Responsabilità professionale. Gallone (Anaao): “Bene volontà di porre freno a contenziosi ma è mancato coraggio di avvicinarsi a modelli europei sperimentati”
di Gabriele Gallone
Positivo il testo unico, bene anche il passaggio dalla responsabilità contrattuale a quella extracontrattuale. Ma l’impianto normativo potrebbe “fare acqua” nella identificazione delle linee guida stesse. No anche alla “rivalsa”, ossia alla possibilità che al professionista venga richiesto di sborsare denaro in conseguenza del risarcimento.
20 NOV - Il
disegno di legge licenziato dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati sulla responsabilità professionale presenta luci e ombre. Uno degli aspetti positivi è che si è finalmente deciso di riunire tutti i vari progetti di legge, giacenti da molto tempo nei due rami del Parlamento, in un unico disegno di legge. Il fatto che se ne sia anche concluso l’iter per la discussione in Parlamento denota finalmente la sensibilità del mondo politico verso un tema su cui si sono versati fiumi di parole senza che si fosse mai giunti ad una ridefinizione legislativa nell’arco di più di 30 anni.
Il testo unico adottato in Commissione introduce, anche se in maniera molto embrionale rispetto alla realtà di altri Paesi europei, la centralità di un sistema di risk management all’interno di ogni azienda sanitaria (sia pubblica che privata).
Purtroppo, anche in questo caso, dovremo affidarci alla bontà dei provvedimenti regionali dai quali dipenderà la declinazione e la organizzazione di questi sistemi che dovranno interloquire periodicamente con il Ministero della Salute.
Sulla responsabilità professionale, viene ribadita, con maggiore specificità, rispetto al c.d. “Decreto Balduzzi”, l’importanza della adesione alle linee guida di provata efficacia ad evitare l’imputabilità di cui all’art. 589 e 590 del codice penale (omicidio e lesioni colpose). Si introduce infatti un nuovo articolo del codice penale, il 590-ter, solo per gli esercenti la professione sanitaria, che esclude la colpa grave se vengono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida e dalle buone pratiche assistenziali.
Dove l’impianto normativo potrebbe “fare acqua” è proprio nella identificazione delle linee guida stesse. Il testo parla genericamente di “linee guida... prodotte dalle Società Scientifiche iscritte in un apposito elenco, istituito con Decreto del Ministro della Salute”.
Tale approccio è estremamente superficiale e sicuramente fallace. Se lo “scudo” che si offre ai professionisti sanitari è fatto di latta, non v’è dubbio che nelle aule giudiziarie verrà facilmente demolito.
Innanzitutto, affermare implicitamente che le linee guida prodotte dalle Società Scientifiche siano le migliori è smentito da una soverchiante mole di articoli scientifici, sia per potenziali, ed in non pochi casi dimostrati, conflitti di interessi, sia per l’approccio troppo spesso monodisciplinare.
Le linee guida debbono ispirarsi a rigorosi criteri, definiti a livello internazionale, che comportano la esplicitazione dei livelli di evidenza e la forza delle raccomandazioni, debbono essere aggiornate periodicamente da un team di esperti la cui composizione include epidemiologi clinici, statistici, professionisti di varie discipline e professioni, rappresentanze dei pazienti e dei medici di medicina generale e basarsi, quando possibile su meta-analisi, su revisioni sistematiche e trials clinici rigorosi.
Tale approccio necessita di organismi indipendenti, emanazione dei dicasteri che si occupano di sanità che sottopongono a verifica e validano tali linee guida quali ad esempio il NICE inglese o l’Ahprq americano (che le producono anche in autonomia).
Il testo pecca in questo caso di provincialismo, normando le linee guida buone da quelle cattive senza nessun controllo e non basandosi neppure sulle affidabilità delle linee guida ma sulla affidabilità delle Società Scientifiche che le producono. Forse, sarebbe stato meglio non demolire il Pnlg (Piano Nazionale Linee Guida), praticamente cancellato dalle mitragliate di tagli lineari delle finanziarie passate, e rafforzare un organismo indipendente più vicino alla esperienza della Cochrane Collaboration che ad astratti elenchi che non sono altro che un atto di fede.
Nel testo c’è però anche una grossa novità che di fatto modifica la responsabilità civile del professionista sanitario. Si passa dalla responsabilità ex art. 1218 (responsabilità contrattuale) a quella ex art. 2043 (extracontrattuale). Questo significa un cambiamento notevole sia per i termini di prescrizione che intercorrono dal fatto oggetto del contenzioso (si passerebbe da 10 a 5 anni) sia per l’inversione dell’onere della prova. Pertanto, con questa nuova formulazione, la colpa del sanitario deve essere sempre provata da chi pretende il risarcimento, mentre fino ad oggi era il sanitario a dover provare che l’inadempimento era stato determinato a causa a lui non imputabile.
Questo varrà, se approvato, per tutti gli esercenti la professione sanitaria, sia pubblici che privati, in rapporto di dipendenza oppure no. Ciò eliminerebbe finalmente la presenza di “figli e figliastri” all’interno del Sistema Sanitario, dando certezze anche dal punto di vista assicurativo a molti giovani che vivono attualmente nel precariato.
Assolutamente non condivisibile è invece l’approccio scelto per modificare la responsabilità amministrativo-contabile (la temutissima rivalsa) ovvero la possibilità che al professionista venga richiesto di sborsare denaro in conseguenza del risarcimento.
Dal testo emergerebbero rivalse note (quella ad esempio della Corte dei Conti per i dipendenti pubblici) e rivalse nuove o totalmente inventate creando un totale di 4 possibili rivalse: a quella già citata si aggiungerebbe quella dell’azienda sanitaria (art. 7-bis, comma 1 e comma 8), quella dell’impresa assicuratrice (art. 8-bis comma 3) e infine quella del Fondo di garanzia (art. 9, comma 7).
Queste tre rivalse rappresentano situazioni paradossali: nel primo caso l’azienda sanitaria, come scritto nel testo, potrebbe rivalersi sull’esercente la professione sanitaria competendo con la Corte dei Conti (art. 7-bis, comma 8) magari istituendo una specie di “Sant’Uffizio” e decidendo autonomamente ciò che per legge è demandato alla Procura della Corte dei Conti.
Nel secondo caso la situazione è addirittura incredibile: l’esercente la professione sanitaria stipula una polizza per tutelare il proprio patrimonio, affidandosi ad una impresa assicuratrice, e si ritrova a dover fronteggiare quest’ultima che gli richiederà denaro in conseguenza di un sinistro.
Il terzo caso è indicativo della scarsa propensione dello Stato a tutelare i cittadini. Il Fondo di Garanzia, come avviene in altri Paesi (ad esempio in Francia) è finanziato dallo Stato per tutelare specifiche situazioni in cui possono ricadere i sinistri (es. le infezioni ospedaliere ma non solo).
Nell’art. 9 invece tale Fondo interviene solo se l’impresa assicuratrice sia insolvente o il massimale non sia sufficiente a risarcire il danneggiato.
La prima anomalia è data dalla fonte del finanziamento. Sarà infatti a carico delle imprese assicuratrici le quali verseranno una percentuale sui premi incassati. Ergo, lo Stato non metterà un soldo e siamo certi che tali quote saranno prontamente riversate sui premi che pagheranno i professionisti sanitari con inevitabile aumento degli stessi.
La seconda anomali che costituisce l’aspetto più disarmante è che anche questo Fondo potrà agire una azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione.
Dal comunicato stampa del Ministro di ieri sera: ”(con questo disegno di legge)..... viene limitata, da un punto di vista della quantificazione, l’azione di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico”. A noi pare che più di rivalsa si dovrebbe parlare di accerchiamento e accanimento amministrativo-contabile.
Nel complesso non possiamo che plaudere alla volontà di porre un freno all’aumento dei contenziosi, spesso del tutto velleitari e alla auspicabile riduzione dei premi assicurativi.
Nel complesso però non si è avuta la forza e il coraggio di avvicinarci a modelli europei solidi e sperimentati in cui la possibilità di subire tre procedimenti giudiziari (penale, civile e amministrativo-contabile) semplicemente, non esiste.
La mancata evoluzione culturale in questo ambito è testimoniata dalla semantica del Ministro Lorenzin che si vanta di aver istituito un fondo per la “malasanità”.
Parlare di eventi avversi non fa ancora parte del lessico nostrano. E quindi attendiamo con fiducia che arrivi anche da noi una gestione del rischio che non miri solo ad identificare il colpevole, ma a coinvolgere i professionisti in un aumento della sicurezza delle cure.
Gabriele Gallone
Esecutivo Nazionale Anaao Assomed
20 novembre 2015
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