti di sottoscrivere un’assicurazione per la responsabilità civile, esplicitiamo che ne persiste comunque l’opportunità stante l’interpretazione non univoca delle norme in esame. Occorre ricordare che il soggetto danneggiato in conseguenza di attività sanitaria erogata nell’ambito dell’azienda, può agire in giudizio:
- esclusivamente contro l'azienda;
- contro l’azienda e il professionista sanitario;
- esclusivamente contro il singolo professionista.
Di conseguenza, con particolare riferimento all’ultima delle tre alternative appena menzionate, è evidente che sarà prudente per ciascun professionista stipulare una propria polizza per la copertura assicurativa della responsabilità civile.
In tal senso orienta anche il comma 3 dell'art. 7 del d.d.l. Gelli, che conferma la comunque sussistente responsabilità personale del professionista dipendente, sia pur limitandola – ma comunque confermandola – alla responsabilità extracontrattuale, in relazione alla quale il danneggiato ha quindi la possibilità di promuovere le azioni giudiziarie che ritiene più opportune. Non a caso questa eventualità è espressamente citata nel comma 2 dell’art.9, che contempla la possibilità, per il danneggiato, di convenire, nel giudizio di risarcimento del danno "anche l’esercente la professione sanitaria".
Non smentisce questa lettura il comma 1 dell’art.11 nel momento in cui indica che il soggetto danneggiato "ha diritto di agire direttamente, entro i limiti delle somme per le quali è stato stipulato il contratto di assicurazione, nei confronti dell’impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa all’azienda, struttura o ente di cui al comma 1 dell’art.10 e all’esercente la professione sanitaria di cui al comma 2 del medesimo articolo 10". Quest’ultimo è l’esercente che svolge la propria attività al di fuori di un’azienda, ma questa previsione non pone un limite alla possibilità che l’azione diretta del danneggiato sia avanzata nei confronti del professionista dipendente.
Nell'ambito di un giudizio eventualmente promosso contro il professionista sanitario in base all’art. 2043 del codice civile, la disponibilità della polizza di assicurazione è, quindi, di evidente utilità. Questa conclusione non appare soddisfacente per il professionista sanitario dipendente, che dovrà personalmente reperire un contratto assicurativo e provvedere al pagamento del premio senza poter beneficiare di una normativa che gli garantisca una copertura assicurativa personale.
L’incongruenza del limite massimo in caso di rivalsa.
Un’ultima considerazione scaturisce da una disposizione del comma 5 dell’art.9: "La misura della rivalsa, in caso di colpa grave, non può superare una somma pari al triplo della retribuzione lorda annua". Quale sia l’entità del risarcimento dovuto al danneggiato, quindi, la rivalsa non potrà superare una cifra ben nota all’atto della stipula del contratto. Questo non può non incidere sui contratti di assicurazione per la rivalsa, che dovranno commisurare il premio – a questo punto, ci auguriamo ragionevolmente contenuto – al rischio, noto, pari alla somma corrispondente alla retribuzione di un triennio del professionista assicurato. L’unica obiezione dell’assicuratore potrebbe derivare dalla previsione di una reiterata ricorrenza di "colpa grave" in capo ad un medesimo professionista. Ma è facile affermare che si tratta di evento che l’esperienza insegna essere raro, anche se forse, per i motivi prima esposti, destinato ad aumentare per i professionisti operanti nelle aziende in autoritenzione. Dal testo del d.d.l. Gelli, peraltro, non si evince che, in caso di plurime richieste di rivalsa, il tetto previsto possa conformemente moltiplicarsi.
Tutto ciò, in sintonia con quanto ha efficacemente
scritto Alberto Tita nella lettera al Direttore pubblicata in Quotidiano Sanità il giorno 11 febbraio 2016, farà sì che le azioni di rivalsa, attivate da aziende in autoritenzione del rischio per rientrare dagli esborsi elargiti nei risarcimenti, non perseguiranno lo scopo, restando comunque a carico dell’azienda la quota eccedente la misura triplo della retribuzione lorda annua del professionista.
Daniele Rodriguez e Anna Aprile
Professori di Medicina legale
Università degli Studi di Padova
14 febbraio 2016
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