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Il 118 dell’Emilia Romagna e la giustizia degli Ordini dei Medici

La notizia di procedimenti disciplinari contro medici che svolgono il proprio lavoro mettendo le proprie competenze a disposizione del mondo interprofessionale e delle aziende in cui operano squalifica l’immagine non del singolo ordine professionale ma di tutto il sistema ordinistico e impone l’intervento diretto dell’ente vigilante: il ministero della Salute. 

02 NOV - Rimango basito alla notizia che gli Ordini dei medici di alcune province dell’Emilia Romagna avrebbero presentato esposti alle Procure della Repubblica e aperto motu proprio dei procedimenti disciplinari nei confronti di alcuni medici per avere “redatto procedure e istruzioni operative che regolano l’intervento di infermieri sulle ambulanze del 118”. Una sigla sindacale medica rafforza la posizione parlando di esproprio di competenze.

Mi occupo di questioni giuridiche nel settore dell’emergenza extra-ospedaliera da tantissimi anni avendo dato alle stampe un volume proprio su questo argomento insieme a Giovanni Cipolotti – oggi direttore del 118 di Belluno – e Ermanna Cunial (118 Un servizio integrato per l’emergenza territoriale, Mc Graw Hill, 1999). Questa mia competenza è stata richiesta nel 2005 dall’azienda sanitaria di Reggio Emilia proprio in merito alla congruità e alla legittimità dei protocolli utilizzati e utilizzabili all’interno delle ambulanze per il soccorso extra-ospedaliero. Da un punto di vista strettamente normativo viene richiamato il D.P.R. 27 marzo 1992 istitutivo proprio del 118 e del suo sistema.

All’epoca il legislatore aveva almeno tre modelli di riferimento per regolamentare il sistema:
1) il modello “on line”: in questo caso il personale infermieristico é in diretto contatto con il medico via radio e riceve le disposizioni direttamente dal medico di centrale. Il sistema “on line” attua una scissione tra chi è sulla scena e chi decide l’agire professionale. Pone seri problemi di sicurezza e di responsabilità;
2) il modello “standard orders protocol system”: modello caratterizzato dalla predisposizione di protocolli di comportamento, senza generalmente essere in contatto via radio. E’ il modello che il sistema delineato dal DPR dell’emergenza ha delineato. ;
3) il modello “medico on scene”, basato sulla presenza fisica del medico sulla scena. Quest’ultimo è ovviamente il metodo più costoso. Può essere attuato in via diretta, con il medico presente sull’ambulanza, o in via indiretta con il medico di supporto sull’auto medica. E’ generalmente un modello di partenza per un sistema di soccorso sanitario non professionalizzato laddove la presenza della figura medica agisce da garante della professionalità del servizio.

Nel 1992 l’esercizio professionale degli infermieri era regolamentato da un vetusto atto normativo mansionariale e il sistema adottando il modello sub 2) ebbe la saggezza di prevedere atti in deroga proprio a quel sistema.
All’articolo 10 del D.P.R. si legge testualmente: “Il personale infermieristico professionale, nello svolgimento del servizio di emergenza, può essere autorizzato a praticare iniezioni per via endovenosa e fleboclisi, nonché a svolgere le altre attività e manovre atte a salvaguardare le funzioni vitali, previste dai protocolli decisi dal medico responsabile del servizio”.

Autorizzazione quindi in deroga al mansionario, ex D.P.R. 225/1974 e previsione di protocolli a valenza “diagnostico-terapeutica” (utilizzo volutamente questa espressione): una prima parte di riconoscimento di segni e sintomi di predeterminati quadri clinici e una seconda parte di applicazione terapeutica. Il tutto in totale assenza del medico sulla scena. Questo il sistema previsto dal decreto del ministro della sanità dell’epoca: il medico napoletano Francesco De Lorenzo.

Concludevo il parere richiesto dall’azienda sanitaria di Reggio Emilia confermando la liceità dei protocolli adottati e citando la migliore dottrina medico-legale che in modo illuminato, in tempi non sospetti, affermava che il sistema di emergenza extra-ospedaliera “porterà in crescente evidenza un modello concettuale della responsabilità sanitaria sempre più distante dai presupposti personalistici libero-professionali, di obsoleta impronta medico-centrica, e maggiormente proclive a una concezione dell’assistenza sanitaria che presuppone il convergente, integrato apporto di competenze molto diversificate....” (Buzzi F., Il sistema di emergenza sanitaria di cui al DPR del 27 marzo 1992. Osservazioni medico legali anche in riferimento alla sentenza del TAR Lazio n. 250/1993, in I Servizi di urgenza ed emergenza: aspetti clinico-organizzativi e medico legali - Atti del convegno- , Montegrotto Terme, 20-21 maggio 1994).

A distanza di tanti anni dalla partenza del sistema tornano incomprensibili tensioni nel rapporto tra le professioni motivate da atti normativi in vigore da 23 anni! Quello che stupisce non è tanto la posizione di una sigla sindacale che, per definizione è “parte” ma la posizione di enti pubblici come gli Ordini professionali che dovrebbero agire “anche” nell’interesse pubblico e non solo di parte. Stupisce particolarmente la mancanza di trasparenza sull’esistenza o meno di procedimenti disciplinari a carico di medici iscritti all’Ordine di Bologna. Il presidente Giancarlo Pizza rispondendo a Quotidiano Sanità preferisce mantenersi vago sull’esistenza di provvedimenti disciplinari nei confronti di altri medici in quanto, sostiene “è un atto di cui non posso discutere”. Qui si pongono seri problemi sulla giustizia disciplinare degli Ordini soprattutto se amministrata con questi presupposti. Al dottor Pizza sfugge il fatto di dirigere un ente pubblico che è tenuto a criteri di trasparenza come tutti gli enti pubblici e non può mandare strani messaggi trasversali per utilizzare, a fini politici, la giustizia disciplinare. 

Non è il primo e non è l’unico. Ho personalmente chiesto la motivazione della sanzione disciplinare a soli sei mesi di sospensione, in luogo della aspettata naturale radiazione, nei confronti del “coordinatore sanitario” di Bolzaneto (caserma del G8 diventata tristemente famosa). Di quel medico sappiamo e conosciamo le motivazioni della sentenza di primo, di secondo grado, della Corte di cassazione. Conosciamo le motivazioni del licenziamento e del giudizio del lavoro di conferma. Non conosciamo le motivazioni della sospensione disciplinare dell’Ordine perché l’Ordine di Genova si rifiuta di renderle pubbliche.

Non si può amministrare la giustizia, ancorchè anacronistica, come quella disciplinare in questo modo. La notizia di procedimenti disciplinari contro medici che svolgono il proprio lavoro mettendo le proprie competenze a disposizione del mondo interprofessionale e delle aziende in cui operano squalifica l’immagine non del singolo ordine professionale ma di tutto il sistema ordinistico e impone l’intervento diretto dell’ente vigilante: il ministero della salute. Altrimenti coerenza vorrebbe che si proceda a giudizio disciplinare contro il professor Fabio Buzzi direttore della Rivista di medicina legale per la citazione sopra riportata e contro il professor Francesco De Lorenzo “padre” del decreto istitutivo del 118.

Luca Benci
Giurista

02 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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