Responsabilità professionale. Nella nuova proposta una variazione poco utile della proposta Bianco
di Pierantonio Muzzetto
Alla fine la PDL appena varata dalla Commissione Affari Sociali, in buona sostanza, appare ancora un complicato puzzle dalle mille tessere che suscita controverse reazioni anche nello stesso schieramento politico del relatore, che potrebbero portare a un efficace intervento al Senato a correzione delle incongruenze riscontrate
07 DIC - La scia di pareri, non della cometa della Natività pur essendo nel periodo giusto, si diffonde nell’etere politico per l’encomiabile lavoro fatto in Commissione Affari Sociali della Camera, a dimostrazione di come l’argomento trattato, di per sé complesso e articolato, non trovi sempre consensi unanimi, non solo nel mondo medico.
Forse per la sua storia, forse per il percorso sostenuto, in questo senso la PDL – che non è un partito politico - sulla responsabilità medica nasce come un articolato di norme costruito sulla proposta
Bianco, poi su quella di
Vargiu e come un
collage di pezzi fra loro diversi arriva alla formulazione (finale)
Gelli.
Un percorso evidentemente ad ostacoli, in cui sono caduti l’atto medico, unica espressione della professione, e l’atto sanitario, di fatto abbandonato almeno formalmente, perché in un certo senso lo si troverebbe (per come si legge) spalmato nell’articolato del Testo Unico. Vero? Falso? Pura fantasia? Per taluni il primo dubbio nasce proprio dalla dizione del destinatario o dei destinatari del provvedimento: gli esercenti le professioni sanitarie che ne sono gli attori. Novelli Carneade destinatari dell’agire medico, Eredi delle sue peculiarità.
Ma perché si parla di esercenti le professioni sanitarie? Lo stesso relatore e i componenti di Commissione, come si legge nei verbali pubblici, non hanno considerato altre dizioni o la proposta, “antiquata” come direbbe qualcuno, di precisare nei vari passaggi “medico” e “professioni sanitarie” in base agli articoli. Con ciò meglio significando il valore e la pertinenza della raccolta del consenso informato, della diagnosi come della cura.
Il disorientamento è massimo e la domanda ancora più lecita: parliamo di una legge della professione medica, della responsabilità medica, come era nella proposta Vargiu, o di un
potpourri di responsabilità in ambito sanitario? O parliamo invece di una legge a tutela del sistema regionale?
Non certo si tratta di una legge che fa chiarezza della professione medica. E perciò, checché se ne dica ci si aspetta un doveroso chiarimento.
L’enunciato, trasformato in corso d’opera, tratta i vari aspetti delle responsabilità: dal rischio clinico, alle linee guida annesse e connesse anche alla valutazione della colpa, delle assicurazioni con l’aspetto conturbante della rivalsa. In un articolato che oggi appare piuttosto
un ensemble di
Penderecki, forte esempio d’avanguardia musicale, all’uopo scomodata come aspetto musical legislativo che desta comunque dal torpore. Per non parlare delle disambiguità. In primis, dunque, gli “esercenti le professioni sanitarie”.
Una seconda disambiguità riguarda le linee guida e, va chiarito quale valore realmente le si debba attribuire, ossia se siano strumento o norma assoluta ad uso del clinico ovvero strumento o norma da utilizzare estensivamente in ambito assistenziale: ossia chi le usa e per chi sono strutturate? Per il medico? O per chi?
Ma ancor prima va chiarito il loro valore intrinseco – sulla cui autorevolezza e accreditamento non può non aver titolo la federazione medica pur sempre in un rapporto collaborante, qualificante e qualificato con le società scientifiche - e va chiaramente detto che esse rimangono in mano al medico come aggiornate ed autorevoli raccomandazioni, in linea anche col codice deontologico. Se utilizzate come discrimine del comportamento medico e, nel contenzioso, come espressione della colpa medica, il loro limite comunque lo si consideri è la loro applicabilità. Limitata nelle singole patologie, difficoltosa in presenza di più patologie concomitanti. Ma soprattutto, e ancor più, perché basate sulla malattia e non sull’ammalato nella sua complessità. In questo concetto sta la
tailoring medicine, la medicina costruita sul paziente e sulle sue sulle necessità di salute, che utilizza in modo adattativo le linea guida. Ed è anche il limite della Balduzzi, proprio per questo non del tutto applicabile perché non contempla il giudizio clinico: una legge poco utilizzata dalla Cassazione.
Il giudizio clinico alla base delle scelte è, in buona sostanza, quanto espresso sempre dalla Suprema Corte in alcune sue sentenze che fanno giurisprudenza, e ove a prevalere nel giudizio è proprio la valutazione clinica a dispetto dell’osservanza proprio di linee guida che, applicate pedissequamente, trascurano gli aspetti invece fondamentali dell’ammalato nel processo di cura. Per questo nasce la perplessità della riproposizione in questa PDL della colpa (art.6 commi 1-2) con modifica anche dell’art.509 del codice penale, rinvigorendo la Balduzzi, e ciò a prescindere dall’indubbia discrezionalità o dal buon senso del giudice, peritus peritorum.
In linea di principio si dovrebbe evitare di considerare le linee guida come punto di riferimento statico al pari di una norma di legge della professione nel giudizio di colpa, valutandone invece la pericolosità della loro acritica applicazione, al di fuori di una preliminare, competente, valutazione clinica del medico. Criterio da invocare anche in ambito peritale ex post. Forse, allineandosi all’Europa e alle nazioni più evolute, ci si sarebbe aspettati un passo in avanti sulla depenalizzazione dell’errore medico - la cui PDL sollecitata dall’allora sottosegretario Fazio è ferma dal 2005 - e ciò non solo per limitare il contenzioso o la cosiddetta medicina difensiva, su cui peraltro ci sarebbe e ci sarà molto da dire.
Un terzo aspetto correlato è l’onere della prova. Con l’
extracontrattualità e la
contrattualità diversamente applicate in ambito medico si verifica una disparità di trattamento non sostenibile, con un provvedimento che non protegge certo il medico mentre per alcuni forse favorirebbe maggiormente le aziende. Nella valutazione della colpa in presenza di accuse di
malpractice la soluzione più semplice a tutela tanto del cittadino tanto dello stesso medico è quella del “reato di lite temeraria in capo al cittadino” (Cass. 3 agosto 2001 n. 10731- Cons. Stato, 25 febbraio 2003 n. 1026), a suo tempo già espressa e
sostenuta recentemente anche dall’amico Roberto Polillo.
Una norma ancor oggi moderna che garantisce il medico, se denunciato ingiustamente, e lo stesso cittadino nel superiore rispetto del diritto, consentendo di ripristinare il valore della verità fattuale, con responsabilità verso chi ingiustamente accusio chi abbia torto, sia esso il cittadino, il medico o lo stesso consulente. Il vantaggio sarebbe quello di non cambiare anche lo stesso codice penale e di avere un iter legislativo più snello, senza dover per questo scomodare la commissione giustizia.
In buona sostanza a tener desti sono ancora due altri aspetti tutt’altro che chiari - che richiedono in futuro specifici interventi legislativi - la rivalsa e le assicurazioni. E tutto si gioca sulle sentenze di colpa grave della Corte dei Conti, e sulla successiva attivazione della rivalsa che aprono un rilevante problema giuridico, quello della postulata
univocità del reato e della conseguente univocità della pena. La “sentenza erariale di colpa grave” è indipendente da altre sentenze di merito e non considera limitante o escludente l’assoluzione in penale dallo stesso capo d’imputazione.
Nella semplicità del cittadino comune, pur conscio delle diverse competenze e dell’autonomia di giudizio dei vari ambiti giudiziari, stona il dover pagare in rivalsa per una colpa che la giustizia penale non riscontra e da cui si va assolti: da qui nasce il problema giuridico da “dipanare” riassumendo, proprio dell’univocità del reato e della pena. Fa
pendant l’aspetto assicurativo, correlato alla rivalsa, ma anche a se stante in relazione alla professione, che è fortemente condizionante la professione medica e lo sarà per la società.
La facilità infatti con cui le Compagnie “disdettano” le polizze e non riassicurano, a fronte dell’obbligo di legge, che invece impone al medico d’esser assicurato, è fonte di crescenti preoccupazioni. La legge che doveva normare la posizione delle compagnie d’assicurazioni era prevista. Se ben si ricorda, nel decreto Balduzzi, da promulgarsi entro sei mesi dalla sua uscita, e poiché di anni ne sono passati più d’uno ci si sarebbe aspettati ben altra sensibilità da parte della commissione Affari Sociali, col prevedere una norma che corregga il vuoto normativo lasciato proprio dalla Balduzzi e, dall’altro, l’asimmetria legislativa dell’obbligo del medico ad assicurarsi per professare e la discrezionalità delle compagnie, invece, ad assicurare. Necessaria per porre rimedio a situazioni di forte disagio medico e a difficoltà oggettive, quali pagare polizze previste con premi crescenti, insostenibili soprattutto per le giovani generazioni mediche.
Non si può però non riconoscere la fatica di questa PDL, una vera fatica di Tantalo, ma non vorremmo che si rivoltasse contro lo stesso relatore quel giudizio d’
antiquariato, in questo caso metodologico e non d’avanguardia come si vorrebbe far apparire. Alla fine questa PDL, in buona sostanza, appare ancora un complicato puzzle dalle mille tessere che suscita controverse reazioni anche nello stesso schieramento politico del relatore, che potrebbero portare a un efficace intervento al Senato a correzione delle incongruenze riscontrate.
E, ritornando alla visione musical legislativa, ci si augura di ascoltare le note armoniose dei concerti Brandeburghesi di Bach, senza niente togliere all’ensamble d’avanguardia del maestro polacco, a cui ci si è precedentemente richiamati.
Pierantonio Muzzetto
Presidente Omceo di Parma
07 dicembre 2015
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