L'agonia del "federalismo all'italiana"
di Cesare Fassari
Oggi i “Governatori” si sono riuniti per affrontare il tema dei costi della politica regionale dopo lo scandalo del Lazio. Speriamo che decidano azioni concrete e immediate per ristabilire un po’ di decenza. Ma il problema non sta lì. Il problema è prendere atto che la stagione del “federalismo all’italiana” è finita
26 SET - Ora fa autocritica anche Bersani che, in un’intervista al Messaggero di oggi, suona le note di un possibile de profundis del mito del federalismo. “Bisogna riflettere sul regionalismo – attacca il leader del Pd - perché negli ultimi dieci anni, e lo dice uno che ha fatto il presidente di Regione ed è sempre stato autonomista convinto, c’è stata una deriva per rispondere al rischio secessione della Lega. Abbiamo imbastito un’organizzazione dello Stato e un livello di autonomia delle Regioni che non ha contrappesi né razionalità”.
Per fargli riconoscere queste verità (purtroppo arcinote) ci sono però voluti la sconcertante volgarità dei festini romani e lo scandalo delle spese facili del signor Batman, che hanno tracimato la stessa governatrice del Lazio costretta alle dimissioni dopo soli due anni e mezzo di governo.
Peccato che dubbi del genere non si siano affacciati prima nella mente del centro sinistra al quale, altro che Lega, spetta il “merito” di aver inventato il federalismo all’italiana con la riforma del Titolo V della Costituzione votata negli ultimi giorni della legislatura 2001, nella speranza di sterilizzare l’effetto Lega.
Ovviamente non servì a quello scopo (la Lega vinse le elezioni insieme a Forza Italia) ma certamente contribuì a far nascere quei mostri istituzionali che sono oggi le ventuno Regioni e Province Autonome italiane. Mostri perché strutturate come delle vere e proprie “mini repubbliche” da operetta, con i loro parlamentini inutili e pieni di giovanotti e giovanotte strapagate e quasi sempre incompetenti o da vecchi marpioni della politica locale, ormai assuefatti ai banchi del Consiglio regionale di turno dove non fanno altro che proteggere i mini interessi personali e delle loro mini enclave elettorali. E poi c’è la Giunta, il governissimo che fa e dispone a proprio piacimento, fermo restando che, viva la democrazia, ovviamente non si occupa di cosa fa il Consiglio regionale che mantiene (a nostre spese) una propria autonoma quanto inutile esistenza.
E invece il federalismo è una cosa seria. Nato secoli orsono, in quelle che sarebbero diventate grandi Nazioni, per unire ciò che nasceva diviso. Da noi niente di tutto questo. Abbagliati, come lo siamo stati per due decenni, dai gesti e dal lessico fuori dalle righe di Umberto Bossi e delle sue camice verdi. E quello non era federalismo, era, come del resto i leghisti non hanno mai negato, voglia di secessione e di “repubblica Padana” come entità a sé stante rispetto al resto d’Italia. Cioè l’esatto opposto del federalismo, che vuol dire unire in una federazione entità statali precedentemente divise.
Il federalismo all’italiana, quindi, nasce con premesse sbagliate e cresce con modalità perverse, volte più a manifestare e glorificare le differenze (con grande attenzione agli aspetti negoziali e rivendicativi verso Roma ma anche verso le altre “minirepubbliche”) che a cogliere le opportunità del lavorare insieme per il bene comune dell’Italia, unita e indivisibile.
Oggi, inoltre, scopriamo che le Regioni costano tantissimo come apparati. Molto di più dei Palazzi Romani sotto accusa da tempo per sprechi e privilegi. Ma non è alla fine questo il punto, anche se una bella sforbiciata sarebbe finalmente ora di darla realmente ai costi della politica sia a Roma che all’Italia delle autonomie. Il punto è che il federalismo all’italiana ha fallito nel suo obiettivo principale che, al di là degli slogan localistici, era quello di fare del sistema delle autonomie il nuovo motore di sviluppo del Paese.
Se togliamo le grandi realtà produttive o del terziario legate all’apparato pubblico locale (sanità compresa, dove le differenze tra una realtà e l'altra non sono certo diminuite dopo il federalismo) e che ovviamente restano settori di interesse pubblico finanziati dalla fiscalità generale e locale, l’autonomismo in quanto tale, quale reale contributo ha dato allo sviluppo economico e produttivo?
Proviamo a dare alcune risposte indirette. La Regione Lombardia si vanta di essere “ricca” come la Baviera, ma non lo era anche prima del federalismo? La Regione Emilia Romagna si vanta di essere un modello di efficienza nei servizi e nelle infrastrutture civili. Ma non lo era anche prima del federalismo? Per non parlare del Mezzogiorno e della “questione meridionale”. Cosa è cambiato da quando esistono le grandi Regioni del post riforma federale? Nulla. E infatti sono in moltissimi a sperare in una neo nata “Cassa del Mezzogiorno” di antica memoria.
Oggi i “Governatori” si sono riuniti per affrontare il tema dei costi della politica regionale. Con la dimissionaria Renata Polverini in prima fila a rivendicare che i problemi del Lazio sono i problemi di tutti. Speriamo che decidano azioni concrete e immediate per ristabilire un po’ di decenza nella gestione e soprattutto nella quantità dei soldi pubblici destinati alla “macchina” politica regionale. Ma certamente il problema, come abbiamo visto, non sta lì. Il problema è prendere atto del fatto che la stagione del “federalismo all’italiana” è finita. E, personalmente, senza rimpianti.
Cesare Fassari
26 settembre 2012
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