Sanità low cost. Fraizzoli (CDI): “Il più 'economico' è il Ssn! Ma qualità e sicurezza costano”
Il “vero low cost” è in primis il Servizio Sanitario Nazionale ed è un patrimonio di tutti e un indiscutibile traguardo sociale. Lo dice il consigliere delegato del Centro Diagnostico Italiano di Milano. E' il low cost senza forme di controllo a essere "inutile e dispendioso, e qualche volta pericoloso”.
25 GEN - È esplosa qualche anno fa, ma la crisi ne ha amplificato le dimensioni. Ora la sanità low cost è ovunque. Pacchetti di esami a prezzi speciali sono offerti dalle grandi strutture, ma anche i singoli medici o i piccoli studi associati giocano la carta dello sconto per attrarre i pazienti. In ogni parte di Italia. Anche se in certi casi ci si chiede ancora se sia davvero possibile offrire prestazioni di qualità a basso costo e quindi usufruire di questi sconti senza rischi per la salute.
Il dubbio non riguarda tanto la capacità dei medici, secondo Giuseppe Fraizzoli, consigliere delegato del Centro Diagnostico Italiano (CDI) di Milano, 21 strutture accreditate con il Ssn, dislocate in tutta la lombardia e che per il terzo triennio consecutivo hanno ricevuto il bollino di qualità certificato dalla Joint Commission International (
vedi la scheda sul CDI). Per il quale, però, “oltre alla professionalità del singolo è necessaria una ‘struttura certificata’, da terzi, che possa garantire in tutte le sue fasi la correttezza e la qualità della prestazione sanitaria”. Perché “i processi ‘trasversali’ di supporto al servizio di diagnosi e cura, non vengono percepiti dal paziente e da chi lo accompagna, ma fanno la differenza”.
In questa intervista Fraizzoli ci racconta l’esperienza del Centro Diagnostico Italiano e illustra la sua posizione sulla sanità low cost e sulla sanità certificata.
Dottor Fraizzoli, il Centro Diagnostico Italiano vanta per il terzo triennio consecutivo la certificazione di qualità della Joint Commission International (JCI). Quali sono gli elementi caratterizzanti della vostra offerta che vi hanno permesso di raggiungere questo risultato?
La Joint Commission International è senza dubbio la più importante organizzazione per la valutazione della qualità di una struttura sanitaria oggi operante al mondo. L’accreditamento JCI si fonda sul superamento di circa 500 elementi misurabili: ognuno di essi è l’enunciazione di un comportamento atteso che identifica i processi che devono essere applicati da un’organizzazione al fine di migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria.
I requisiti valutano l’intero percorso diagnostico, con l’obiettivo di capire se vengono garantiti la sicurezza del paziente e il risultato clinico. In definitiva è un sistema che “stressa” in profondità la qualità di una struttura sanitaria. Questo è il risultato di un’organizzazione complessa ma snella e orientata al risultato, di una grande professionalità non disgiunta da una forte attenzione al lato umano. E’ per questo motivo che in CDI sono di grande importanza tutti i processi “trasversali” di supporto al servizio di diagnosi e cura, che non vengono percepiti dal paziente e da chi lo accompagna, ma fanno la differenza.
E come riuscite, nonostante le diffuse difficoltà economiche che sta attraversando ogni settore del Paese, a continuare a garantire questi alti livelli di qualità nel tempo?
È fondamentale la soddisfazione personale da parte di chi eroga le prestazioni. Se si lavora bene, con strumenti aggiornati o addirittura d’avanguardia per le diagnosi e il trattamento delle patologie, il paziente lo riconosce e ritorna quando ha qualche problema. Tutto questo influisce in modo positivo sull’atteggiamento dei nostri operatori quando trattano con il paziente in una qualunque delle tante fasi del percorso diagnostico.
Inoltre qualità vuol dire anche lavorare senza sprechi di materiale o di altre risorse, ottimizzando il fattore tempo, così prezioso per il paziente.
In che modo garantire tale qualità incide sul costo delle vostre prestazioni?
Mantenere e migliorare il livello delle prestazioni comporta la costante tensione di tutta l’organizzazione. Ognuno, per la propria parte, ricerca e propone soluzioni a problemi incontrati o potenziali. Per fare questo è necessaria una costante opera di formazione e una continua analisi di tutti i processi aziendali attraverso audit interni e implementazione di indicatori di performance. Tutto ciò ha sicuramente un costo, ma crediamo che investire sulle risorse umane abbia lo stesso valore degli investimenti che annualmente realizziamo per aggiornare la strumentazione e gli impianti delle sedi CDI.
La crisi ha inciso in qualche modo sulla vostra attività?
La richiesta reale di salute è influenzata marginalmente dalla crisi. Quando si tratta di problematiche importanti diventa fondamentale la scelta della struttura presso cui effettuare le prestazioni. Il paziente sceglie la qualità e la sicurezza. In fin dei conti si tratta della nostra salute!
Il paziente è, invece, molto più cauto nel valutare l’opportunità di effettuare prestazioni non essenziali o differibili. Per cui sicuramente risentono delle attuali critiche condizioni economiche le strutture che offrono, in prevalenza, prestazioni accessorie anziché la risposta ad una reale ricerca di diagnosi o ad un controllo efficace di trattamenti o terapie cliniche.
Quali sono le prestazioni che vi vengono più richieste?
Eseguiamo all’anno circa 180.000 prestazioni di diagnostica per immagini, oltre 4 milioni di analisi di laboratorio e più di 250.000 visite. Sono molto richiesti sia gli esami di imaging diagnostico, quali ecografie, radiografie, mammografie, risonanze magnetiche e TAC, che gli esami di laboratorio e le visite specialistiche.
Quali sono le ragioni che secondo voi spingono i pazienti a fare ricorso alle vostre strutture?
Le indagini che abbiamo svolto ci indicano che sono apprezzati la cortesia, il comfort degli ambienti e il livello di servizio. Un altro fattore apprezzato è la capacità di seguire i nostri pazienti nell’intero percorso di prevenzione, diagnosi, terapia, cura e riabilitazione. Molto spesso sono guidati da uno specialista interno, come nei check-up.
Come valuta il boom di siti, sistemi e gruppi di professionisti che offrono prestazioni sanitarie a basso costo?
Credo che sia necessaria una valutazione di più lungo periodo prima di poter esprimere un giudizio. In questo momento determinati medici e strutture offrono prestazioni a tariffe eccessivamente basse al fine di attirare clienti, ma solo tra qualche tempo sarà possibile valutare quanti di questi rimarranno come loro pazienti.
Va anche considerato che molte delle prestazioni offerte riguardano l’ambito estetico e, pertanto, non rispondono ad un reale bisogno di salute. L’unico aspetto veramente negativo è che induce un consumismo sanitario, sicuramente inutile e dispendioso, qualche volta pericoloso.
Alcune categorie professionali affermano che la sanità low cost sta favorendo il fenomeno dell’abusivismo in sanità. Le sembra un rischio reale?
Non si può generalizzare un fenomeno perché esistono in questo settore operatori seri, con principi etici e focalizzati su un particolare segmento di mercato. Credo che l’abusivismo sia un elemento indipendente dal settore e che le autorità preposte al controllo siano molto attive.
Basso costo, infatti, non è sempre sinonimo di bassa qualità. Perché in questo caso i cittadini dovrebbero rivolgersi a voi e non a un sistema low cost?
Se per low cost intendiamo il prezzo più basso, questo è quello delle prestazioni fornite in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale che noi eroghiamo in modo efficiente da oltre 35 anni accanto ai servizi privati. Penso anche che oltre alla professionalità del singolo sia necessaria una “struttura certificata”, da terzi, che possa garantire in tutte le sue fasi la correttezza e la qualità della prestazione sanitaria. Possiamo pensare alle norme ISO 9001, che indirizzano un’azienda, di qualunque tipologia produttiva, a dotarsi di strumenti operativi e concettuali atti a garantire un adeguato livello di servizio. Questa certificazione, che abbiamo conseguito già dal 1997, è stata propedeutica al raggiungimento di standard più sfidanti come quelli di Joint Commission International. Per cui è importante non solo il singolo medico “bravo”, ma un intero sistema eccellente a supporto.
Secondo lei la sanità certificata conviene sempre rispetto al low cost? Se sì, perché?
Il low cost si riferisce sempre ad attività sanitarie di tipo ambulatoriale o odontoiatrico. Ciò nella convinzione che prestazioni di questo tipo siano “semplici” e che sia possibile ottenere risparmi sulla loro erogazione. Ma chi controlla dove e come siano stati fatti questi “risparmi”? E’ veramente possibile pagare meno le “materie prime” e avere lo stesso risultato di qualità nel tempo? Noi crediamo che le prestazioni ambulatoriali abbiamo almeno la stessa complessità di altri servizi di cui siamo capaci di distinguere la differenza. Un esempio su tutti: le camere d’albergo. Accettiamo che, a seconda delle stelle, ci siano dei costi diversi. Questo lo percepiamo e siamo pronti a pagare per il servizio di pernottamento prezzi molto diversi. Invece non è immediato percepire che dietro una “semplice” ecografia ci possono essere apparecchiature più o meno sofisticate, medici più o meno esperti, diversi livelli di manutenzione, materiali di consumo più o meno costosi, sistemi di gestione per la qualità più o meno strutturati. In quale di queste voci vogliamo risparmiare?
Le notizie riguardanti i casi di malasanità o gli allarmi lanciati dai medici stessi sulle condizioni critiche dei servizi hanno influenzato le decisioni sanitarie dei cittadini? Se sì, in che direzione?
I casi di malasanità minano la fiducia dei pazienti nei confronti degli operatori. Questo sta creando una medicina inutilmente difensiva che va a danno degli erogatori e dei pazienti, che hanno giustamente alzato le loro richieste di qualità; sono più informati di prima, spesso grazie ad internet, che però, dobbiamo ricordare, non garantisce la correttezza delle notizie e l’autorevolezza delle fonti.
Per quanto riguarda il problema del contenimento della spesa sanitaria penso che il vero nodo sia quello dell’appropriatezza delle prestazioni. Sono quelle inutili che dobbiamo tagliare e non ridurre il livello di copertura dei bisogni di sanità.
La sanità low cost nasce, secondo lei, come un fenomeno legato alla crisi, che costringe i cittadini a risparmiare sulla salute, o siamo di fronte a una vera e propria strategia pubblicitaria legata allo sviluppo del “consumismo sanitario”?
Il “vero low cost” è in primis il Servizio Sanitario Nazionale ed è un patrimonio di tutti e un indiscutibile traguardo sociale. Il low cost di cui si parla frequentemente oggi è nato dalle prestazioni non interamente coperte attraverso il Ssn, come quelle odontoiatriche o quelle di natura più estetica. Solo successivamente la crisi economica ha amplificato questo mercato, ponendosi come alternativa al servizio pubblico, che talvolta propone tempi di attesa troppo lunghi, soprattutto per le prestazioni di controllo.
Per tornare alla sua domanda, è vero che trattandosi molto spesso di prestazioni effettuate senza il filtro del medico curante, è più facile che si possano generare fenomeni di consumismo sanitario, richiedendo prestazioni non necessarie.
25 gennaio 2013
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