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Titolo V. Spot a parte, ecco una proposta per affrontare seriamente la questione

di Ivan Cavicchi

Al di là della proposta Renzi, da alcuni letta come “statalista” e da altri come “regionalista”, il vero problema è ridefinire la governance del sistema. Un progetto che non si può limitare a spartire grossolanamente i poteri legislativi ma deve ridisegnare l’intero processo decisionale e gestionale del sistema

09 APR - Nella proposta di riforma del Titolo V del governo, vi è un punto che ha fatto battere il cuore a molti anti regionalisti: la modifica della lettera m) nell’art 117 che assegna  alle competenze esclusive dello Stato la facoltà di adottare “norme generali per la tutela della salute”. Alcuni lo hanno interpretato come una restrizione dei poteri regionali, altri si sono mostrati scettici sulla sua effettiva praticabilità.
 
Che la  frase non sia  automaticamente una garanzia    è dimostrato dall’esperienza del Piano  sanitario nazionale che da tempo immemore  definisce “norme generali per la tutela della salute” ma nell’indifferenza delle  regioni che hanno sempre  inteso la pianificazione  in modo autonomo. Ma anche il riferimento alle competenze esclusive delle regioni non è meno problematico, in questo caso  dovremmo recuperare  una corretta accezione di regionalismo scaduto  da anni nel  regionismo cioè in una sorta di  dispotismo istituzionale che propone la regione come   l’ombelico del mondo.
 
Ritorno sull’argomento “governabilità” con l’intento di ricomporre le tante questioni, partendo da due repechage (onore ai visionari): “Malati e governatori” del 2006 e “I mondi possibili della programmazione sanitaria” del 2012.
 
Con il primo lavoro proponevo un governo sostanzialmente articolato in due ordini di livelli, quello  “generale” e quello  “regionale” dove  “generale” prende il posto di “nazionale” diventando sinonimo di “federale” con il significato di  qualcosa  che è comune a tutti e di qualcosa che  è “meta” cioè sopra a tutti, mentre  “regionale” è sinonimo di peculiare, locale, pertinente  e specifico. Mi sono semplicemente  limitato a cambiare il criterio ordinatore: da  quello banalmente del contenitore cioè  l’ambito e il dominio territoriale, a quello del contenuto per  competenze effettive.
 
Quindi:
· un governo regionale di primo livello, che si occupa di questioni locali (organizzazione, salute, assistenza, gestione, operatività ecc);
· e un governo federale centrale  di secondo livello che si occupa di questioni generali e sovra locali (sostenibilità, tutela dei diritti, squilibri, diseguaglianze, allocazione di risorse, lavoro, professioni ecc).
Con il secondo lavoro, proponevo  di ripensare la programmazione sanitaria nazionale facendone  la cerniera tra federale (generale) e regionale, (locale peculiare e pertinente) ma superando la vecchia concezione di piano sanitario nazionale, ormai da tempo un inutile rottame del passato che nessuna regione ha mai preso sul serio, e rimpiazzandola con  un “programma generale” quale sistema di condizionali operativi nei confronti delle regioni.
Io penso che in questa fase  dovremmo contribuire  a specificare  in modo chiaro e circostanziato i poteri allocandoli nel  primo e nel secondo ordine di governo e definirne gli strumenti.
 
Per quanto riguarda il governo federale centrale si tratta di chiarire nel merito:
· le competenze legislative esclusive  del parlamento  in ordine alla natura pubblica  del servizio sanitario nazionale, alle  prospettive  e contro prospettive del sistema sanitario, alle garanzie dei diritti e  delle tutele. Esempio: non spetta al governo decidere, come si è tentato di fare in questa legislatura, di cambiare la natura universalistica del sistema;
· le competenze legislative esclusive  del governo circa le condizioni  pratiche di eguaglianza dei diritti, sui servizi da garantire in modo universale, sulla definizione  delle professioni e della  loro formazione, circa  i condizionali di programmazione a partire dai quali le regioni e i comuni esplicheranno  le loro autonomie, circa  i casi concreti per i quali far scattare la  vicarianza nei confronti delle regioni o dei comuni inadempienti ricorrendo alla “norma di sovranità”, quindi al commissariamento;
· tocca al governo  ripensare l’ “azienda” quale parte integrante del sistema  di governo. I problemi dell’azienda riguardano la genericità della sua natura, si tratta quindi  di modificare  la  legge istitutiva che non ha chiarito  la natura peculiare dell’azienda sanitaria al fine di specificarla nel senso di orientarla  alla domanda, connotarla quale azienda di servizio, a gestione partecipata e a management diffuso.
 
Per quanto riguarda il governo decentrato si tratta di:
· ridefinire in prima istanza l’organizzazione burocratica e anacronistica degli assessorati, non si può aziendalizzare solo un sotto sistema ma di pensare gli assessorati quali aziende capofila, (holding) riorganizzandone competenze, metodi e  professionalità;
· assegnare ai comuni la gestione dei dipartimenti per la prevenzione, quindi le risorse ad essi corrispondenti, trasformandoli in dipartimenti per la salute di comunità quindi riconoscendo ai comuni  rispetto a questi servizi il potere di nomina e di organizzazione  e  definendo il sindaco quale sponsor della salute primo referente del sistema informativo comunitario;
· riconfermare gli attuali poteri gestionali e organizzativi delle regioni in ordine al sistema dei servizi e all’impiego del personale sottoponendo  le nomine dei direttori generali delle aziende e l’attività regionale nel suo complesso,  al potere di controllo  e di vicarianza del governo.
Infine conferme, disconferme, neoistituzioni, ripristini:
· vanno confermate le tre grandi istituzioni intermedie tra governo centrale e governo decentrato: Istituto superiore di sanità, Agenas, Aifa, estendendo i loro compiti di supporto  e di progettualità sia nei confronti del governo centrale che del governo decentrato;
· va  superato il Consiglio superiore di sanità perché superfluo;
· va istituito presso  il ministero della Salute coordinato dal ministro della Salute:  il “professional board” per lo sviluppo delle professioni e della loro operatività ripensando radicalmente, nello stesso tempo,  gli enti pubblici non economici  con funzioni sussidiarie, quali ordini e collegi;
· va ripristinato il “Consiglio sanitario nazionale” abolito nel 1992 e costituito  da tutte le rappresentanze istituzionali tecniche e professionali della sanità, con funzioni di organismo federale consultivo del governo, quale contro altare alla Conferenza Stato Regioni.
 
(Per inciso, il professional board e il Consiglio sanitario nazionale possono essere assistiti per le funzioni segretariali dal personale attualmente impiegato per  il Consiglio superiore della sanità e non danno luogo a compensi a parte il rimborso delle spese sostenute).
 
L’ultima questione da non trascurare è la questione dei soggetti di governo. E’ dimostrato che la qualità della governabilità dipende da quella dei governanti. Gli incarichi politici non si possono mettere a concorso ma questo non esclude ne che si debba chiedere alla politica di rispettare dei criteri di incompatibilità, laddove sussistano conflitti di interesse, (come è accaduto per alcuni assessori e come accade per alcune cariche multiple che mischiano interessi peculiari con interessi generali) e criteri di plausibilità per coloro che  provenendo da altri mondi sono del tutto estranei alle complessità della sanità; né  che si escludano delle possibilità di verifica  dell’operato di ministri e assessori, né delle possibilità da parte della sanità  di indicare alla politica  senza pretesa di vincolo degli “ideali tipo” di riferimento. Abbiamo criticato la composizione spuria e occasionale dei vecchi comitati di gestione delle Usl ma abbiamo taciuto su quella  altrettanto spuria e occasionale di certi assessori.
 
Un discorso particolare va fatto infine per i ministri della Sanità o della Salute: i ministri  che hanno veramente inciso sullo sviluppo della sanità  negli ultimi  50 anni a mio parere  sono meno delle dita di una mano, (nomi non ne faccio per ragioni di rispetto  nei confronti degli altri che pur con dei limiti hanno prestato la loro opera).
 
Mi limito a dire  che a partire dall’inizio del secondo millennio, contestualmente alla riforma del Titolo V e all’invadenza sempre più aggressiva del ministero dell’Economia, (legittimata  nel 2009 con la riduzione del ministero della Salute ad una funzione solamente concertante quindi senza titolarità economiche dirette),  inizia una fase, ancora in corso, nella quale si susseguono ministri politici e  tecnici, che si sono dimostrati, malgrado la loro indiscutibile buona volontà, di fatto concause dei principali  problemi di governabilità che oggi dobbiamo risolvere.
 
Oggi abbiamo bisogno di ministri forti che sappiano:
· negoziare con l’economia  le condizioni del cambiamento  e della progettualità del sistema, quindi in grado di opporsi alle grandi idiozie come quelle che stanno massacrando il sistema e che  vanno dai tagli lineari, al depauperamento delle professioni, al costo zero, e allo svuotamento dell’art 32;
· servirsi del  professional board  e del  Consiglio sanitario nazionale per innovare il sistema;
· sfruttare  le  conoscenze e i saperi di grande valore che sono nelle tre grandi istituzioni tecnico scientifiche di cui disponiamo;
· mediare gli interessi delle grandi corporazioni servendosi proficuamente  della concertazione.
 
Se non possiamo mettere a concorso il ministro della Salute possiamo chiedere alla politica, pur nella logica spartitoria dei partiti, di attenersi a delle cautele, non ultima quella di assicurarsi che il ministro della Salute sia in possesso di determinati requisiti (laurea compresa) anche per non avere l’imbarazzo di spiegare al resto del mondo che nel nostro paese, in sanità,  i titoli di studio valgono solo per le competenze professionali.
 
Ivan Cavicchi

09 aprile 2014
© Riproduzione riservata

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