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Esclusiva. Intervista al ministro Renato Balduzzi: “Il mio decreto, punto per punto” 

di Cesare Fassari

Gli interventi della spending review sull'ospedale dovevano essere compensati da un riordino delle cure primarie. Anche per questo serviva intervenire d’urgenza. Le risorse non siano un alibi per nessuno: il Patto della Salute si deve fare. I nuovi ticket? Forse nella prossima legge di stabilità. Ma basta tagli alla sanità, anzi chiederò di rifinanziare l'ex. art.20 per l'edilizia sanitaria. Il decreto sanità raccontato da chi l'ha scritto e voluto

20 SET - Ieri si è avviato il lavoro parlamentare per la conversione il legge del decretone sanità. Abbiamo incontrato il ministro Balduzzi che ci ha concesso una lunga intervista che offre una lettura “autentica” del decreto, da parte di chi l’ha scritto e fortissimamente voluto. Un provvedimento che ha creato tante aspettative ma altrettante polemiche.
 
A partire dalla netta opposizione delle Regioni, alle quali Balduzzi chiede di “trovare comunque un accordo, anche se solo su alcuni punti, così da riavviare quel processo di dialogo e co-responsabilizzazione nelle politiche sanitarie, che non può essere mai interrotto”. Ma abbiamo parlato anche di intramoenia, “la mia è un’intramoenia possibile” e dei tagli alla sanità e dei ticket che verranno. Non dimenticando un accenno a una norma poco discussa dai media ma molto attesa dai sanitari che è quella sulla responsabilità professionale. E naturalmente abbiamo parlato di governo clinico e della scottante questione delle nomine dei primari. E infine, anche del futuro della farmacia, inchiodata in un dibattito/scontro tra liberalizzazioni totali e rilancio del suo ruolo di presidio sanitario pubblico.
 

Ministro Balduzzi, non possiamo che partire dal decreto legge da lei fortissimamente voluto e che ha appena iniziato il suo iter parlamentare. E’ ottimista?
Mi sembra che gli italiani apprezzino i contenuti del decreto, come ha rilevato un’indagine dell’Ispo del professor Mannheimer. Penso che il giudizio dei cittadini possa essere un buon viatico anche per l’esame dei parlamentari. Detto questo,  auspico che nel lavoro delle Commissioni si confermi il filo conduttore del provvedimento, fermo restando che sarò il primo a convenire su eventuali miglioramenti o sull’accentuazione di profili normativi che potrebbero risultare più in ombra nel testo varato dal Governo.

Ma perché un decreto legge su temi così delicati? L’obiezione è stata fatta da molti, Regioni in primis.
L’urgenza del decreto nasce dalla necessità di riempire lo spazio creato dalla spending review che è intervenuta soprattutto sul fronte dell’assistenza ospedaliera con norme che ne prevedono l’ottimizzazione di standard e livelli prestazionali. Ciò necessitava appunto di un percorso parallelo di interventi soprattutto sul piano dell’assistenza primaria, proprio per compensare gli interventi di razionalizzazione della rete ospedaliera. Ma non solo. Questo provvedimento completa in qualche modo, nel segno della trasparenza, il cammino già avviato in sede parlamentare e tecnica su temi spinosi come l’intramoenia, il governo clinico, la medicina difensiva, tutti temi che necessitano di un quadro di norme più certo.

Ha sentito le Regioni in questi giorni?
Il ministro della Salute le sente quotidianamente, come è naturale nel quadro della leale collaborazione. Sono molto interessato al parere che abbiamo doverosamente richiesto alla Conferenza Unificata, già convocata per la prossima settimana.

Si aspetta una posizione più “morbida” da parte delle Regioni, rispetto a quanto fin qui dichiarato da diversi presidenti regionali?
Non è un problema di morbido o di duro. Il problema è capire quali sono i punti sui quali è importante conseguire una forte alleanza Governo Regioni.

Condivide o giudica inappropriato definire il suo decreto come “riforma quater”?
Da giurista le dico che semmai si dovrebbe parlare di riforma “quinquies”, visto che dopo la 833, abbiamo avuto tre decreti legislativi successivi (il 502, il 517 e il 229). A parte questa discussione tra addetti ai lavori, direi che il decreto-legge è, più modestamente, un’opera di manutenzione straordinaria del Ssn, in linea con il mandato e lo stile di questo Governo che non ha il tempo di una legislatura per immaginare una riforma sanitaria nel significato compiuto del termine. Quello che abbiamo cercato di fare è portare a conseguenza il filone delle riforme già attuate o abbozzate, dandovi formulazioni più chiare e completando il disegno della parte sanitaria della spending review.

Veniamo al merito del decreto, partendo dal riordino delle cure primarie. Ministro, ma questa benedetta H24 ci sarà o no?
Guardi, chiariamo una volta per tutte un fatto che anche Quotidiano Sanità, seppur con toni un po' graffianti verso il ministro, ha già sottolineato: io non ho mai detto che avevo scoperto l’acqua calda! Ho sempre detto che si trattava di portare a conseguenza ciò che era già scritto, anche se in modo non così chiaro come abbiamo fatto oggi con il decreto, nella 502 e nelle successive convenzioni con i medici di medicina generale. Cioè in “patti” tra le parti responsabili dell’applicazione di quelle norme. Ma questi patti non si sono generalizzati, tranne applicazioni episodiche realizzate a prescindere da quei patti. E allora cogliamo innanzitutto le novità del decreto, tra cui la più importante è senza dubbio la previsione del ruolo unico per la medicina generale che dà stessa dignità e percorso ai medici di famiglia e alla guardia medica, dando corpo all’intuizione del professor Guzzanti, che qui voglio riconoscere ancora una volta come ispiratore principale  di quella che è oggi una convinzione comune sul modo di intendere e sviluppare l’assistenza primaria nel nostro Paese.

Basterà il ruolo unico per arrivare alla riforma delle cure primarie? Qual è l’arma in più che questo decreto pone nella mani delle Regioni e dei medici per attuarla?
L’arma per riuscire a fare quanto ci siamo proposti sta nel percorso parallelo che abbiamo programmato: ristrutturazione della rete ospedaliera e ristrutturazione della medicina territoriale, con adeguati strumenti per monitorare il tutto nei prossimi mesi. A partire dal Patto per la Salute.
C’è però un altro elemento che potrebbe complicare le cose. Le nuove convenzioni con i medici del territorio non si potranno rinnovare prima del 2015…
E’ vero, ma le convenzioni in essere sono ancora in vigore e, come le ho detto, già prevedono norme per il processo di riordino dell’assistenza primaria nelle linee oggi ribadite dal decreto. E non basta. Quelle convenzioni sono già finanziate per le aggregazioni funzionali territoriali, mentre per le unità complesse di cure primarie le risorse saranno quelle provenienti dalla ristrutturazione degli ospedali prevista dalla spending review. Anche per questo le risorse non possono diventare un alibi per nessuno, Regioni, Governo o professionisti.

Quindi nessun rinnovo delle convenzioni prima del 2015?
Stiamo valutando come possibile emendamento un meccanismo di adeguamento della vigente convenzione alla nuove disposizioni  legislative e ciò rientra nei temi di confronto con le Regioni.

Gli infermieri, e con loro anche altre professioni sanitarie non mediche, hanno detto che senza di loro il riordino delle cure primarie non si farà e chiedono di essere compresi nelle misure del decreto.
Andiamo per ordine. Prima di tutto vorrei sottolineare che nel decreto anche norme come quelle sulla responsabilità professionale, di cui si è parlato riferendole solo ai medici, sono riferite a tutti i professionisti sanitari, compresi dunque gli infermieri. Ma anche nelle norme dell’art. 1, dove si delineano le unità complesse per le cure primarie, si prevede espressamente il coinvolgimento degli altri professionisti sanitari. Se poi c’è bisogno di qualche precisazione ulteriore, non c’è nessun problema. Le faremo, ma il punto di vista del ministro è che non si fa riforma della medicina territoriale senza il coinvolgimento forte degli infermieri e prendendo coscienza della necessità dell’affermazione della nuova figura dell’infermiere territoriale.

Ma torniamo al tema delle risorse. Al di là di quelle necessarie o meno per le cure primarie, le Regioni sostengono che il Ssn è de-finanziato per 21 miliardi da qui al 2014. E’ vero?
Le cifre del de-finanziamento, così come poste, aprono una questione che potrebbe andare avanti all’infinito. E’ chiaro che se io (le Regioni) dico che ho bisogno annualmente di 100 e mi danno 95 il primo anno e 95 anche il successivo, non posso poi dire che il finanziamento annuale a regime è 10 in meno. La verità è che avrò come finanziamento annuo 5 in meno di quello che mi aspettavo. E' con questo metodo che si arriva a quei 21 miliardi indicati dalle Regioni che, secondo i calcoli fatti dai miei uffici, sono in realtà molto meno. Ma non voglio svicolare. Dobbiamo chiederci infatti, di fronte a un sistema Paese che invece di crescere decresce in modo preoccupante, come si possa immaginare che la sanità non debba contribuire al contenimento delle spese pubbliche. Detto questo riaffermo con decisione che dal mio punto di vista non ci dovranno essere altre riduzioni di risorse alla sanità, perché il sistema adesso ha bisogno di applicare le regole già previste, eliminando sprechi e inefficienze nelle aree e settori dove ancora si registrano scostamenti anomali di spesa rispetto agli standard. Ben sapendo che non stiamo parlando di cifre enormi, perché il Ssn è già ben amministrato e gestito e ha dimostrato di saper far quadrare i conti, anche nelle Regioni sotto Piano di rientro.

Le convincerà, le Regioni, con questi argomenti?
Quando non si riesce a trovare un accordo complessivo,  la via d’uscita non può essere lo stallo, ma deve essere il tentativo di trovare comunque un accordo, anche se solo su alcuni punti, così da riavviare quel processo di dialogo e co-responsabilizzazione nelle politiche sanitarie, che non può essere mai interrotto.

Passiamo a un altro tema. La medicina difensiva. Per il nostro commentatore, il magistrato Antonio Lepre, le norme sulla colpa lieve potrebbero rivelarsi sostanzialmente inutili, perché già di fatto comprese nell’attuale ordinamento e nella prassi giurisprudenziale.
La giurisprudenza non è poi così univoca. La novità è che si stabilisce con chiarezza il criterio procedimentale per le professioni sanitarie dando al medico la serenità di sapere che, se segue in modo appropriato le linee guida, salvo dolo o colpa grave, il magistrato dovrà tener conto del fatto che lui ha seguito procedure e indirizzi scientifici accreditati. Questo non vuol dire che ci sarà un cordone sanitario a protezione dei professionisti, ma semplicemente un contesto giuridico più sereno di oggi, che ridurrà il ricorso a prescrizioni e pratiche inappropriate ancorché "difensive", cioè fatte soltanto per proteggersi da eventuali azioni giudiziarie. Poi, di tutto si può dire che è inutile, e le aggiungo che, se poi la giurisprudenza dovesse, per sua autonoma evoluzione, prendere comunque un indirizzo come quello da noi disegnato nel decreto rendendo “inutile” il provvedimento, sarò il primo ad esserne contento.

Veniamo al Governo clinico. Le Regioni hanno puntato i piedi contro quella che hanno definito una vera e propria esautorazione del direttore generale nelle nomine dei primari.
Non è così. Il decreto lascia la nomina nelle mani del direttore generale al quale sarà presentata una terna con una graduatoria che però non vincola in modo assoluto il manager, che ha comunque la libertà di scegliere chi vuole, tra i tre nominativi selezionati, motivandone le ragioni. Mi sembra una scelta coerente con la logica che ispira questa parte del decreto che è quella della trasparenza e del merito nelle scelte. Un criterio valorizzato dal sorteggio per i membri della commissione e dalla trasparenza assicurata a tutto l’iter delle nomine.

E il fatto che nella commissione di valutazione non vi sia più un rappresentante della direzione generale della Asl?
Intendiamoci, il punto sta nel dove vogliamo trovare l’equilibrio tra l’esigenza della valorizzazione del merito e della trasparenza delle scelte e il rispetto degli indirizzi strategici dell’azienda. La prima esigenza dovrebbe essere soddisfatta dal sorteggio dei commissari tra tutti i primari del Ssn di quella specifica specialità per cui è in ballo la nomina. La seconda esigenza, cioè quella della conoscenza della missione aziendale e della singola  unità operativa, si soddisfa già nel bando dove le specifiche esigenze dell’azienda saranno chiaramente esplicitate, costituendo esse stesse criterio di selezione per la commissione.

Ma non teme che dopo il “potere assoluto” della politica subentri quello delle corporazioni?
Il sorteggio dovrebbe scongiurare il rischio. Detto questo non escludo che i meccanismi possano essere migliorati e ulteriormente affinati, ma dovranno mantenere i principi ispiratori del provvedimento: trasparenza e merito. Su questo non sarebbe saggio tornare indietro.

Intramoenia. Quella del decreto sarà una soluzione definitiva del problema o in realtà una super sanatoria dell’allargata?
Le norme che abbiamo messo a punto rappresentano un’intramoenia possibile. Tenendo conto dell’evoluzione del sistema sanitario e della sua capacità di informatizzazione ai fini della trasparenza e dei controlli sull’attività libero professionale, in tutte le sue forme. Quindici anni fa ciò non sarebbe stato possibile. Oggi sì. Ma non basta. Nel decreto non c’è nessuna sanatoria dell’allargata. Si prevede un percorso molto serio di sperimentazione della piena messa in rete degli studi privati dei medici intramoenisti, che vedranno confermata la possibilità di continuare la loro attività libera professionale in studio solo dopo le verifiche regionali sull’effettiva trasparenza di tutti i procedimenti. E poi prendiamo atto che dove le aziende sanitarie non hanno fatto nulla per realizzare i loro spazi dedicati alla libera professione, evidentemente non c’è stata pressione da parte degli interessati affinché si realizzassero. Da domani costoro saranno i più penalizzati, perché per continuare a svolgere l’allargata dovranno adeguare procedimenti e meccanismi di gestione. Altrimenti stop, e per sempre.

Ma, se potesse decidere in tal senso, lei preferirebbe dare più soldi ai medici per averli a tempo pieno in ospedale senza libera professione privata in esclusiva totale?
No, perché penso che la libera professione effettuata in nome e per conto dell’azienda sanitaria, con le regole del Ssn e in un quadro certo dei volumi delle attività istituzionali e libero professionali, non sia un “di meno” ma un “di più” per la sanità pubblica. Quello che non può accadere è un’intramoenia usata come tecnica per tagliare le liste d’attesa, creando pazienti di serie A di serie B.

Cosa ci dobbiamo aspettare dalla revisione dei Livelli essenziali di assistenza? Meno prestazioni di quelle attuali?
I Lea comprendono circa seimila prestazioni. Quindi qualcosa uscirà perché obsoleto e qualcosa entrerà perché si è creato un nuovo bisogno. Ma i capisaldi dell’assistenza non saranno toccati in alcun modo.

Farmaci. Farmindustria lamenta che siamo di fronte a un ennesimo provvedimento che penalizza il settore senza alcun intervento di rilancio degli investimenti e per lo sviluppo di una politica del farmaco. Come risponde?
Ho già invitato Farmindustria a leggere con più attenzione il decreto che contiene delle norme a lungo invocate dal sistema produttivo: in termini di certezza brevettuale, di tempistica nei rapporti con Aifa, di garanzia sui farmaci innovativi. Devono scegliere di entrare in alleanza con il Ssn. Guardando avanti e non restando ancorati a dinamiche del passato. Questo vale ad esempio per gli equivalenti. Il contrasto di Farmindustria alle norme sulla prescrizione del principio attivo contenute nella spending review è incomprensibile. Penso che vi sia ancora una difficoltà da parte delle nostre aziende del farmaco nel cogliere la sfida che abbiamo dinanzi e di omologarci agli standard e alle culture farmaceutiche europee. Ma avremo occasioni molteplici di confronto,perché lo sviluppo del settore è anche una nostra priorità.

La questione “farmacia”. Non se ne parla nel decreto ma il settore sembra essere inchiodato tra una prospettiva di liberalizzazioni assolute ed una di reinserimento a pieno titolo tra le componenti del Ssn, come prevede la legge (fin qui inevasa) sulla farmacia dei servizi. Lei che idea ha della farmacia italiana?
La farmacia dei servizi è sicuramente il futuro. Ma credo che negli anni ’90 ci sia stata un’accentuazione esagerata dell’aspetto commerciale della farmacia e nessuno quindi si deve stupire se il commercio ha voluto occuparsi della farmacia, a partire dalla grande distribuzione. Ma il farmacista non può essere visto dall’utente come un commerciante. Semmai è “anche” un commerciante, in senso lato. Il suo ruolo deve essere quello di presidio del Ssn. Mi auguro che tutti i farmacisti convenzionati condividano questo approccio.

Un’altra questione extra decreto, ma sempre attuale. I ticket: dopo la sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni in materia previste dal decreto “Tremonti”, non se ne farà più nulla?
La Corte non ha abolito i ticket. Ha detto che lo strumento con il quale vanno stabiliti a livello nazionale non può essere un regolamento, come stabiliva la manovra del luglio dello scorso anno. Il problema resta quindi inalterato. Abbiamo due miliardi da reperire. Ma il problema nel merito si sarebbe posto comunque, in quanto i ticket aggiuntivi dal 2014 sono insostenibili, ecco perché ho proposto di cominciare a riflettere su forme diverse di compartecipazione, come ad esempio la franchigia, o un mix ticket-franchigia. Quindi se non facciamo niente resterebbe un buco da coprire in ogni caso. Ma non è una decisione da adottare adesso. Ora dobbiamo trovare un modo per ottemperare alla sentenza della Corte prevedendo una modalità diversa per individuare i nuovi ticket oppure trovare due miliardi da qualche altra parte (e la vedo difficile).

Se ne parlerà nel Patto della Salute?
Penso se ne parlerà ancor prima, probabilmente anche nella legge di stabilità. Ma su questo ovviamente il ministero della Salute interviene successivamente a una responsabilità che tocca al ministero dell’Economia.

Cosa pensa di ciò che si sostiene in molti think tank di varia estrazione e cioè che ormai il sistema universalistico nato con la 833 è un lusso che non possiamo più permetterci?
Il nostro è uno dei sistemi sanitari considerato tra i migliori del mondo, a differenza di molti altri settori dei pubblici servizi italiani. E questo spendendo meno degli altri e offrendo una qualità spesso migliore. Mi sembra quindi un po’ difficile sostenere che un sistema sanitario così non sia sostenibile, perché allora dovremmo dedurre che non ci sono sistemi sanitari sostenibili. E’ certo che la condizione di crisi in cui viviamo rende problematica la tenuta dei sistemi di sicurezza sociale, compresa la sanità. Ma la risposta alla crisi non può essere quella di togliere pilastri al sistema di welfare ma rendere ancor più sostenibile il sistema. La spending review, e questo decreto legge, hanno proprio questo scopo. Migliorare capacità di spesa, far crescere l’appropriatezza, eliminare sprechi e inefficienze e liberare il sistema da tutto ciò che lo appesantisce.

Ma è possibile considerare finalmente la sanità come un fattore di sviluppo e non solo di spesa?
E’ proprio il senso del decreto-legge, fin dal titolo. E per esempio per l’edilizia sanitaria abbiamo previsto ulteriori incentivi per gli investimenti in partnership pubblico-privato, con la possibilità di valorizzazione degli immobili di pregio del Ssn che cambieranno destinazione d’uso a fronte della realizzazione di nuove strutture. E poi abbiamo previsto la messa in sicurezza anti incendio degli ospedali e questo creerà lavoro e indotto. E ancora il fascicolo sanitario elettronico che sarà compreso nell’agenda digitale. Ma non basta. In occasione della prossima legge di stabilità porrò la questione di rifinanziare  il Piano per l’ammodernamento delle strutture sanitarie e delle tecnologie, per farlo entrare a pieno titolo nel programma “Sviluppo Italia”.

E’ dell’altro ieri l’annuncio della Commissione Sanità del Senato di voler riprendere la discussione sul testamento biologico. Il Pd ha alzato le barricate sostenendo che è solo una mossa preelettorale. E il Governo?
Il Governo su questi temi ha sempre detto che è naturalmente disposto a fare la sua parte ma alla condizione che ciò possa portare a soluzioni condivise e quindi in una chiave unitiva e non divisiva.

Entro primavera si vota. Cosa auspica per il Paese e cosa farà dopo il professor Balduzzi.
Per il Paese, che possa continuare a rialzare la testa come ha fatto in questi mesi. Per quanto mi riguarda, per adesso mi basta pensare al 2012, ché ne ho già abbastanza di cose cui pensare!
 
Cesare Fassari
 

20 settembre 2012
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