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Rinnovo contratti e convenzioni. Occasione da non perdere per riorganizzare il lavoro in sanità e attuare le riforme del Patto per la Salute 

di Saverio Proia

La sfida da lanciare, che la parte pubblica e la parte sindacale dovrebbero far propria,  è far sì che i rinnovi contrattuali diventino funzionali e strumentali ai processi di riorganizzazione in atto nel Ssn. Contribuendo a sciogliere i nodi ancora irrisolti per lo sviluppo professionale e per rispondere meglio ai nuovi bisogni di salute

17 GEN - “Incredibile dictu” dopo anni di moratoria contrattuale il nuovo anno vedrà ripartire  la contrattazione collettiva nazionale in sanità; ipotizziamo che si possa chiudere rapidamente l’accordo intercompartimentale sui comparti di contrattazione ricostituendo, come si prevede e come il Ministero della Salute e le Regioni hanno sempre richiesto,  un distinto comparto di contrattazione per il personale del SSN,  con relativa area dirigenziale medica - veterinaria, sanitaria e forse anche professionale, tecnico ed amministrativa e che finalmente riprenda la negoziazione per il personale del SSN sia dipendente che convenzionato.
 
E’ evidente che l’avvio della contrattazione fa sì che lo  scenario cambi completamente; in questi ultimi anni di fermo contrattuale il Ministero della Salute  ha generosamente messo a disposizione tanti tavoli tecnici che hanno elaborato, con il concorso delle rappresentanze professionali e sindacali, molte proposte che hanno avuto un significativo consenso ed inversamente proporzionale una concreta realizzazione; ora con la prossima ripresa della contrattazione, nella pienezza delle sue componenti normative ed economiche, il tutto potrebbe trovare attuazione nella sede più idonea cioè la negoziazione tra le parti.
 
La sfida da lanciare, che la parte pubblica e la parte sindacale dovrebbero far propria,  è far sì che i rinnovi contrattuali diventino funzionali e strumentali ai processi di riorganizzazione in atto nel SSN ad iniziare dall’attuazione delle scelte strategiche dal nuovo assetto per intensità di cure degli ospedali ma soprattutto alla valorizzazione dei servizi e presidi sanitari e sociosanitari territoriali 24 ore al giorno e 7 giorni la settimana, favorendo la partecipazione, la condivisione, la compartecipazione ed il protagonismo soggettivo e propositivo dei professionisti della salute e l’insieme degli operatori.
 
La funzione primaria per dar vita a questa grande processo di innovazione e di discontinuità con il passato ma anche con il presente non potrà che essere dato in primis dagli atti di indirizzo per il rinnovo di contratti e convenzioni che  il Comitato di Settore Regioni-Sanità dovrà elaborare, approvare e rendere esecutivi.
 
Atti di indirizzo che per la valenza che si vuol attribuire non potrebbero che, usando un’espressione forte ma adeguata, lanciare il cuore oltre l’ostacolo per  volare alto ed avere un grande e rilevante respiro strategico. Proprio per questo,  sarebbe quanto mai auspicabile che,  per la visione unificante ed unitaria della riorganizzazione in corso dell’intero SSN, la parte pubblica facesse propria l’idea forza proposta da parte larga del sindacato, in particolare quello confederale , il quale per la sua natura generalista ha una visione di tutela complessiva dei diritti e dei doveri,  di un “contratto di filiera” per l’intero personale sanitario e sociosanitario, che in attesa, se serve di una modifica legislativa, potrebbe già realizzarsi in una specie di accordo quadro nel quale individuare le scelte e le soluzioni che siano comuni sia nella nuova organizzazione del lavoro che si vuol realizzare sino all’ipotizzare omogeneizzazione nei trattamenti economici e normativi sia per il settore privato accreditato che in quello pubblico, a parità di funzioni e di condizioni.
 
In questo accordo quadro dovrebbe essere, ovviamente, compresi anche il personale convenzionato e potrebbe essere realmente il primo e concreto strumento contrattuale di attuazione del Patto per la Salute, compreso l’articolo 22 dello stesso ma anche l’articolo 5, la  valenza forte ed innovativa di entrambi è  quanto mai vigente.
 
In particolare per il settore della dipendenza dovrebbero trovare centralità le seguenti questioni, che per la loro valenza costituirebbero l’architrave innovativo del rinnovo, le idee forza dello stesso.
 
“Professional e manager pari sono”
La nuova organizzazione del lavoro in ospedale per intensità di cura e il nuovo assetto delle cure primarie hanno come prima conseguenza il ridisegno dell’assetto della carriera medica come degli altri profili della dirigenza sanitaria.
 
Appare quanto mai necessario  realizzare per via contrattuale il percorso di carriera non solo gestionale ma anche e soprattutto professionale della dirigenza medica e sanitaria con la pari dignità economica tra i due percorsi di carriera a tutti i livelli, in questo quadro devono essere previste norme più stringenti per attuare la pari dignità di genere nell’attribuzione degli incarichi dirigenziali, a tutti i livelli.
 
Per questo senza alcuna modifica legislativa si può creare questo percorso di carriera, sviluppato ed attivato con la contrattazione aziendale per la dirigenza medica e sanitaria nella quale gli incarichi professionali e di alta professionalità abbiano la stessa dignità giuridica e almeno la stessa parametrazione economica di quelli gestionali, compresi quelli di struttura complessa, avvalendosi degli attuali strumenti contrattuali, come già realizzato in alcuni accordi regionali, anche in considerazione della prevista ed estesa riduzione degli incarichi di UOS e di UOC, se del caso chiedendo di  rivedere l’attuale normativa sui fondi contrattuali per mettere in condizione le aziende che riducono gli incarichi gestionali di utilizzare parte di questi risparmi, almeno per la parte economica riguardante il salario di posizione,  per valorizzare gli incarichi professionali, se è vero che tutti i risparmi che si faranno in sanità verranno riutilizzati in sanità.
 
“Inquadrare economicamente e normativamente le ulteriori competenze avanzate e specialistiche delle professioni sanitarie infermieristiche-ostetrica, tecniche, della prevenzione e della riabilitazione”
Indipendentemente dal destino dell’ipotesi di Accordo Stato- Regioni sulle competenze avanzate e specialistiche degli infermieri e delle altre professioni sanitarie e dall’attuazione integrale del mitico comma 566 della legge190/14, che si spera comunque che giunga a felice e condivisa conclusione,  questo rinnovo contrattuale , come del resto già, inascoltato, il Comitato di settore aveva indicato nel precedente rinnovo contrattuale, non può eludere la necessità inderogabile di attuare quanto previsto sia dall’articolo 6 della legge 43/06 che istituisce la posizione di “professionista specialista”  che quanto contenuto nei decreti istitutivi dei 22 profili professionali ex terzo comma dell’art.6 del dlgs 502/92 che già dal l’anno 1994 prevedevano l’istituzione di aree di formazione complementare post diploma.
 
In alcune Regioni ed in molte Aziende Sanitarie, per oculata e condivisa scelta programmatoria, il percorso di attribuzione di ulteriori competenze avanzate e specialistiche agli infermieri ed alle altre professioni sanitarie è realtà consolidata da anni ed “assolta” come assenza di reato di esercizio abusivo della professione medica anche dalla magistratura a seguito di alcune denunce e ricorsi degli “irriducibili”.
 
Perciò tale percorso virtuoso va valorizzato e normato all’interno del CCNL anche al fine di mettere in condizione le altre Regioni di attuarlo, prevedendo un adeguato apprezzamento economico del personale appartenente alle professioni  che acquisisca ulteriori competenze avanzate sulla base delle scelte aziendali e regionali, anche a seguito di percorsi formativi complementari e protocolli concordati con le loro rappresentanze e quelle mediche nonché delle altre professioni interessate.
 
Quale valorizzazione economica e normativa attribuire al professionista sanitario con competenze avanzate o specialistiche, se un incarico a tempo rinnovabile e revocabile se una posizione giuridica ed economica se retribuito con il salario di produttività, sarà una scelta demandata alla contrattazione ed altrettanto le modalità di attribuzione…in poche parole basta attuarle e retribuirle...
 
Inoltre a parte la proposta di Accordo Stato-Regioni per le competenze avanzate e specialistiche dei tecnici sanitari di radiologia medica, nel quale sono stati specificati con cura, previa intesa con le rappresentanze di medici radiologi e fisici medici, come prevede il mitico comma 566, le competenze delle nuove posizioni di tsrm specialisti, altrettanto il contratto nazionale potrà e dovrà descrivere le competenze delle nuove posizioni di specialista già delineate dalle sei aree di specializzazioni ipotizzate per gli infermieri ed a seguire per le altre professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
 
E’ evidente che con questa soluzione nazionale verrebbe meno la leggenda metropolitana che con le competenze avanzate e specialistiche si avrebbero 21 modelli differenti e soprattutto si realizzerebbero nella sede naturale della identificazione di nuove competenze e della migliore loro collocazione normativa e contrattuale qual è la sede negoziale ed attuando così quello che prevede la nuova direttiva europea sulle competenze di infermiere, ostetrica etc.
 
“L’area sociosanitaria delle professioni e degli operatori”
La suddivisone del personale del SSN “vintage” dei quattro ruoli (sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo) previsto dal DPR761/79 non corrisponde più all’evoluzione scientifica, tecnologica, normativa e formativa, un sistema nel quale ora prevale la mission di salute più che di sanità in senso stretto.
 
Infatti, come testimonia la targa apposta fuori la stessa sede del Ministero,  la salute è  definita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità come "stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia":  si tratta, quindi non solo di  gestire un sistema sanitario in senso stretto,  bensì dar corso ad un’articolata e complessa attività con più professionisti ed operatori  per  individuare e conseguentemente  modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute individuale e collettiva promuovendo al contempo quelli favorevoli.
 
Nella strategia per la promozione della salute per tutti il  Patto per la Salute 2014/2016 costituisce, allo stato attuale, il momento più alto con il quale il Governo Nazionale ed i Governi Regionali sono impegnati alla sua attuazione; in questa articolata e complessa iniziativa l’integrazione sociosanitaria costituisce uno degli assi portanti ed infatti, all’articolo 6 del Patto è stata riaffermato con forte convinzione la scelta strategica dell’integrazione sociosanitaria indispensabile per costruire un vero sistema avanzato di tutela della salute: per questo è stato avviato, che si sta per concludere, un tavolo con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la sua piena attuazione e alcune Regioni stanno già unificando e concentrando in un unico Assessore ed in un unico Assessorato le deleghe per la sanità ed i servizi sociali.
 
Ricordo che con le modifiche previste dall’art.. 3 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, il d.lgs. 502/92 all’art.. 3-septies abbia legiferato sull’ Integrazione sociosanitaria definendo prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione, nonché all’art.3 octies è prevista l’Area  delle professioni sociosanitarie che, purtroppo questa area non è stata ancora  istituita; cioè non toglie che  la giusta intuizione del legislatore in un settore, quale quello sociosanitario, ad elevata espansione per l’attuale quadro demografico ed epidemiologico, non possa già essere resa operante all’interno della contrattazione prevedendone la sua istituzione, anticipando quanto i Ministeri e le Regioni dovranno fare in attuazione di quanto sopra .
 
E’ evidente che l’area delle professioni e degli operatori sociosanitari è una nuova configurazione professionale tutta da riempire di profili da ricollocare o da istituire ex novo; ad oggi l’unico  profilo professionale istituito con una metodologia propria di quest’area è l’operatore socio sanitario.
 
L’OSS collocato in questa nuova area avrebbe la giusta collocazione risolvendo alla radice le questioni controverse legate al suo attuale inquadramento nel ruolo tecnico da una parte e dall’altra porrebbe nella giusta dimensione, il rapporto di collaborazione con le professioni sanitarie ad iniziare da quella infermieristica; si potrebbe, così, dar finalmente attuazione al documento prodotto dal “Tavolo Ministero-Regioni su ruolo, funzioni, formazione e programmazione del fabbisogno dell’operatore sociosanitario”
 
Mentre la costituzione reale di quest’area delle professioni sociosanitarie potrebbe apre nuove legittimità ed operativa professionali in un ambito di intervento tutto da scoprire e dinamico affrontando tante criticità attuali  di alcuni profili,  quali il doppio canale formativo universitario dell’educatore professionale in sanità formato nelle Facoltà di Medicina e di quello nel sociale e nel terzo settore formato nelle Facoltà di Scienze dell’Educazione  o l’incongruo inquadramento nel ruolo tecnico di alcuni profili ad iniziare dall’operatore sociosanitario sino alla  stessa professione di assistente sociale, prevedendo anche per questo profilo la posizione dirigenziale in piena attuazione della legge 251/00 come ben indicato dal documento del tavolo tecnico del  Ministero della Salute sul servizio sociale professionale in sanità,  ma anche al profilo di sociologo, per il quale da più parti era stato richiesto l’inserimento nel ruolo sanitario in particolare per le sue attività di promozione della salute o di intervento nella salute mentale e nelle dipendenze,  così per questi profili  esaltandone, di conseguenza, le potenzialità operative si  riconoscerebbe la giusta e corretta collocazione in ambito sociosanitario.
 
Inoltre, istituendo  questa area si potrebbe dar corso, in particolare nella contrattazione della sanità e del sociosanitario privato e del terzo settore ad un inquadramento più consono ed adeguato a tutti quei profili professionali che non  sono   riconosciuti all’interno dell’attuale  sistema professionale sanitario ma che nella riconosciuta visione nuova  di tutela della salute, sono  utili ed efficaci per il piano terapeutico, tant’è che sono presenti già   in presidi sociosanitari pubblici e privati, profili che in mancanza di questa alternativa stanno chiedendo il riconoscimento con le procedure previste dalla legge 4/2013 e qui l’elenco è tutto da scoprire dai musicoterapisti a seguire,  c’è un mondo reale che chiede il riconoscimento formale anche nella contrattazione nazionale, dando vita ad un nuovo e discontinuo scenario di diverso pluralismo  professionale  che sia corrispondente ed adeguato non solo ad interpretare ma anche a soddisfare i bisogni di salute rispondendo positivamente  all’evoluzione della  organizzazione del lavoro nella prevista integrazione sociosanitaria.
 
Si aprirebbe così uno scenario per nuove e più aderenti risposte formative ed occupazionali alle nuove generazioni inquadrando pertanto diversamente in forme più adeguate anche il personale già occupato appartenente a quei  profili professionali che potrebbe trovare, finalmente, la giusta collocazione  nell’Area dell’integrazione sociosanitaria.
 
 
“La concertazione…a volte ritorna”
Se questa tornata contrattuale può essere funzionale e strumentale a contribuire ad attuare il Patto per la Salute ne consegue che il ruolo del sindacato non può che essere relegato alla sola informazione bensì è quanto mai opportuno riattivare modalità di relazioni sindacali che vedano partecipare le rappresentanze sindacale alle varie fasi di riorganizzazione del SSN per favorire la loro condivisione e consenso e il loro contributi di idee e di sapere.
 
Del resto su questo versante e con il comma 566 della legge 190/15 e con l’Accordo Stato-Regioni del 13.11.14 sulla cabina di regia per la regolazione della vita professionale nel SSN, la parte pubblica già si è spesa enormemente su questo argomento..
 
Infatti partendo dall’art. 5 del Patto per la Salute che prevede:
Per un efficientamento del settore delle cure primarie, si conviene che è importante una ridefinizione dei ruoli, delle competenze e delle relazioni professionali con una visione che assegna a ogni professionista responsabilità individuali e di equipe su compiti, funzioni e obiettivi, abbandonando una logica gerarchica per perseguire una logica di governance responsabile dei professionisti coinvolti prevedendo sia azioni normativo/contrattuali che percorsi formativi a sostegno di tale obiettivo”.
 
Questo concetto è stato rafforzato dall’articolo 22, sempre del Patto per La Salute che prevede:
Al fine di garantire la nuova organizzazione dei servizi sanitari regionali, con particolare riferimento alla riorganizzazione delle rete ospedaliera, ai servizi territoriali e le relative forme di integrazione, alla promozione della salute e alla presa in carico della cronicità e delle non autosufficienze e di garantire un collegamento alla più ampia riforma della Pubblica Amministrazione, si conviene sulla necessità di valorizzare le risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale e di favorire l’integrazione multidisciplinare delle professioni sanitarie e i processi di riorganizzazione dei servizi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”
 
 Inoltre il comma 566 della legge 190/14 recita che:
Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e terapia, con accordo tra Governo e regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati, sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi complementari…".  
 
Ad abundantiam come ho già descritto nell’articolo pubblicato il 3 gennaio c.a. su questo quotidiano, l’Accordo ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.281, tra il Governo le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano, recante istituzione di una Cabina di  regia per il coordinamento nazionale sulla regolazione della vita professionale ed organizzativa degli operatori del sistema sanitario. al centro il ruolo del sindacato come coprotagonista del processo di nuova organizzazione del SSN.
 
Quanto sopra prefigura un nuovo soggettivismo positivo e costruttivo del sindacato che non si potrà estrinsecare se nei rinnovi contrattuali non si darà corso a nuove modalità di relazioni sindacali che possano prevedere forme di concertazione delle rappresentanze dei professionisti e degli operatori del SSN nelle fasi di ristrutturazione e di riorganizzazione del SSN.
 
Non si tratta di resuscitare presunti poteri di veto dei sindacati bensì, trattandosi di avvio di profonde e radicali modifiche dell’organizzazione del lavoro in sanità,  di realizzarle favorendo la comprensione, la condivisione e il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori del SSN e delle loro organizzazioni sindacali.
 
Ricordo, inoltre che il 21 dicembre scorso in una riunione organizzata a Bruxelles dalla Commissione europea, alla presenza della ministra francese per il Decentramento e la Funzione Pubblica, Marylise Lebranchu, è stato sottoscritto un accordo dal Comitato di dialogo sociale europeo  per le Funzioni Centrali di governo, ovvero quell'organismo che prevede il dialogo a livello europeo tra la rappresentanza sindacale (denominata Tuned, Trade Unions National and European Administration Delegation , che vede assieme sia la rappresentanza Epsu sia quella autonoma del Cesi) e quella dei datori di lavoro (denominata Eupae, Eu Public Administration Employers) che prevede che i lavoratori delle pubbliche amministrazioni di tutta Europa andranno preventivamente informati e consultati, rispetto alle scelte che ricadranno sul loro lavoro, compresa l’innovazione nell’organizzazione del lavoro; tale accordo si tramuterà in una direttiva europea, tra governi e sindacati.
 
Corresponsabilizzare il personale nella lotta agli sprechi”
Poco utilizzato in Sanità, nonostante che l’idea sia partita da un Tavolo tecnico del Ministero della Salute con i sindacati del comparto e della dirigenza SPTA, è quanto previsto dall’art. 6 della legge 111/2011 che recita così:
 
“omissis   5. In relazione ai  processi  di  cui  al  comma  4,  le  eventuali economie aggiuntive effettivamente realizzate rispetto a quelle  già previste dalla normativa vigente, dall'articolo  12  e  dal  presente articolo ai fini del miglioramento dei  saldi  di  finanza  pubblica, possono essere utilizzate annualmente, nell'importo  massimo  del  50 per cento, per la contrattazione integrativa, di cui il 50 per  cento destinato alla erogazione dei premi  previsti  dall'articolo  19  del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”.
 
Come si è detto, escluse poche meritevoli eccezioni, al contrario delle altre pubbliche amministrazioni, le Aziende ed Enti del SSN non hanno utilizzato questa norma che invece ha un’enorme  potenzialità coniugando il raggiungimento di economie nella spesa al coinvolgimento delle stesse del personale valorizzando economicamente la loro partecipazione attiva e propositiva.
 
E’ pertanto uno  strumento  legislativo in grado di incentivare  la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori, con la previsione per la quale una quota dei risparmi derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione possa essere  destinata, secondo criteri definiti dalla contrattazione integrativa, al personale direttamente coinvolto e alla stessa contrattazione decentrata, idea forza già prevista  dall’ art. 38, comma 4, lettera b) del CCNL Sanità 1998/2001  e  l’art. 30, comma 2, lettera b) del CCNL Sanità 2002/2005   e relativamenteal personale medico e degli altri profili dirigenziali  l’art. 9 - Coordinamento Regionale CCNL 2002 – 2005 biennio economico 2002 – 2003 Area III e IV e precisamente al comma 1. dell’art. 9 lettere D. F e G. e l’art. 55, comma 1 lettera d, comma 2 del CCNL 8 giugno 2000, che normano  la possibilità di incremento dei salari individuali ed indirettamente dei  fondi del salario accessorio, in presenza di processi di razionalizzazione della spesa.
 
Sarebbe, quindi, quanto mai auspicabile  poter  prevedere nei rinnovi contrattuali che la dirigenza medica, sanitaria professionale, tecnica ed amministrativa da un lato e comparto dall’altro possano  contribuire, in forma originale, a sviluppare  un nuovo modello di relazioni sindacali che sia in grado di :
1. raggiungere obiettivi di produttività ed efficienza delle Aziende Sanitarie  tali da potenziare la produttività, la qualificazione quanti - qualitativa della risorsa personale ed il miglioramento delle retribuzioni dei professionisti e degli altri operatori dipendenti, legandoli agli obiettivi contenuti nel Patto per la Salute 2014/2016;
2. sviluppare la partecipazione e la condivisione al processo di aziendalizzazione in grado di  determinare nei distretti, negli ospedali nei dipartimenti di prevenzione e  nelle funzioni direzionali, azioni volte a rendere più adeguato ed appropriato l’intervento di tutela della salute individuale e collettiva;
3. concorrere al percorso condiviso di un modello di Azienda sempre più attento al valore della persona e di un modello di sindacato quale soggetto attivo dello sviluppo e della diffusione del benessere;
4. individuare “le migliori pratiche” che contribuiscano al coinvolgimento alla responsabilizzazione delle parti sociali come condizione  per favorire e concretizzare istituti partecipativi  e, parimenti,  aumentare la produttività coinvolgendo i lavoratori nei risultati economici aziendali  attraverso l’erogazione economica del contro valore del maggior impegno profuso, che si qualifichi come vero e proprio “dividendo aziendale” da ripartire, in una logica aziendalistica concertativa, tra Azienda e “forza lavoro”.
 
In questo quadro è evidente che implementando la partecipazione e la responsabilizzazione dei professionisti e dei  lavoratori all’organizzazione e all’andamento delle aziende sanitarie, alla  lotta agli sprechi ed alla razionalizzazione della spesa,  si potrà  permettere il recupero di ingentirisorse, oggi disperse, e una più razionale  programmazione finanziaria da finalizzare  sia ai contratti integrativi di secondo livello, che ad  investimenti in tecnologia e risorse umane, il tutto nell’obiettivo di offrire servizi efficienti per i cittadini.
 
Lo sviluppo della  contrattazione integrativa di secondo livello dovrà apprezzare il fatto che  a figure professionali sempre più specializzate, autonome e responsabilizzate, sia necessario corrispondere un conseguentemente adeguamento delle retribuzioni sia su base contrattuale che professionale: bisognerà tendere ad un sistema retributivo, che sappia valorizzare un giusto riconoscimento a capacità e competenze, che sappia premiare il merito, che favorisca la crescita professionale di chi vuole fare di più.
 
Saverio Proia

17 gennaio 2016
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