Direttore assistenziale, sì... e anche il Direttore clinico
Ha ragione Costantino Troise e penso che la sua proposta di un Direttore clinico da affiancare al team manageriale della Asl insieme alla neo figura del Direttore assistenziale, sia interessante e da prendere in considerazione. In tal modo si metterebbero a capo delle due linee di produzione della salute, “cure” e “care”, questi due nuovi incarichi apicali con la conseguente rivisitazione del ruolo e della funzione del direttore sanitario aziendale…ma questa è un’altra storia…
23 LUG - Mi è stato chiesto perché non sono ancora intervenuto sulla questione del direttore assistenziale proposta dalla Regione Emilia Romagna in considerazione delle mie note “passioni” riguardo queste professioni sanitarie: è palese che non posso che esprimere il massimo consenso verso questa proposta perché con essa si continua il processo di adeguamento dell’organizzazione sia ordinamentale che del lavoro in sanità alle finalità istituzionali di garantire il diritto alla salute costituzionalmente all’individuo come alla collettività…tutto il resto è noia…
Anzi era già scritto nei “sacri testi”: forse molti non sanno o non si ricordano che nel travagliato e periglioso percorso di produzione legislativa che è alla base, con vari successivi provvedimenti, del lungo e articolato processo di riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica, è il disegno di legge n. 1648 presentato al Senato delle Repubblica nella XIII legisaltura per iniziativa dei senatori Di Orio, Daniele Galdi, Camerini, Bernasconi, Mignone, Valletta, Pardini e Staniscia, comunicato alla presidenza il 12 novembre 1996 “Istituzione della dirigenza infermieristica”.
Come è noto, il primo firmatario Ferdinando Di Iorio, già senatore e deputato, è medico e docente universitario. Questo disegno di legge ha costituito l’architrave su cui si basa la legge 251/00, che ho sempre definito il punto più alto del citato processo riformatore, alla cui stesura,
more solito, ho contribuito, in quella proposta di legge era previsto, infatti, all’articolo 5:
Art. 5.
(Dirigenza infermieristica)
1. In ogni azienda sanitaria locale ed azienda ospedaliera sono istituite le figure del dirigente infermieristico di 1o e 2° livello.
2. Il comma 4 dell’articolo 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, è sostituito dal seguente:
«4. Sono organi dell’azienda sanitaria locale il direttore generale e il collegio dei revisori. Il direttore generale è coadiuvato dal direttore amministrativo, dal direttore sanitario, dal direttore infermieristico e dal consiglio dei sanitari, nonché dal coordinatore dei servizi sociali, nel caso previsto dal comma 3 in conformità alla normativa regionale e con oneri a carico degli enti locali di cui allo stesso comma».
3. Per l’assunzione del direttore infermieristico si applicano le disposizioni per l’assunzione del direttore amministrativo e del direttore sanitario, di cui al comma 7 dell’articolo 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.
4. Il direttore infermieristico ha la qualifica di dirigente infermieristico di 2o livello; deve appartenere alle professioni di cui all’articolo 1 ed essere in possesso del diploma di laurea in scienze infermieristiche, non deve aver compiuto il sessantacinquesimo anno di età e deve aver svolto per almeno cinque anni qualificanti attività di direzione infermieristica in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione.
…omissis…
6. Il direttore infermieristico dirige i servizi infermieristici ai fini organizzativi e fornisce parere obbligatorio al direttore generale dell’azienda sanitaria locale o ospedaliera sugli atti relativi alle materie di competenza.
7. Il dirigente infermieristico di 1o livello esercita funzioni direttive, organizzative, gestionali e didattiche. È responsabile dell’organizzazione e della qualità dell’assistenza infermieristica ed alberghiera nelle unità operative delle aziende sanitarie locali e ospedaliere.
8. All’articolo 26 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
…omissis…
4-ter. Le regioni disciplinano l’organizzazione dell’attività delle professioni di cui al comma 4-bis in specifici servizi o dipartimenti coordinati da un dirigente in possesso della laurea in scienze infermieristiche, prevedendone l’articolazione all’interno delle aziende ospedaliere e aziende sanitarie locali.
…omissis….
La realizzazione successiva del testo unificato che portò al varo della legge 251/00, votato all’unanimità dal Parlamento, portò la conseguenza per cui la mediazione finale fece accantonare questo articolo e comunque estese a tutte le professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione nonché, successivamente, alla professione sociosanitaria di assistente sociale, l’efficacia di tutte le norme previste, ciò non toglie che questa legge rimane il livello più elevato del loro processo riformatore ordinamentale e formativo.
Quindi, non posso che esser favorevole al fatto che una Regione, che, tra l’altro oltre ad essere tra quelle che hanno il migliore sistema sanitario regionale, allo stato attuale coordina anche la Commissione Salute delle Regioni, dopo oltre 20 anni riprenda questa idea forza contestualizzandola in una situazione normativa e programmatoria più favorevole avviandone l’applicazione.
La contestualizzazione di questa idea forza nell’attuale fase del nostro Servizio Sanitario Nazionale è stata ben descritta in altri articoli su questo autorevole quotidiano online tra cui, solo per citarne due quello a firma di
Claudio Maria Maffei e quello a firma
Marcello Bozzi , quindi eviterò al lettore il ripetere di concetti già ben espressi; tuttavia anche se questa norma è giusta di per sé e va approvata senza se e senza ma, inviterei a riflettere su quanto contenuto nell’articolo a firma di
Costantino Troise che esprime efficacemente il disagio dell’altra metà del cielo delle professioni sanitarie, cioè quelle mediche, le quali senza negare la giusta evoluzione delle altre professioni sanitarie, vedono una loro costante involuzione e non una coevoluzione.
Mi pare difficile se non impossibile dare loro torto, se è vero che l’evoluzione delle altre professioni sanitarie, compresa oggi quella della professione sanitaria di psicologo il cui apporto per la difesa del diritto alla salute con i recenti provvedimenti nazionali e regionali viene riconosciuto, così come le altre professioni ricomprese nella dirigenza sanitaria, non potrà che non potrà che contribuire a migliorare lo stesso “lavoro medico” in ospedale, nei distretti e nei dipartimenti di prevenzione e di salute mentale è altrettanto evidente che questo non è sufficiente a rimuovere le oggettive condizioni di disagio, ed è un eufemismo, che soffre il “lavoro medico” nel SSN che per essere rimosso ha bisogno di un profondo e discontinuo processo riformatore ordinamentale, ma anche formativo e contrattuale certo ad iniziare da quel “
potere monocratico, padrone assoluto su persone e cose, che ha fatto del divide et impera un metodo di comando ed ormai rappresenta la malattia senile dell’aziendalismo” giustamente definito con termini oserei dire “marxiani” da Costantino Troise nel suo articolo e che costituisce la prima causa di stress lavorativo ed è sempre un eufemismo, in azienda sanitaria per i medici ma anche per tutto il personale.
Il processo riformatore, a mio giudizio, per riportare realmente a dignità “il lavoro medico” e con esso, ovviamente e di conseguenza l’insieme del lavoro in sanità non può che essere così profondo da ricostruire le stesse basi su cui si fondano attualmente le attuali basi normative, formative e contrattuali, non vorrei che “passata la festa gabbato lo santo” come si dice da Gaeta in giù, che nel caso specifico della pandemia è una tragedia, così da far dimenticare la retorica sugli eroi e sui caduti, che, oggettivamente in maggioranza sono stati medici, e ritornare allo status quo.
Mi sono permesso in questo autorevole quotidiano online di contribuire al dibattito comune su quali riforme e provvedimenti proporre a Governo, Regioni e Parlamento per intervenire sulla rimozione del disagio lavorativo, ed è sempre un eufemismo, che vivono giorno per giorno i medici come gli altri professionisti nel SSN ad iniziare dalla necessità non rinviabile di considerare la specificità unica ed irripetibile nel mondo del lavoro della categoria del comparto sanità, compresa, anzi iniziando dalla professione di medico chirurgo.
È difficile comprendere come chi tutela diritti e doveri tipici di un’organizzazione statale pre welfare, cioè giustizia e sicurezza interna e esterna, consideri chi operi in questi comparti una categoria speciale e invece lo nega a chi garantisce il diritto alla salute, il cui valore strategico per la stessa sopravvivenza della nazione, dell’economia e dello stesso Stato, è stato dimostrato dal perdurare della pandemia, diritto alla salute tipico invece di una organizzazione statale moderna ed evoluta..
Sarebbe quanto mai opportuno, quindi, che le rappresentanze professionali, sindacali e scientifiche sia mediche che delle altre professioni sanitarie e sociosanitarie, superando ogni visione differente, possano essere in grado di elaborare un progetto unificante e unitario di profonda riforma ordinamentale, formativa e contrattuale del lavoro medico e del lavoro nel SSN con cui avviare il necessario confronto con Governo, Parlamento e Regioni, come sarebbe altrettanto auspicabile che quest’ultimi abbiano un analogo pensiero riformatore da proporre..
Ritornando all’articolo di Costantino Troise penso che sia interessante e da prendere in considerazione, la proposta del direttore clinico oltre che del direttore assistenziale il che vorrebbe dire mettere a capo delle due linee di produzione della salute:
“cure” e
“care” questi nuovi incarichi apicali con la conseguente rivisitazione del ruolo e della funzione del direttore sanitario aziendale…ma questa è un’altra storia…
Saverio Proia
23 luglio 2021
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