Cancro. Il diritto dei malati a non perdere il lavoro. D’Arienzo (PD) e Iannelli (Favo): “Eliminare discriminazioni esistenti tra pubblico e privato”. Damiano (PD): “Tutele vanno aumentate ma dobbiamo valutare i costi”
di Gennaro Barbieri
Prosegue il confronto sulla proposta di legge per modificare la disciplina del periodo di comporto per i lavoratori affetti da malattie oncologiche. Il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, spiega: “Condivido lo spirito dell'iniziativa, ma dobbiamo attendere esito valutazioni ministero Lavoro ed Economia. E, comunque, occorre rivedere standard minimi di tutela, ma conservando autonomia di negoziazione tra le parti”.
03 FEB - In Italia il numero di persone con una diagnosi di tumore (recente o passata) segna una continua e progressiva crescita: erano 2 milioni e 600mla nel 2010, sono diventati 3 milioni nel 2015, di cui 1 persona su 4 può considerarsi “guarita”. Il cancro colpisce numerose persone in età lavorativa: secondo le ultime stime, sono oggi circa 700mila. E, in base alle valutazioni Airtum,
274mila persone sono state licenziate, costrette alle dimissioni, oppure a cessare la propria attività o comunque hanno perso il lavoro a seguito delle conseguenze della diagnosi, di cui quasi 85.000 negli ultimi cinque anni.
Lo scorso 24 settembre il deputato
Vincenzo D’Arienzo (Pd), con il supporto dell'avvocato
Elisabetta Iannelli (segretario generale Federazione Associazioni di Volontariato in Oncologia - Favo) ha elaborato uno proposta di legge Delega al governo con l’intento di fornire un supporto a questa platea e, soprattutto, con l’obiettivo di rimuovere le enormi sperequazioni che intercorrono tra pubblico e privato. Ma anche per costruire una più solida rete di protezione a garanzia dei lavoratori autonomi, particolarmente penalizzati.
Il tema è stato affrontato nel corso di un
concenvegno presso la ‘Sala Aldo Moro’ di Montecitorio, moderata dal
direttore di QS Cesare Fassari. Durante gli interventi sono stati riepilogati i punti salienti della proposta di legge
, già illustrata lo scorso 16 dicembre, e sono stati tracciati gli scenari futuri e un possibile cronoprogramma dell’iter legislativo con il contributo del Presidente della Commissione Lavoro alla Camera,
Cesare Damiano.
Allo stato attuale vige un trattamento differente tra settore pubblico e privato. Nel primo caso il periodo di comporto prevede la conservazione del posto di lavoro per diciotto mesi in un triennio di cui: i primi nove di assenza sono interamente retribuiti; nei successivi tre la retribuzione viene decurtata del 10%; negli ultimi sei la retribuzione viene decurtata del 50%. Per ulteriori diciotto mesi, poi, è stabilita la semplice conservazione del posto di lavoro senza retribuzione. Nel privato, invece, il periodo di comporto è regolato dalla contrattazione collettiva ed è disomogeneo tra i vari comparti. In nessun caso è paragonabile al periodo previsto per il settore pubblico.
La proposta di legge prospetta di uniformare il settore privato a quanto previsto nel pubblico e prevede, per patologie gravi che richiedono terapie salvavita, un ulteriore periodo di comporto di tre mesi retribuito con decurtazione del 75%. Altro intento dell’iniziativa è
garantire anche agli autonomi, per i quali è fissata soltanto una indennità di malattia pari a 60 giorni l’anno, lo stesso trattamento. Si chiede, infine, di escludere dal computo del periodo di comporto i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital per terapie salvavita ed i giorni di assenza dovuti agli effetti collaterali di dette terapie, debitamente certificati.
“I malati di cancro sono soggetti a rischio povertà – osserva
Elisabetta Iannelli - poiché, nonostante il Ssn universalistico, la malattia genera un aumento dei costi sociali diretti e indiretti. In poche parole: meno redditi e più costi. È la sintesi dell’impatto del tumore sulla situazione economica dei pazienti. E' forse accettabile - domanda Iannelli - che un’insegnante ammalata di cancro sia tutelata in diverso modo a seconda del tipo di contratto di lavoro, pubblico o privato, dipendente o autonomo? Il cancro non fa differenze, non privilegia o discrimina nessuno! Eppure la docente, se insegnasse nella scuola pubblica, potrebbe curarsi per lunghi periodi senza rischiare di perdere il lavoro; se, invece, insegnasse in un istituto privato, il suo posto di lavoro sarebbe tutelato solo per 180 giorni in un anno solare. Se la povera docente, poi, fosse una lavoratrice autonoma, il suo reddito nel periodo delle cure sarebbe indennizzato solo per 61 giorni all'anno”.
Per Iannelli è compito dello Stato “disciplinare questa materia. Non è ammissibile che a farlo sia un semplice accordo tra le parti: non è garantita l’omogeneità di trattamento tra malati la cui differenza di trattamento, a parità di malattia, dipende dal rapporto di lavoro. Occorre trovare strumenti di flessibilità che consentano all’azienda di essere inclusiva nei confronti del lavoratore, formulando opzioni differenti rispetto al mero assistenzialismo”.
La genesi della proposta di legge “risiede in una mia esperienza personale – racconta
Vincenzo D’Arienzo – Frequentando il reparto oncologico dell’Ospedale Borgo Trento a Verona mi sono infatti reso conto come moltissime donne affette da cancro al seno abbiano perso il lavoro. Da qui deriva il fulcro della mia idea: correggere le difformità relative al periodo di comporto nei vari ambiti lavorativi. La tutela, anche nel privato, non può essere affidata a un accordo tra le parti ma deve essere lo stato a intervenire per produrre una regolamentazione. Bisogna introdurre un’inversione: il riferimento sia la patologia, non il tipo di contratto. Senza dimenticare che sussiste un’altra stortura da correggere assolutamente: per effetto nefasto della legge Fornero, al termine del periodo di conservazione del posto di lavoro, il datore può recedere dal rapporto e il licenziamento è considerato giustificato per motivo oggettivo”.
Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, apprezza lo spirito dell’iniziativa e garantisce piena disponibilità a sostegno della causa, ma formula alcuni distinguo rispetto all’impianto complessivo e invita a misurarsi con gli aspetti finanziari e con le modalità applicative. “Il testo non è stato ancora incardinato in Commissione – spiega – perché non voglio mettere in campo false promesse o affidarmi a propaganda e demagogia. Abbiamo chiesto una prima valutazione al ministero del Lavoro e poi un’analisi al ministero dell’Economia perché, come sempre, vengono sollevate questioni di copertura. Vogliamo evitare quindi di mettere in moto un iter legislativo che poi non approdi ad alcun risultato. Siamo in attesa di questi riscontri, considerando positiva la proposta”.
Damiano approva l’obiettivo di rivedere gli standard minimi di tutela, ma non si riconosce in alcuni passaggi dell’approccio di Iannelli e D’Arienzo. “Sono contrario a un’invasione dell’autonomia delle parti sociali che è opportuno
conservino la prerogativa della negoziazione. E’ infatti assolutamente normale che alcune dinamiche siano affidate alla contrattazione, anche perché l’idea di un’omogeneizzazione per legge di tutti i settori è difficilmente realizzabile. Per esempio sarebbe assolutamente sbagliato pensare di trasporre integralmente i diritti del lavoro dipendente a quello autonomo. Quest’ultimo necessita certamente di maggiori garanzie, ma la regolamentazione deve essere tarata sulle sue peculiarità”.
Il presidente della Commissione scandisce quindi
una tabella di marcia: “Ci regoleremo sulla base delle risposte dei ministeri, nella convinzione assoluta che occorre un percorso sul tema, ma con concretezza e razionalità. Potremmo, per esempio, discernere le parti con copertura da quelle senza. Anche perché incardinate il testo per poi tenerlo due anni a giacere senza riscontro operativo sarebbe velleitario e quindi inutile”.
Da parte sua
Massimo Piccioni, coordinatore generale medico legale dell’Inps, sottolinea la necessità che “l’intero impianto normativo posto a tutela del lavoratore malato di gravi patologie sia oggetto di una armonica rivisitazione che, nel rispetto dei vincoli economici, non trascuri un pieno ristoro della fragilità, economica e fisica , che la malattia, specie quella importante, determina nei lavoratori. Oggi più che mai, è indispensabile garantire una “gestione globale della tutela previdenziale della malattia”.
Dagli uffici dell’Istituto nazionale di previdenza sociale è poi giunta una proposta di riforma complessiva del sistema di gestione globale della malattia (non ancora "vistata" però ufficialmente dall'Ente) con la funzione medico legale e quella di esercizio dei provvedimenti che verrebbero affidate proprio all’Inps (
vedi schema allegato). Con la cessata infermità temporanea - ha spiegato la la dottoressa
Lia De Zorzi dell'Inps - si otterrebbe la riammissione al lavoro, mentre l’infermità persistente garantirebbe l’ammissione alla malattia lunga. L’infermità permanente assicurerebbe l’ammissione alla prestazione di invalidità, da perfezionare con domanda a cura dell’interessato e verifica contributiva.
Sul fronte più strettamente clinico è intervenuto
Carmine Pinto, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom). “Comprendo le difficoltà di allargare i diritti e le tutele in una fase di revisione della spesa per il welfare – ragiona – Tuttavia è fondamentale considerare che la ricerca medica e scientifica ha portato nel corso degli ultimi anni a terapie sempre più efficaci contro il cancro. Gli effetti collaterali sono più contenuti rispetto al passato e permettono ai pazienti di avere una buona qualità di vita durante e dopo le terapie. Le istituzioni devono quindi tener conto di questa categoria sociale e creare tutti gli strumenti necessari affinché chi ha incontrato la malattia sulla propria strada possa continuare a condurre una vita normale. La cronicizzazione è sempre più estesa: un periodo di 6 mesi può diventare, grazie all’evoluzione scientifica, 2 anni in poco tempo. E ciò produce un consistente impatto economico”.
In conclusione la testimonianza di
Daniela Fregosi, blogger conosciuta con il nome di Afrodite K, che nell’estate 2013 ricevette una diagnosi di tumore al seno. Da quel momento si è scontrata quotidianamente con tutte le asperità e spesso con gli scogli insormontabili disseminati lungo il percorso di un lavoratore autonomo che contrae la malattia. E per questo ha avviato una battaglia mediatica, che ha ottenuto esiti lusighieri, per accendere i riflettori sulla questione, “Per la nostra categoria – sottolinea – il problema non consiste soltanto nella contrazione delle giornate di lavoro, ma soprattutto nella perdita dei clienti, che equivale un po’ al licenziamento. A ciò si aggiunge il fatto che la macchina infernale dei contributi e della fiscalità non si ferma mai, neanche in corrispondenza della malattia. In questo senso lo Statuto dei Lavoratori Autonomi, approdato in Consiglio dei ministri, fornisce importanti risposte. Ci sono però degli aspetti importantissimi ancora da correggere. Uno su tutti: è assurdo che, l’indennità già bassissima di 61 giorni prevista per gli autonomi che contraggono il tumore, sia erogabile soltanto se nei 12 mesi precedenti il lavoratore ha versato almeno 3 mesi di contribuzione”. La strada è, quindi, ancora lunga.
Gennaro Barbieri
03 febbraio 2016
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